Minima Cardiniana 190/3
Domenica 3 dicembre 2017 – Prima domenica d’Avvento
3. UNA TRAGEDIA FRA ARCAICITA’ E “TEMPO REALE” POSTMODERNO. UNA “MORTE ANTICA” IN DIRETTA
Dicono che il suicidio sia, o possa essere, una punizione del suicida per chi resta. Il generale Slobodan Praljak, 72 anni oggi, 48 quando nel 1993 era a Mostar e faceva cose che la Corte Internazionale dell’Aja ieri ha giudicato criminose, ha a sua volta condannato i suoi giudici togliendosi la vita con del veleno che aveva portato indosso: si tratta pertanto di un gesto premeditato.
Qualcuno ha paragonato la scelta di Praljak a quella mediante la quale nel 1946 Hermann Göring si sottrasse alla pena infamante, la morte per impiccagione, che i giudici di Norimberga gli avevano comminato. Nessun paragone calza mai a pennello: questo, poi, zoppica vistosamente. Il Reichsmarschall nascondeva da tempo il cianuro che gli sarebbe servito per uscire dalla scena del mondo evitando l’esecuzione: altri capi nazisti avevano preso la medesima precauzione, che per esempio Erich Himmler mise in atto non appena catturato. Ma il capo della Luftwaffe, a differenza di quello delle SS, non aveva propriamente l’intenzione di non sopravvivere al crollo del Terzo Reich, e aveva inoltre evidentemente profonda coscienza dei suoi crimini. Göring, invece, sia quando fu preso prigioniero dagli americani sia molto a lungo durante il processo, si mantenne piuttosto sicuro del fatto che, alla fine, sarebbe uscito assolto o condannato comunque a una pena non estrema. Conservava certo il suo cianuro per ogni evenienza, però era fiducioso. Si suicidò solo quando ormai la condanna era stata formulata, per evitare la sofferenza e la vergogna del capestro e in un certo senso per irridere in extremis i suoi carcerieri. Praljak dubitava senza dubbio dell’assoluzione ed era pronto a morire in caso fosse stato condannato: ciò indipendentemente, a quel che pare, dall’eventualità della pena. Aveva accettato di sottoporsi al verdetto dei giudici dell’Aja, ma sembrava sicuro, in fondo, non di scampare alla condanna grazie all’abilità sua e dei suoi avvocati – era quanto invece aveva sperato il corpulento collaboratore di Hitler –, bensì di venir assolto in quanto in coscienza non si sentiva colpevole. Per quanto premeditato, il suo gesto è stata la conseguenza di una delusione ch’egli aveva pur messa ipoteticamente in conto, ma alla quale non era intimamente preparato. Continua a leggere “Minima Cardiniana 190/3”