Minima Cardiniana 263/1

Domenica 5 gennaio 2020, Sant’Edoardo

PROGETTI E PROPOSITI PER IL 2020

Un inizio d’anno eccezionale. Ma non parliamone subito. Cominciamo con qualche riflessione preparata proprio per il Capodanno: consultivo e preventivo al tempo stesso. Quello che c’interessa in prima istanza, strutturalmente giungerei a dire, è una riflessione sulla nostra patria europea.

VERSO IL SECONDO VENTENNIO DEL XXI SECOLO

Sembra quasi impossibile: “sembra ieri”, come si usa dire. Ma, se da una parte è vero che la grande novità degli ultimi anni è stata che siamo entrati con forza e a vele spiegate nel XXI secolo, vale a dire nel III millennio, dall’altra è non meno drammaticamente vero che quasi non ce ne siamo accorti. Pensiamo a quel terribile 11 settembre del 2001, perché abbiamo avuto tutti la sensazione che il nuovo millennio iniziasse nel fuoco e nel fumo di quel giorno anziché nel “botto” dei tappi di champagne di qualche mese prima. Quasi quattro lustri passati in un attimo. Un quinto del secolo.
Come antidoto a questa forse spaventevole constatazione, cominciamo adesso da una considerazione “di larghissimo periodo”, “di lunga durata”: che c’introduce a considerare come, ormai, due termini – e due soggetti – che finora avevamo considerato strettamente uniti, quasi sinonimi, sono divenuti viceversa due cose quanto meno distinte: se non vogliamo dirle separate. L’Europa e l’Occidente.
Mentre l’Occidente come forza etica e culturale trainato dall’egemonia statunitense (il Novecento, “secolo americano”) si sviluppava e si affermava in tutto il mondo con il suo stile di vita e il suo modello basato sul cerchio magico produzione-consumo-profitto e sull’oligarchia delle sue lobbies che stavano condizionando e corrodendo gli equilibri dei poteri pubblici visibili, l’Europa moriva soffocata dai nazionalismi che avevano provocato la guerra franco-prussiana del 1870 e il suo postumo tragico effetto: la “Guerra dei Trent’Anni” tra 1914-1945 che in Oriente è continuata come “Guerra dei Cento Anni” 1914-2019 e che deve ancora finire. E che finirà forse con l’eclisse-trasfigurazione di un mondo che cento anni fa aveva una testa euroamericana e che tra qualche lustro emergerà forse con una nuova, diversa testa: magari quella del “governo profondo” lobbistico internazionale, o quella di una nuova egemonia sino-indo-russo-iraniana che già oggi potrebbe viaggiare sulla duplice linea del One Belt One Road Program varato nel 2013. Sopravviverà l’Europa come realtà istituzionalmente e culturalmente identitaria a una di queste due bipolari evenienze?
La mia generazione (sono del 1940) è uscita convalescente dalla tragedia dell’urto fra opposti nazionalismi ed ha assistito a una “falsa partenza” di quella che a lungo molti, troppi fra noi hanno creduto essere un’embrionale unità europea mentre era solo “Unione Europea” priva di istituzioni politiche e giuridiche, priva di sovranità diplomatica e militare. Speravamo e sognavamo una Federazione o magari una Confederazione Europea. Questo era il sogno di De Gasperi, di Adenauer, di Schuman. Abbiamo avuto l’Eurolandia: ch’era fin dal principio tale ma alla quale noi guardavamo con la fiducia che si guarda a un paese embrionale, in fieri, che si appresta a diventare una patria. C’ingannavamo: o, se preferite, siamo stati ingannati. Una realtà statuale o sovrastatuale non si costruisce senza istituzioni di governo, senza strutture giuridico-amministrative chiare, senza una forza armata e una scuola che ci garantiscano l’una la sovranità militare (e quindi politica), l’altra la sovranità del processo educativo e culturale che può aiutarci ad elaborare un senso e una consapevolezza identitari nuovi.
La strada fatta finora non è inutile: non si tratta certo di ricominciare da zero. Ma si tratta di accettare serenamente che gran parte di essa è stata illusoria e ingannatrice. Si tratta di riconsiderare l’impervio sentiero delle scelte monetarie, doganali, socioeconomiche ch’erano parte di un progetto unitario ma non potevano bastare da sole e di ricondurle al primato della politica, ad esso subordinandole.
I risultati elettorali europei del maggio scorso erano stati letti in modo forse precipitoso come la vittoria dello schieramento “europeista” conservatore-liberal-socialista contro i “nuovi nazional-populismi” o, se preferite chiamarli così, i “sovranismi” (costituiti in realtà da forze alquanto eterogenee fra loro). Il punto centrale del nuovo equilibrio (che in realtà troppo equilibrato non è per nulla) sta nel fatto che la “triade egemonica” degli stati-guida come tali più o meno tacitamente riconosciuti nella UE – Gran Bretagna, Francia, Germania – sta attraversando una crisi sia pur diversissimamente atteggiata in ciascuno di essi e tale da non garantire affatto la solidità della nuova compagine con sede Bruxelles/Strasburgo e della nuova presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Con tali premesse, non illudiamoci. Il contraccolpo della Brexit, se sarà drammatico in Gran Bretagna, scuoterà anche le fondamenta dell’“Unione-Che-Non-C’E’”, vale a dire appunto dell’Unione Europea, che non disponendo di una base politica istituzionale è solo una realtà dotata di alcuni poteri specificamente economico-finanziario-tecnici nelle mani di stati europei sempre più deboli e di governi espressioni a loro volta di classi politiche screditate e subordinate a
sponsors privati (che cosa ci farebbero altrimenti i Chief Executive Officers proconsoli nelle lobbies nel Parlamento Europeo?). Già in Francia – mentre il governo Macron si sta rivelando sempre più impotente a dominare le piazze dei gilets jaunes e degli scioperanti e sempre più si respira aria di disobbedienza civile generalizzata (ma la strategia governativa mira a trattare con singole categorie per spezzare il fronte delle opposizioni) – si stanno profilando due fatti nuovi, inquietanti entrambi: il sempre più frequente parlare di una possibile Franexit (uscita della Francia dall’UE) e il crescente malumore delle forze dell’ordine sottoposte da troppo tempo e una pressione sempre più pesante. E non parliamo della Germania, dove il paradosso dello strapotere finanziario e industriale e del timoroso silenzio politico eredità della guerra perduta e dell’onta della shoah sta conducendo a esiti schizofrenici sul piano dell’esercizio di una potenza obiettivamente esistente e del rifiuto formale di ammetterne l’esistenza.
Il che riconduce, volenti o no che tali noialtri siamo, a un problema politico di fondo: quello, ebbene sì, della libertà comunitaria. Che non è tale se non poggia su una solida base: la sicurezza, garantita da un’adeguata base di difesa. Se tale libertà non c’è, non può sussistere alcuna politica estera, quindi alcuna credibilità diplomatica, quindi alcuna plausibile funzione internazionale. Nella compagine degli stati e dei popoli della terra, nel “concerto” bene o male (più male che bene) rappresentato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Europa è in quanto realtà comunitaria assente.
Ciò, anche perché abbiamo da tempo abbandonato l’idea che la NATO potesse far le veci di un vero e proprio esercito europeo, che a suo tempo – quando respingemmo l’ipotesi di una CED, Comunità Europea di Difesa – non ce la sentimmo di varare. Ma la NATO è una forza militare e politica egemonizzata dagli Alti Comandi statunitensi: ed è per giunta in crisi, da quando Trump ha messo sotto accusa alcuni stati componenti (tra cui l’Italia) come inadempienti rispetto ai doveri assunti. Ora, il probabile
New Deal dei rapporti tra gli USA che stanno reagendo pesantemente alla loro perdita di egemonia (si veda la loro recente e sistematica politica “paragolpista” in America latina: dal Venezuela al Brasile alla Bolivia al Cile) e la Gran Bretagna in cerca di nuovi equilibri che le consentano di bilanciare gli effetti della Brexit rischiano sul serio di allargare l’Atlantico già a cominciare dal canale della Manica. D’altronde, la situazione socioeconomica e produttiva che si va delineando – ed ecco, ancora, la “Nuova Via della Seta” – impone agli europei un rinnovato realismo che dovrebbe partire dalla considerazione della necessità d’intraprendere sul serio, una buona volta, il cammino dell’unità politica vera e propria, federale o confederale che sia. In tempi di grandi blocchi da una parte, di “eclisse dello stato” e di affermazione del capitalismo selvaggio dall’altro, non possiamo né affidarsi di nuovo ai piccoli stati d’un tempo né restar soli a far da vaso di coccio tra vasi di ferro.
Unità politica europea effettiva, riposizionamento nel quadro degli equilibri internazionali, rilancio di misure sociali che consentano di reagire alle sperequazioni eccessive e all’avanzata sia della concentrazione della ricchezza, sia della pauperizzazione correlativa alla cancellazione del welfare. Sono questi i traguardi che attendono l’Europa. O la discesa lungo il piano inclinato del fallimento.

