Minima Cardiniana 183/2

Domenica 8 ottobre 2017 – Santa Pelagia

EFEMERIDI DEL CAOS

IL PAPA ERETICO E L’ITALIA, POPOLO DI SANTI, DI EROI, DI NAVIGATORI, DI TRASVOLATORI E DI TEOLOGI DELLA DOMENICA

Ho seguito prima con divertimento (cioè senza prenderla sul serio), poi con scetticismo un po’ annoiato , infine con corrente irritazione la vicenda delle accuse di eresia mosse a papa Francesco. A volte penso che un buon reparto di quell’esercito pontificio che le suonò dure agli italiani a Castelfidardo, o meglio ancora un ucronico rientro in servizio del bravo, benemerito Mastro Titta, sarebbero le risposte migliori da fornire a certa gente. Non disponendo purtroppo di alcuno di questi due nobili strumenti, mi sono affidato all’amico Antonio Musarra, che per anni ha insegnato religione nelle scuole secondarie e ha i titoli scientifici per rispondere. Egli ha per replicare titoli scientifici migliori dei miei.

«Sporcarsi con il fango della strada». Una nota sulle supposte “proposizioni ereticali” di papa Francesco

 Antonio Musarra

«Correzione filiale». Questo il titolo del documento inviato al papa qualche mese fa, divulgato solo di recente, incentrato su alcune presunte proposizioni – malamente virgolettate, giacché non si tratta affatto di citazioni – «ritenute false ed eretiche». Un documento che ha dato adito a molte recriminazioni ma, ancora, a nessuna critica nel merito[1]. Cominciamo col mettere i puntini sulle proverbiali “i”. In attesa che si apra ciò che da tradizione debba aprirsi: una disputa teologica un po’ vecchio stile. Senza – sia chiaro – alcuna pretesa di completezza né “arroganza teologica” di sorta. Considerate, dunque, queste pagine – rigorosamente in fieri – alla stregua di pensieri di una persona comune interessata alla faccenda.

Prima premessa: realismo

            Il metodo è imposto dall’oggetto – diceva uno famoso –, e l’oggetto –  meglio: il soggetto: l’essere umano – è notoriamente complicato. Per questo v’è bisogno di realismo. Ma d’un realismo “morale”, che corrisponda alle esigenze più profonde della coscienza (o, se si vuole, del nostro “cuore”). L’intento di Amoris laetitia è di guardare in faccia la realtà. Ciò che non significa affatto mutare la dottrina. Piuttosto, significa tentare, per quanto ci è dato di fare in questa terra, di accoglierla nella sua interezza, guardando, dunque, a chi si trova in uno stato di sofferenza o di disagio nei confronti dell’insegnamento di Gesù sull’amore e sul matrimonio. E’ legittimo? SI! Ricordiamo Evangelii gaudium: «Conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (EG 34). Secondo punto: il realismo impone che la dottrina sia resa comprensibile all’uomo di oggi. Così, Giovanni XXIII, in apertura del Concilio Vaticano II (come riportato alla nota 100 di Veritatis splendor): «Occorre che questa dottrina certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata». Per raggiungere ogni uomo bisogna parlare un linguaggio comprensibile (è questo, in fondo, il cuore dell’inculturazione; e chi conosce i gesuiti lo sa bene). Ma questo non significa mutare dottrina.

Seconda premessa: ragionevolezza

Amoris laetitia invita a un’apertura alla realtà. Invita ad afferrare la realtà in tutti i suoi fattori, comprendendo anche quelli che vorremmo nascondere. Per questo, ha un carattere prettamente pastorale (peraltro, come opportunamente specificato dal documento inviato ai vescovi di tutto il mondo dal cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi). Potremmo dire, dunque, che si ponga su un piano di ragionevolezza: le sue affermazioni, cioè, possiedono delle ragioni adeguate, basate sull’osservazione della realtà. In questo senso, non siamo, certo, di fronte a un freddo testo razionalista. Semmai, a un testo carico di comprensione – di humanitas: di ricerca appassionata di ciò che rende l’uomo autenticamente sé stesso –, che invita all’accoglienza e all’integrazione di coloro che si trovano in difficoltà. Questo non significa, naturalmente, che si ponga in discontinuità col Magistero precedente. Anzi, Amoris laetitia continua e approfondisce il Magistero precedente – è quanto mi riprometto di mostrare –, prendendo in considerazioni situazioni oggettive, talvolta complesse, alle quali non è possibile non dare risposta. Dottrina e pastorale non sono mai disgiunte. Il rischio è di seguitare a discorrere di “tecniche pastorali”, spesso ben lontane dalla Verità rivelata, e di voltare la faccia alla realtà.

