Minima Cardiniana 194/1

Domenica 31 dicembre – San Silvestro

COMUNICATO. REPETITA IUVANT, MA A TUTTO C’E’ UN LIMITE

Ai frequentatori più suscettibili ed esigenti di questo blog.

Carissimi, tenete presente che: 1. Quando posso, non sempre immediatissimamente, io rispondo a tutti: magari laconicamente, non sempre educatamente, comunque rispondo. 2. Ricevendo molti messaggi al giorno, entrano in gioco SPAM e “Posta indesiderata”, oltre ad umanissimi errori di autocancellazione ecc. 3. Quindi, se non Vi rispondo, anche se tra Voi ci sono corrispondenti illustri quali Fra Cacchio da Velletri, è inutile che diate in escandescenze, che mi accusiate di scarsa serietà, di superbia, di viltà intellettuale, d’indisponibilità di argomenti di fronte ai Vostri che sono molti e raffinatissimi eccetera: vuol semplicemente dire che i Vostri precedenti messaggi, lasciati senza risposta, non li ho mai ricevuti. 4. Chi di Voi insisterà sulla strada delle escandescenze, faccia pure, ma tenga presente che sotto i panni di un vecchio, grasso professore emerito si nasconde ancora un insolente e turpiloquente  Ragazzo di San Frediano: per cui non Vi stupite ove Vi si risponda rivelandoVi i trascorsi professionali dei Vostri genitori (specie di ramo materno) o consigliandoVi amene località di villeggiatura da visitare.

UNA FESTA IN CIELO

UNA BUONA NOTIZIA PER L’ARCANGELO MICHELE

Nessun dubbio che Chief Sitting Bull, quello che nel 1866 ha insegnato al mondo come si trattano gli ex-generali di vent’anni, occhi turchini e giacca eguale, ora parli con gli arcangeli, nel Cielo di Marte. A lui e al suo collega, l’arcangelo Michele, farà un gran piacere l’arrivo, finalmente, di un nuovo collega. Per la verità, il collega era già con loro: ma grazie a Dio la Chiesa ci autorizza oggi ad averne certezza.

Sull’argomento ecco un bouquet di notizie e di commenti.

(da Libero)

Vaticano, Papa Francesco e la clamorosa mossa politica: così farà santo il pellerossa Alce Nero

Si chiamava Black Helk, Alce Nero. Ma quello era il nome che gli diedero i bianchi. In realtà, nella sua lingua lakota era Henàka Sàpa, Cervo Nero. Figlio di uno sciamano e nipote di Cavallo Pazzo, nato intorno al 1863 in quello che oggi si chiama Wyoming, Alce Nero sarà il primo nativo americano a diventare santo.

Alce nero, infatti, è morto cattolico. La sua conversione, nel 1904, fu seguita dalla predicazione del verbo della Bibbia nelle riserve , dalla recita di sermoni brillanti e dal battesimo di 400 nativi. Quando morì nel Sud Dakota, ultraottuagenario, aveva adottato il suo nome cristiano: Nicholas, datogli dai gesuiti del Santo Rosario.

La sua conversione e la sua storia di Cristiano offre alla Chiesa la possibilità di fare pace, finalmente, con i popoli indigenti del nord America: è così che nella loro ultima conferenza a Baltimora i vescovi statunitensi hanno approvato l’avvio del processo di canonizzazione del capo Sioux che a 12 anni combatte a Little Big Horn e che a Wounded Knee, invece, vide di fatto la morte di un popolo. “Vi chiedo umilmente perdono per i crimini commessi contro i popoli indigenti nel corso della cosiddetta conquista dell’America” aveva detto due anni fa Papa Francesco in un discorso in Bolivia. Ora, come riporta il Corriere della Sera, il perdono porta il nome di Alce Nero.

(dal portale Ansa)

I “pellerossa” avranno un santo, il leggendario capo Sioux Alce Nero

Nell’ottobre del 2012 era stata già canonizzata da Benedetto XVI Kateri Tekakwitha (1656-1680), patrona del Canada e ‘amerinda’

Alce Nero sarà santo: questo l’impegno dei vescovi americani che nella loro ultima conferenza a Baltimora hanno approvato l’avvio del processo che, in caso di conclusione favorevole, vedrà il leggendario capo Sioux innalzato agli onori degli altari: il primo guerriero “pellerossa” e uno dei pochi nord-americani. Alce Nero (Black Elk), che da bambino combatté a Little Big Horn contro il generale Custer, e che girò il mondo con Buffalo Bill e vide gli orrori del massacro dei Sioux a Wounded Knee, era cattolico.