Minima Cardiniana 263/0

Domenica 5 gennaio 2020, Sant’Edoardo

Dedicato alla memoria del generale Qasem Suleimani, al quale si deve in gran parte la vittoria sui fanatici dell’ISIS/DAESH: cosa che gli amici e finanziatori del defunto – e non rimpianto – califfo al-Baghdadi, che sono molti tra le rive del Mar Rosso e quelle del Potomac, non gli hanno mai perdonato. Che Dio lo accolga nel Paradiso dei Martiri.

INDICE

  1. PROGETTI E PROPOSITI PER IL 2020
  2. L’ANALISI EUROPEISTICA DI ADOLFO MORGANTI, DI “UNIVERSITÀ EUROPEA”
  3. IL TEMPO DELL’ECCEZIONE: UN ASSASSINIO POLITICO VOLUTO DA TRUMP
  4. DA AVIANO: UN NEW YEAR GIFT DEGLI AMICI AMERICANI, DESTINATO IN PARTICOLAR MODO AL PRESIDENTE MATTARELLA IN OMAGGIO ALLA COSTITUZIONE ITALIANA
  5. …E, PER FINIRE IN LETIZIA, ALLA VECCHIA MANIERA DI RIDOLINI: COME CASTIGARE IL RADETZKY NEONAZISTA IN UN MODO CHE SAREBBE PIACIUTO AL CANCELLIERE HITLER