Terza premessa: certezza morale

Amoris laetitia è un’Esortazione post-sinodale. Giunge al termine d’un percorso, appunto, “sinodale”, durato ben due anni, incentrato – lo si ricorderà – sul tema della famiglia. Non siamo di fronte a un’Enciclica o a una Costituzione apostolica; nemmeno, però, a un semplice messaggio. Si tratta dei risultati d’un lavoro di consultazione. A volte faticoso, è vero. Ma proprio per questo, lungamente meditato, finalizzato esplicitamente e dichiaratamente a superare la brutta bestia dei nostri tempi: il pre-concetto. Attenzione: di concetti preconfezionati viviamo tutti, ed è normale che sia così. Talvolta, però, è necessario che qualcuno ci faccia capire che stiamo ragionando a senso unico. E questo può avvenire solamente nel dialogo. In effetti, lo scopo del Sinodo non è stato altro che quello di di raggiungere una “moralità”: e, cioè, una posizione giusta della coscienza, promanante dal dato rivelato preso per intero, e di fare questo attraverso il confronto.

Il metodo

Al centro delle sette proposizioni ereticali – non proposizioni papali ma supposte interpretazioni del messaggio papale: sia scritto che agito (opere e omissioni) – v’è il capitolo 8 di Amoris laetitia. Quale metodo utilizzare per analizzarle con serenità e sincerità d’animo? Il teologo Angelo Bellon, OP ricorda, in un intervento fortunato pubblicato sul sito www.amicidomenicani.it (http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4675) –di cui consiglio fortemente la lettura –, come «dubia in meliorem partem interpretari debent»: i dubbi – legittimi, naturalmente – devono essere interpretati nel modo meno gravoso. Il che significa che le affermazioni di Amoris laetitia poste sotto accusa, così come i comportamenti e le presunte omissioni del papa, debbono essere analizzate e lette nel segno della continuità, alla luce del Magistero precedente. Partire dalla posizione opposta («in peiorem partem», sospettando una “discontinuità”) significherebbe partire col piede sbagliato: con un pre-concetto. Prima cosa, dunque, sgombrare la mente.

Il cuore del problema

Vediamo, dunque, sulla scia di questo suggerimento, di analizzare velocemente ciascuna delle sette proposizioni supposte «false ed eretiche». Sia chiaro: questo non è un trattato di dogmatica. Mi limito a fornire alcune indicazioni, sperando che qualcuno le approfondisca, le analizzi, le rigetti. Insomma, sperando in un confronto:

1) Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato; o come se la grazia di Dio, producendo la giustificazione in un individuo, non producesse invariabilmente e di sua natura la conversione da ogni peccato grave, o che non fosse sufficiente alla conversione da ogni peccato grave.

A cosa si riferisce:

AL 301: «Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa».

Su cosa si basano le accuse:

Concilio di Trento, sessione VI, canone 18: «Se qualcuno afferma che i comandamenti di Dio sono impossibili da osservare per un uomo che è giustificato e stabilito nella grazia, sia anatema» (DH 1568).

È quanto vuole affermare Amoris laetitia? No. La corretta interpretazione è fornita dalla stessa Esortazione:

AL 295: «San Giovanni Paolo II proponeva la cosiddetta “legge della gradualità”, nella consapevolezza che l’essere umano “conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita” (Familiaris consortio, 34). Non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge».

È possibile, infatti, che la persona ignori la norma generale o non ne percepisca il valore a tal punto da non poter scegliere liberamente, o, ancora, ritenga erroneamente impossibile l’osservanza della norma, vista come irraggiungibile. Ciò, appunto, in maniera erronea, giacché con l’aiuto della grazia di Dio tutto è possibile. Sempre il Concilio di Trento, del resto, affermava: «Dio non comanda ciò che è impossibile, ma nel comandare ti esorta a fare quello che puoi, e a chiedere ciò che non puoi, e ti aiuta perché tu possa» (DH 1536)». Qui è insita, a mio avviso, la legge della gradualità.

