Minima Cardiniana 179

Domenica 25 giugno 2017 – San Guglielmo

UNA RIFLESSIONE

…E ORA, ASPETTIAMOCI LA CORSA ALL’EMULAZIONE…

E’ un’antica e ben nota legge: salvo imprevisti che pur possono esserci, si raccoglie sempre quel che si è seminato. Ed è anche vero che “chi semina vento”, raccoglie tempesta”.

Ma bisogna pur vedere chi ha seminato vento: e se chi raccoglie tempesta abbia o no ottenuto quel che voleva. I centri jihadisti vicino-orientali? I loro gregari o emuli in Occidente, “jihadisti immaginari” e spesso maniaci isolati? I molti politici e opinion makers che ormai hanno trovato conveniente, anzi redditizia, l’islamofobia esercitata come professione o come surrogato al vuoto d’idee? I business men che fabbricano e vendono armi e che sanno bene come il movente e la materia prima del loro grasso commercio sia l’odio? I signori delle lobbies multinazionali, per i quali il “pericolo islamico” è un eccellente Mostro da Sbattere in Prima Pagina per nascondere i risultati distruttivi della loro sistematica, quotidiana rapina delle ricchezze del continente africano, causa fondamentale dell’impoverimento di quelle terre e dell’esodo dei loro abitanti ad alimentare, da noi, il mercato del lavoro sottocosto e dell’odio che impedisce al proletariato e al sottoproletariato occidentale di scorgere con chiarezza chi siano i suoi autentici nemici?

L’episodio londinese di domenica 18 scorso è stato inequivocabile, la scena chiara e ormai “classica”. Gente pacifica, raccolta per un evento: e non importa poi molto se sia una passeggiata sulla Promenade di Cannes, il London Bridge o la moschea di Finnsbury Park. Arriva un automezzo, falcia i convenuti e i passanti, semina la morte. In questo caso è toccato ai fedeli musulmani – tutti o quasi cittadini britannici – che stavano raccolti per pregare in una notte di Ramadan. L’assassino è un quarantottenne padre di famiglia: lo hanno acchiappato, la folla avrebbe voluto linciarlo, l’imam Mohammad Kozbar si è interposto salvandogli la vita. Non è affatto un eroe: è una brava e coraggiosa persona che ha fatto il suo dovere.

Poi, i commenti: e ci sarebbe da trasecolare, se ormai non fossimo abituati a tutto. Qualche giornale ha ricordato – come se ciò potesse costituire un qualche attenuante per il terrorista – che la moschea era la medesima dove, nel 2003, qualcuno predicava l’odio, la violenza, il jihad. Già, il fatidico 2003: l’anno nel quale il premier britannico Tony Blair, in combutta con George W. Bush jr., seminava false notizie e prove impataccate – lo ha confessato lui stesso, qualche mese fa – per giustificare l’aggressione all’Iraq. Parecchi commenti, specie sui famigerati social (e pare proprio che l’Italia ne abbia quasi il primato), dove autoreferenziali mâitres-à-penser  hanno espresso alati pareri, quali che i musulmani se la sono andata a cercare, che finalmente qualcuno reagisce, che questo è solo l’inizio del contrattacco. I criminali imbecilli che hanno messo on line queste infamie, del resto, subito dopo hanno anche potuto andar a festeggiare: è ormai certo che i raids della “coalizione” occidentale si sono abbattuti negli ultimi giorni su Raqqa facendo oltre 300 morti innocenti. Chi si dà allo sport della computisteria macabra e gode del giochino a chi ne ammazza di più, si compiaccia pure: siamo ancora in vantaggio noi. Chi invece preferisce la tattica del vittimismo e del piagnisteo, continui a ignorare le malefatte della NATO & Co. in giro per il mondo, i massacri quotidiani dal Vicino Oriente all’Afghanistan, e a chiederci “chissà perché ci odiano”: lorsignori manifestano sentimenti umanitari solo se e quando a bombardare sono gli aerei di Putin…

