Minima Cardiniana 109

Domenica 14 febbraio 2016 – I Domenica di Quaresima

IRAN E ARABIA SAUDITA

E’ molto difficile, anche volendo, immaginarsi qualcosa di più diametralmente eppure anche inestricabilmente opposto. Un nodo affascinante e pauroso di paradossi. Simili e contrari. Paralleli e ortogonali.

Parliamo della repubblica islamica iraniana, a maggioranza musulmana sciita, e del regno dell’Arabia saudita, retto da una dinastia sunnita wahhabita. Nella visione occidentale corrente, quella fatta di pregiudizi e di stereotipi, due “stati teocratici”, due opposte forme di “fondamentalismo”, due “tipici stati musulmani, che non conoscono la distinzione tra fede religiosa e politica”. Non arriveremo forse mai a renderci sin in fondo conto di quanto queste frasi fatte, questi vuoti funambolismi lessicali e fraseologici, abbiano nociuto da noi alla corretta comprensione di realtà che peraltro sono senza dubbio alcuno complesse.

L’Iran è l’erede dell’impero persiano safawide e qajar (non certo degli achemenidi o dei sasanidi, e neppure degli abbasidi), largamente mantenuto nei suoi confini geostorici come nelle sue tradizioni profonde eppur passato attraverso la rivoluzione nazional-occidentalista di Reza Shah e della dinastia Palhavi, che aveva molti punti di contatto con quella di Mustafa Kemal in Turchia, e quindi rifondato a partire dal 1979 nei termini genialmente concepiti da un ayatollah, Rukhullah Khomeini ch’era allievo di un filosofo marxista, Ali Shariati, che ne ha fatto una repubblica molto somigliante alla prima fase della repubblica dei Soviet, guidata e moderata però da un senato di teologi-giuristi. Un paese dove il chador copre – ma non nasconde…– la realtà di una popolazione non solo tra le più occidentalizzate di tutto il mondo musulmano, ma anche tra le più colte e preparate, dove il tasso percentuale dei laureati è altissimo.

L’Arabia saudita è un giovane regno che non ha ancora un secolo, nato in un contesto nomade e tribale in cui il concetto stesso di regalità è concepito come ostile e straniero non meno di quanto non lo fosse agli ebrei del tempo del profeta Samuele e agli ateniesi dell’età di Pericle. Eppure il cinismo di francesi e inglesi durante la prima guerra mondiale ha sconvolto e travolto antichi equilibri, ha promesso agli arabi unità e libertà per poi tradirli e abbandonarli con gli accordi Sikes-Picot, è riuscito a far fallire i piani di un emiro seriamente e sinceramente disposto a fondare nella penisola arabica un nuovo regno arabo unitario che si sarebbe dato istituzioni liberal-parlamentari e magari sarebbe entrato nel Commonwealth e a consegnare in cambio quel subcontinente dalle viscere gonfie di petrolio a una costellazione di pittoreschi ma anche abili tirannelli sunniti che regnano spesso su popoli a maggioranza sciita e la potenza-guida dei quali, pur oggi fortemente contestata da alcuni (ad esempio dall’emiro catariota), è governata da una dinastia che si è assunta il compito di rappresentare e d’imporre una versione dell’Islam immobilista e misoneista, il wahhabismo, che peraltro impedisce sì alle donne di guidar l’auto e di andare a scuola, ma non alle sue élites di accedere a una gestione socioeconomicamente e sociotecnologicamente esclusiva e avanzatissima del paese e delle sue risorse. Un paese il re del quale spadroneggia su laghi di petrolio e montagne di petrodollari, il che lo rende obiettivamente una grande potenza mondiale.

L’Arabia saudita è la prima e più sicura alleata del mondo occidentale in genere, degli Stati Uniti d’America in particolare, in tutto il Vicino Oriente. La politica estera americana si è almeno fino ad oggi ordinariamente appoggiata su due stati entrambi confessionali – e il ”laico” Israele è nondimeno uno “stato ebraico” – che s’ignorano reciprocamente ma la rispettiva politica estera dei quali converge su Washington la quale s’incarica di armonizzarla. Quanto all’Iran, lo spauracchio reale o apparente tanto di sauditi quanto d’israeliani, a parte le armi nucleari che almeno per il momento, fedele al “trattato di non-proliferazione”, non produce (il che, attenzione!, non vuol dire che non ne abbia…), esso è sciita mentre l’Arabia saudita è sunnita, e dell’Arabia saudita è concorrente in quanto grande produttore di petrolio. Due ragioni per rendere incandescente la fitna, la “discordia”, cioè la lotta civile-religiosa che può manifestarsi in mille modi.