E’ stato, inoltre, rilevato come gli estensori del documento intendano la Grazia in maniera eccessivamente statica (Mons. Giuseppe Lorizio, su Avvenire del 25 settembre 2017), quasi alla stregua di un processo di causa ed effetto. Ricordiamoci che la Grazia proviene da Dio, non dai meriti dell’uomo. E Dio dispone secondo criteri lontani, talvolta, da quelli umani. Certo, l’uomo coopera, ma con tutti i propri limiti e nel corso di un cammino che può durare, talvolta, anche tutta la vita. Il che non è poco. Del resto, già il Concilio tridentino affermava: «Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione» (Decreto sulla giustificazione, XII).

2) I cristiani che hanno ottenuto il divorzio civile dal coniuge con il quale erano validamente sposati e hanno contratto un matrimonio civile con un’altra persona (mentre il coniuge era in vita); i quali vivono more uxorio con il loro partner civile e hanno scelto di rimanere in questo stato con piena consapevolezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà di rimanere in questo stato, non sono necessariamente nello stato di peccato mortale, possono ricevere la grazia santificante e crescere nella carità.

A cosa si riferisce:

AL 298: «I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione”» [Familiaris consortio, 84].

E alla nota 329, riferita alla citazione di Familiaris consortio, il papa commenta: «In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli” (Gaudium et Spes, 51)».

La Scrittura è piuttosto categorica:

Siracide 15, 21: “Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare.”

Forse che Amoris laetitia affermerebbe il contrario? Assolutamente no. E il motivo lo fornisce la legge di gradualità di cui sopra. Come nota padre Bellon, interpretato «in meliorem partem», questo passo non muta alcuna dottrina. Non si parla, infatti, di “intimità coniugale”. Piuttosto, nel citare la “consapevolezza dell’irregolarità della propria condizione” ci si pone sulla stessa scia di Humanae Vitae: «E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza» (Humanae Vitae, 25).

3) Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in una materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale come risultato di quell’azione. 

e

4) Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza. 

A cosa si riferiscono:

AL 301: «Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa».

Ma

Concilio di Trento, sessione VI, canone 20: «Se qualcuno afferma che un uomo giustificato, per quanto perfetto egli possa essere, non è tenuto a osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa ma è tenuto soltanto a credere, come se il Vangelo fosse solo una promessa assoluta di vita eterna senza la condizione che i comandamenti siano osservati, sia anatema» (DH 1570).

e

Sal 18, 8: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima».

È quanto afferma Amoris laetitia? No. Ma ormai v’è ben poco da dire. Tutto si rifà ai punti precedenti. Il passo in questione, del resto, segue quello in cui il papa, proprio per indicare la continuità del Magistero, afferma: «Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti». Ne parlerò tra poco.

5) La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto tra loro matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un’altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio. 

A cosa si riferisce:

303: «Questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo».

Ma

Concilio di Trento, sessione VI, canone 21: «Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato da Dio agli uomini come un redentore nel quale avere fede ma non anche come un legislatore al quale sono tenuti ad obbedire, che sia anatema» (DH 1571).

Concilio di Trento, sessione XXIV, canone 2: «Se qualcuno afferma che è lecito per i Cristiani avere più mogli allo stesso tempo, e che ciò non è proibito da alcuna legge divina, sia anatema» (DH 1802).

Concilio di Trento, sessione XXIV, canone 5: 1Se qualcuno afferma che il legame del matrimonio può essere sciolto per eresia o difficoltà nella coabitazione o a causa della volontaria assenza di uno dei coniugi, sia anatema» (DH 1805)

Concilio di Trento, sessione XXIV, canone 7: «Se qualcuno afferma che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato o insegna secondo la dottrina del Vangelo e degli Apostoli che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio di uno dei coniugi e che nessuno dei due, nemmeno l’innocente che non ha dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio durante la vita dell’altro, e che il marito che ripudia una moglie adultera e si sposa di nuovo e la moglie che ripudia il marito adultero e si sposa di nuovo sono entrambi colpevoli di adulterio, sia anatema» (DH 1807).

È quanto afferma Amoris laetitia? No, davvero. Nonostante la sfilza di canoni tridentini utilizzata dagli estensori del documento per giustificare la propria affermazione (la loro, non quella di papa Francesco), in nessun luogo dell’Esortazione è possibile leggere che gli atti sessuali compiuti al di fuori del matrimonio siano «moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio». Si parla, anzi, di «complessità concreta dei limiti» e di lontananza dell’«ideale oggettivo». In questo sta tutto il realismo dirompente di Amoris laetitia. Nel prendere atto della realtà in cui l’uomo si trova senza, per questo, avallarla. D’altra parte, l’affermazione di Francesco segue un’attestazione di prudenza: «A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio».