Ma torniamo al caso londinese: vecchio di appena una settimana e già metabolizzato, già superato da altri eventi. Non c’era nessuna ragione di colpire la moschea di Finnsbury Park, se come qualche giornale si è affrettato a sostenere essa era davvero stata in passato un “covo di estremisti islamici” (la differenza tra islamici e islamisti è evidentemente dura a comprendersi da parte di alcuni “esperti”): dopo il 2003, il personale che la gestisce era del tutto cambiato.  Senonché, come in quella del Triste Principe di Danimarca, c’è del metodo nella follìa dei terroristi: non solo si possono, ma  si debbono uccidere degli innocenti. Solo in questo modo si genera non solo più terrore, ma anche più odio: e accrescere l’odio è lo scopo ultimo dei mandanti di qualunque genere di attacco terroristico. Lo scopo, perseguito dai jihadisti che fiancheggiano il Daesh come da quanti in Occidente vorrebbero l’occhio-per-occhio-dente-per-dente, è il medesimo: dimostrare ad ogni costo che la convivenza tra  “noi” e “loro” è impossibile. I veri nemici dei terroristi non sono quelli che bombardano Siria, Iraq e Afghanistan con elicotteri e droni fingendo di dar la caccia agli uomini del califfo al-Baghdadi, frattanto (ci assicurano per la terza o la quarta volta da due anni a questa parte) morto ammazzato.  Al contrario: essi ne sono i migliori alleati, perché massacrando degli innocenti favoriscono il dilagare tra i musulmani dell’estremismo jihadista e l’affermarsi della parola d’ordine wahhabita, cioè che non può esserci convivenza fra i “credenti” e gli “idolatri”. I nemici dei terroristi sono gli uomini e le donne di buona volontà, che non si lasciano intimidire e che continuano a lavorare serenamente, coraggiosamente, per affermare il diritto di tutti e di ciascuno a pregare il proprio Dio e a vivere in pace con i vicini.

E’ stato detto con chiarezza da molti osservatori – da Olivier Roy, ad esempio- che oggi il pericolo non è la radicalizzazione dell’Islam, bensì l’islamizzazione del radicalismo: specie di quello che nasce dal disadattamento, dalla miseria, dalla carenza di certezze nel domani. La “carne da cannone” pronta al sacrificio in Europa, i propagandisti wahhabiti la trovano tra i delusi della Modernità, tra chi da noi cercava il benessere e ha trovato solo la miseria e il disprezzo. Ma gli arrabbiati senza nemmeno saperne bene il perché, i disorientati, gli sbandati, quelli che magari hanno qualcosa da difendere  e da perdere ma si sentono vuoti e disperati dentro – come l’assassino di Finnsbury Park, un uomo di mezz’età con una famiglia numerosa – ci sono anche da noi, tra noi. Anzi, sono in crescita: il “nostro Occidente” è il luogo del sempre più imperfetto benessere e della crescente infelicità. E l’Islam è un capro espiatorio troppo comodo per chi vuole sfogare fallimenti e frustrazioni ma non riesce ad analizzarne né le origini né la natura.

Ora, è l’emulazione il pericolo da affrontare: e almeno entro certi limiti si tratta di una battaglia perduta in partenza. Per chi è alla ricerca del Grande Male che spieghi finalmente i molti, intollerabili piccoli mali dai quali è affetto, l’assassino di Finnsbury Park è già un Eroe, un Giustiziere. Lo scopo dei mandanti dei terroristi è proprio questo: innescare la spirale della vendetta, far dilagare da noi una guerra civile che nel Vicino Oriente c’è già, quella tra fazioni estremiste sunnite e sciite. Il fine ultimo degli emiri salafito-wahhabiti dell’Arabia saudita, dello Yemen e del Kuwait  è colpire gli sciiti e, come obiettivo supremo, l’Iran: ma ciò tanto più facilmente avverrà quanti più saranno i musulmani sunniti convinti che tra Islam e Occidente non può esservi pace, che chiunque non adori Allah alla loro maniera è obiettivamente un apostata e un idolatra. Vedere il nemico nel mondo musulmano considerato indiscriminatamente nel suo insieme anziché nell’ancor piccola serpe velenosa che è il pericolo wahhabita è il rischio al quale possiamo soggiacere noi, se lasciamo spazio a chi nei media e sui social va ripetendo che bisogna combattere l’Islam, solo l’Islam, tutto l’Islam. L’assassino di Finnsbury Park era probabilmente convinto di questo: e magari ha colpito persuaso che quello fosse l’unico modo di difendere i suoi figli.  Ma Londra, che non avrebbe voluto il Brexit, ha scelto un sindaco musulmano: un esempio di civismo che parla da solo, che vale più di cento attentati e che non va dimenticato.