Del wahhabismo, si dice sia una dottrina “medievale”. Nulla di più falso. Semmai si tratta di un “modernismo musulmano”, una sètta nuova nata nel XVIII secolo e che appoggiandosi alla scuola giuridica salafita ha “reinventato” l’Islam fornendogli un aspetto messianico, rigorista nel rispetto letterale del Corano, esclusivista fino a travolgere quegli stessi progetti coranici che garantiscono il rispetto, per esempio, dei culti fondati su una Scrittura rivelata quali ebraismo e cristianesimo. Il wahhabismo è la dottrina che giustifica formalmente le atrocità di al-Qaeda e dell’ISIS e che ne è alla base, specie da quando gli Stati Uniti, per battere l’Unione Sovietica che negli Anni Ottanta si era appropriata dell’Afghanistan evitando al tempo steso che gli afghani si liberassero grazie all’appoggio iraniano, “esportarono” dall’Arabia saudita e dallo Yemen i guerriglieri-propagandisti che dettero origine al regime dei Taliban.

Due “resistibili ascese”, quindi. Durante la prima guerra mondiale, v’erano tutte le premesse perché dopo il conflitto il mondo arabo si desse un assetto unitario e liberal-parlamentaristico sotto lo sceicco hashemita Hussein, custode dei Luoghi Santi della mecca e di Medina anglofilo convinto. Emarginato dal patto Sykes-Picot, Hussein aveva comunque ricevuto il regno del Hijaz nell’Arabia sudoccidentale, mente i due suoi due figli Abdullah e Feisal divenivano rispettivamente re della Transgiordania e dell’Iraq. Ma gli inglesi, dopo aver cercato di far attribuire ad Hussein il titolo califfale ch’era rimasto vacante da quando il parlamento turco aveva unilateralmente abolito il califfato, avevano favorito l’ascesa dello sceicco della dinastia saudita Abdelaziz ben Abderrahman, che nel 1932 si proclamò re d’Arabia, batté Hussein e fondò un regno nel quale, nel 1938, si scoprirono immensi giacimenti di petrolio.

Secondo il diritto di successione musulmano, che affida ruoli importanti ai fratelli dei regnanti, principe ereditario sarebbe attualmente Muhammad ben Nayef che avrebbe dovuto succedere allo zio ottantenne Abdallah ben Abdelaziz, morto nel 2015; gli è invece succeduto il di lui fratello Salman, che scombinando le regole del gioco ha affidato molti, troppi poteri al poco più che trentenne figlio Muhammad ben Salman, un giovane arrogante e spregiudicato che punta addirittura alla privatizzazione dell’Aramco, la compagnia petrolifera saudita ottanta volte più potente della Total. Frattanto, la sempre più dura persecuzuone degli sciiti arabi sudditi della dinastia saudita, culminata nell’esecuzione dello sceicco sciita al-Nimr, ha provocato in Iran addirittura l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran e la successiva rottura, il 3 gennaio 2016, delle formali relazioni diplomatiche tra Arabia saudita e Iran. Se a tutto ciò aggiungiamo che l’Arabia saudita è a tutt’oggi uno dei massimi acquirenti di armi del mondo senza che si riesca a capire che cosa ne faccia – ma possiamo immaginarcelo, in quanto circa 2500 sauditi stanno nell’armata dell’ISIS – mentre un alleato sicuro dei sauditi, la Turchia, acquista dal califfo al-Baghdadi importanti partite di petrolio clandestino, si può avere una lontana idea del garbuglio geopolitico e geostrategico nel quale si dibatte il Vicino Oriente. L’Iraq, il cui governo è dal 2003 sostenuto dagli Stati Uniti, è tuttavia orientato in senso filosciita: il che significa che esiste oggi un’alleanza stretta per quanto esplicita tra Iran, Iraq e Siria assadista cui accedono anche i curdi e che è nella pratica l’unica vera forza ad opporsi all’ISIS, la guerra contro la quale è stata proclamata da mesi si può dire da tutto il mondo ma che per il momento non è praticamente minacciata da nessuno.

Ora, l’ISIS potrebbe anche farcela a imporre un mutamento territoriale e istituzionale all’Iraq facendone saltare l’unità e fondando all’interno della sua compagine uno stato indipendente irakeno sunnita,che fatalmente sarebbe l’alleato dell’Arabia saudita alla frontiera con Iran. Ma come reagirebbe la potenza che si sta facendo garante dell’alleanza sciito-curdo-iraniana in funziona antisaudita e antiturca, la Russia di Putin che ha ormai le sue basi navali sirolibanesi che fronteggiano la NATO?

Se fosse un gioco di Risiko, le forze sarebbero già perfettamente schierate per lo scontro. Per fortuna questo non è Risico, è politica. Però…

Franco Cardini