6) I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite. 

A cosa si riferisce:

304: «Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: “Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare”. È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari».

Ma

Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 115: «Ciascuno di noi conosce l’importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell’insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l’autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l’intera società, con la riaffermazione dell’universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi» (DH 4971).

È quanto afferma Amoris laetitia? Anche qui occorre rispondere: No. Il papa non intende negare l’esistenza di norme oggettive rivelate: la cosiddetta materia grave. Piuttosto, sanziona un atteggiamento inquisitorio. Lo spiega bene allo stesso numero: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano». Come a dire: oltre alla “materia grave”, ricordatevi che è necessario il “deliberato consenso” e la “piena avvertenza”. E questa è dottrina cattolica al 100%. O, se volete, Catechismo duro e puro.

7) Nostro Signore Gesù Cristo vuole che la Chiesa abbandoni la sua perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati e di rifiutare l’assoluzione ai divorziati risposati che non manifestano la contrizione per il loro stato di vita e un fermo proposito di emendarsi.

A cosa si riferisce:

299: «Accolgo le considerazioni di molti Padri Sinodali, i quali hanno voluto affermare che: “I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”.

Ma

Mc 10, 11-12: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

1 Cr 11, 27: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore».

Familiaris consortio, 84: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”».

Concilio Lateranense II, canone 20: «Poiché una questione tra le altre turba profondamente la santa Chiesa, e cioè quella della falsa confessione, ammoniamo i nostri fratelli nell’ episcopato e i sacerdoti di non permettere che le anime dei laici siano ingannate o trascinate all’ inferno da false confessioni. La falsa confessione consiste nel confessare un solo peccato, trascurando gli altri o anche nel confessare un solo peccato senza tuttavia rinunciare agli altri» (DH 717).

È quanto afferma Amoris laetitia? Assolutamente no. Ebbene: si stupiranno i benpensanti, ma in nessun luogo dell’Esortazione si cita esplicitamente l’Eucarestia in relazione ai divorziati risposati, la cui disciplina è regolata dalla Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi del 7 luglio 2000, secondo la quale: «Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – “soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (FC, 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo» (2 c). Ora, come interpretare «in meliorem partem» tutto ciò? Lo si dice chiaramente: chi assuma l’impegno di vivere in piena continenza col proprio partner non si trova in stato di peccato grave abituale. Tuttavia, giacché siamo uomini, l’impegno preso può, talvolta, venir meno. E non sempre o per forza con deliberato consenso o piena avvertenza. Tantomeno con l’obiettivo specifico d’offendere Dio. In sostanza: si può cadere. Benché la materia sia grave, le attenuanti (la mancanza di piena avvertenza e di deliberato consenso) esistono. Ne abbiamo esperienza tutti i giorni. Il papa, in sostanza, pensa all’essenziale: avere la coscienza del Bene da perseguire, anche se il cammino può risultare faticoso e pieno di insidie (la maggior parte delle quali, peraltro, derivanti dalla nostra fragilità, talora notevolmente provata). Nel merito, è necessario perseguire la “perfetta continenza” in tutte le dimensioni in cui si dispiega nell’uomo (se credete, possiamo approfondire la questione), comprendendone le ragioni e sforzandosi sinceramente di attuarla; esprimendo, dunque, convintamente tale proposito nel corso della Confessione sacramentale. Non mi pare, dunque, che si affermi quanto supposto dai firmatari: da nessuna parte si afferma l’intenzione di abbandonare la «perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati»; tantomeno quella di «rifiutare l’assoluzione ai divorziati risposati che non manifestino la contrizione» necessaria. Piuttosto, si prende coscienza del fatto che la meta – l’astensione dalla carne – è raggiungibile attraverso tappe progressive (e qui c’è tutto Ignazio). Certo, è pur sempre necessario evitare lo scandalo (il ché è tutto dire, pensando a ben altre situazioni di disagio!). Sarebbe d’uopo che il cristiano raggiunga una maturità tale da comprendere che l’essere umano è soggetto fragile, erroneo – quindi, peccatore –, giacché non è Dio. Solo allora sarà possibile comprendere che non v’è alcun motivo di scandalo nel riconoscere i propri errori, farne ammenda, implorare la misericordia divina e godere dell’appartenenza a una Chiesa madre e non matrigna. E allora l’atto del “comunicarsi” tornerà al proprio significato originario: l’entrare (o il ritornare) in comunione con Dio. Ma, appunto, sarebbe d’uopo (anche se il common sense – chi ha orecchi per intendere… – del popolo cristiano, forse forse, v’è già arrivato. Chissà)[2].