Il cammino, ora, è comunque tutto in salita. Quando spira il vento della follìa, di qualunque follia, le persone oneste e sensate si trovano sempre in difficoltà: anche perché i matti e gli irresponsabili possono essere pochi, pochissimi, ma ne basta uno per innescare un processo dagli esiti difficili non solo da combattere, ma anche da immaginare. L’avremo vinta noi, non temete: ma sarà dura. E le armi sono poche, in apparenza non sempre immediatamente efficaci: eppure infallibili se ben usate. La vigilanza e l’informazione: comprendere gli altri e i loro bisogni, insegnare e imparare al tempo stesso che vivere insieme (e per vivere insieme bisogna conoscerci) è l’unico antidoto al veleno che sta dilagando nel mondo.

Ma siccome la battaglia sarà lunga, è bene provvedersi intanto di buoni strumenti di discernimento. Vincere sarà dura, forse difficile: ma cerchiamo allora di comprendere. Non mi stancherò mai di suggerire a tutti l’agile, limpido, lineare libretto di un autentico esperto del Vicino e Medio Oriente (ha passato un quarto di secolo della sua vita, giovanissimo, tra Arabia Saudita, Egitto e Iran), l’americano – oggi naturalizzato fiorentino – Terence Ward, Per capire oggi il Medio Oriente. L’ISIS spiegata ai giovani (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2017, euri 10). Lì, tra molte altre preziosissime informazioni, ce n’è una – a p. 12 – che vi aiuterà perfettamente a comprendere che cosa sta accadendo adesso a Bruxelles, e perché proprio là ci sono tanti attentati, e perché là si verifichino anche molti casi di attentati scoperti prima di venir posti in atto.

Questa dell’attentato “sventato”, inutile dirlo, è sempre una notizia sospetta. Non ci vuol nulla, quando si vuol diffondere un clima di tensione o di sospetto, oppure quando s’intende provare in modo pretestuoso l’efficienza dei vari “servizi”, a inventarsi un falso attentato, falsi testimoni, magari falsi colpevoli. Ma perché un teatro privilegiato di veri e falsi attentati dovrebb’essere proprio la tranquilla Bruxelles?

Ward, implacabile, risponde ricordando che circa mezzo secolo fa re Baldovino del Belgio e re Feisal dell’Arabia saudita firmarono un importante accordo: il secondo cedeva al primo importanti forniture petrolifere a prezzo stracciato e l’altro, in cambio, concedeva per 99 anni in uno all’Arabia saudita uno dei più celebri monumenti dell’architettura “orientalista” europea, l’ottocentesco Padiglione Orientale sito appunto in Bruxelles. Là i sauditi ebbero il permesso di costruirvi la loro Grande Moschea, che divenne immediatamente centro di propaganda wahhabita per i molti immigrati che nella capitale belga convenivano soprattutto dal Maghreb: un’area nella quale fino ad allora l’inquinamento dottrinale wahhabita era del tutto sconosciuto. A Bruxelles, sede dell’Unione Europea e degli Alti Comandi NATO, funzionano 77 moschee (in tutto il Belgio ce ne sono ben 380). Il quartiere Molenbeeck di Bruxelles – città di parecchi attentati e degli omicidi perpetrati nel Museo Ebraico nel 2015 – è l’epicentro europeo del terrorismo; lì alcuni mesi fa si svolse il processo a quarantasei persone sospette di appartenere all’organizzazione Sharia4Belgium  che reclutava volontari per il Daesh da inviare in Turchia (il Belgio ha il primato dei foreign fighters). Perché questo stato di cose non è mai stato con chiarezza denunziato dai nostri media?

A Bruxelles, il nodo di tutto è chiaro: l’alleanza tra una democrazia occidentale “avanzata” e il paese arabo capofila della diffusione della dottrina wahhabita; gl’interessi petroliferi; i centri diffusori della propaganda jihadista; il loro legame con quelle forze che tra 2001 e oggi hanno sistematicamente distrutto prima l’Afghanistan, quindi l’Iraq, poi la Siria, con la determinante complicità di Stati Uniti, Francia, Inghilterra. Perché è impossibile mettere a punto la lotta antiterroristica cominciando con il metodico sistematico smantellamento di questo centro d’inquinamento terroristico? Perché gli islamofobi in servizio permanente effettivo non  contribuiscono al risanamento di quella piaga terroristica sistemata nel bel mezzo d’Europa invece di continuar ad appoggiare chi con argomenti speciosi e ridicoli tenta di negare (contro l’espresso e formale dettato della Costituzione) non solo agli stranieri che sono fra noi in perfetta regola con le legge ma anche ai nostri concittadini di religione musulmana di Firenze il diritto di costruirsi un decoroso luogo di culto nel quale pregare?

FC