Per concludere

Questo, dunque, il mio personalissimo percorso all’interno dell’Esortazione post-sinodale. Potrà essere condiviso o meno. Spero, comunque, che richiami a un necessario e sereno dibattito. Dottrina rivelata, sì (continuamente da approfondire); legalismo freddo e sordo ai problemi reali, no. Su questo penso che possiamo essere tutti – e sottolineo tutti – d’accordo. Insomma, mi pare che il senso generale dell’Esortazione possa essere racchiuso in quanto segue:

308: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”».

In tutto questo, cosa v’è di eretico o, se si vuole, di protestatizzante? Se v’è una via mediana alla fede cristiana, questa è esattamente la via “cattolica”. Semmai, è altrove che non è dato ritrovare accordo tra rigore e misericordia. Se poi il problema di lorsignori è sostanzialmente l’esercizio della sessualità all’interno d’una relazione adulterina, beh, allora si può dire che tale riduzione dell’essere umano a ciò che combina tra le lenzuola sia piuttosto limitante. Ma non credo, a ogni modo, che si tratti di questo. Senza dubbio, occorre affermare che l’uomo è molto di più della sua dimensione sessuale, anche se essa lo caratterizza in tutto il suo essere. Estrapolare questa realtà dalla totalità dell’essere “uomo” è decisamente fuorviante.

Insomma, le supposte proposizioni eretiche di papa Francesco rischiano di fare la fine di tutte le supposte. Ma vediamola in positivo. Se le proposizioni di Amoris laetitia ritenute “ereticali” ci hanno stimolato ad approfondire alcune tematiche dottrinali e a prendere maggior coscienza della visione antropologica cristiana, possiamo ben dire con san Paolo che «che tutto concorre al bene, per coloro che amano Dio» (Rom 8, 38).

Antonio Musarra

Post scriptum pseudo-ereticale (o del come si potrebbe estremizzare una parte del discorso)

«Io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5, 28). E aggiungo, per par condicio: chiunque guardi un uomo per desiderarlo, ha già commesso adulterio con lui nel suo cuore. Ora – ragiono in termini rigoristi –, non venitemi a dire che la condizione pubblica dell’adultero sia meno grave di quella dell’adultero “d’immaginario”. Ma mettiamo pure che vi sia una differenza, una gradualità. Vi rivelo una grande verità: siamo tutti fregati…

Ma tutto questo non è forse meravigliosamente-profondamente-ontologicamente umano?

AM

***

Note

[1] Al momento, l’unica critica seria e argomentata che ho avuto modo di leggere (ma solo dopo aver buttato giù questo testo), trovasi in http://www.lastampa.it/2017/10/03/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/la-correctio-metodo-scorretto-non-discutono-condannano-VSBiQj8z9TVDxisQYvfXpI/pagina.html Si tratta dell’intervista rilasciata da Rocco Buttiglione ad Andrea Tornielli il 3 ottobre 2017 [9/10/2017]

[2] Rocco Buttiglione spiega tutto questo molto meglio di me (e vorrei ben vedere!): «Esiste una impossibilità assoluta di dare la comunione a chi sia in peccato mortale (e questa regola è di diritto Divino e quindi inderogabile) ma se, a causa della mancanza di piena avvertenza e deliberato consenso, non vi sia peccato mortale, la comunione si può dare, dal punto di vista della teologia morale, anche ad un divorziato risposato. Esiste poi un’altra proibizione, non morale ma giuridica. La convivenza extra/matrimoniale contraddice chiaramente la legge di Dio e genera scandalo. Per proteggere la fede del popolo e rafforzare la coscienza della indissolubilità del matrimonio la legittima autorità può decidere di non dare la comunione ai divorziati risposati anche nel caso in cui non siano in peccato mortale. Questa regola però è di diritto umano e la legittima autorità può consentire delle deroghe per giusta ragione», cfr. http://www.lastampa.it/2017/10/03/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/la-correctio-metodo-scorretto-non-discutono-condannano-VSBiQj8z9TVDxisQYvfXpI/pagina.html [9/10/2017]