Dopo il battesimo nel 1904, il più influente leader indiano del ventesimo secolo battezzò centinaia di Sioux e altri indiani, insegnando la Bibbia, celebrando messe, predicando sermoni e vivendo una vita umile fino alla morte nel 1950 in una riserva del South Dakota. I missionari che lo battezzarono nel giorno di San Nicola gli diedero Nicholas come nome da cristiano. Nell’ottobre del 2012 era stata già canonizzata da Benedetto XVI Kateri Tekakwitha (1656-1680), patrona del Canada e ‘amerinda’.

(dal portale Il Sussidiario)

ALCE NERO SARÀ SANTO/ Chi è il primo guerriero pellerossa canonizzato dalla Chiesa Cattolica

Alce Nero sarà santo: chi è il primo guerriero pellerossa canonizzato dalla Chiesa Cattolica. Le ultime notizie sul capo Sioux per il quale è stato avviato processo di canonizzazione

Un capo Sioux potrebbe diventare santo: i vescovi americani stanno perseguendo il processo di canonizzazione per Alce Nero. A chiederla sono stati alcuni dei suoi discendenti, che nel marzo dell’anno scorso hanno presentato una richiesta formale al vescovo di Rapid City, nel Sud Dakota. A ottobre è stato ufficialmente avviato il processo di raccolta di testimonianze sulla sua vita che potrebbe portare alla dichiarazione di santità. Alce Nero comunque non sarebbe il primo amerindio a venire canonizzato. Papa Benedetto XVI nell’ottobre 2012 dichiarò santa Kateri Tekakwitha, patrona del Canada. Intanto tra gli studiosi è già partito il dibattito sulla conversione del capo Sioux: è stata una sua scelta o ha ceduto alle pressioni dei missionari? Una sua discendente, l’attivista Iakota Charlotte Black Elk, si è infatti rivolta in maniera molto critica nei confronti della Chiesa. Sta di fatto che Alce Nero è stato per decenni il più influente cattolico tra gli indiani d’America.

ALCE NERO SARÀ SANTO: LA CONVERSIONE

Nato nel dicembre 1863 in quello che oggi è il Wyoming, Alce Nero visse il periodo di espansione verso Ovest degli insediamenti americani e la relativa fine della civiltà Sioux, relegata in riserve dove arrivarono decine di sacerdoti intenzionati a convertire gli amerindi. Prima di farsi battezzare nel 1904, era stato un “wichasha wakan”, un guaritore tradizionale e leader spirituale della sua gente. Dopo la conversione portò il cristianesimo tra centina di membri della sua tribù e di altre, insegnando la Bibbia e dicendo la messa. Girò il mondo con la sua compagnia itinerante di Buffalo Bill, combattere anche a Little Big Horn, nella leggendaria battaglia nella quale gli indiani d’America affrontarono le truppe del generale Custer e assistette al massacro dei Sioux a Wounded Knee. Nel 1950 morì nella riserva di Pine Ridge, nel Sud Dakota. Prima della conversione era chiamato Alce Nero, poi Nicolas, perché la cerimonia del Battesimo si tenne il giorno di San Nicola.

(dal portale In Terris)

Alce Nero potrebbe essere santo

I vescovi americani hanno approvato l’avvio del processo di canonizzazione del leggendario capo Sioux

L’ultima conferenza dei vescovi americani, svolta a Baltimora, ha segnato l’avvio di un processo di canonizzazione davvero speciale: la persona indicata per essere elevata agli onori degli altari, infatti, è nientemento che il grande capo dei Lakota Sioux Big Elk, meglio conosciuto con il nome tradotto di Alce Nero. L’uomo di medicina degli Oglala (un wichasha wakan, unleader spirituale), tra i più noti guerrieri pellerossa della storia, si convertì alla fede cattolica nel 1903, circa due anni dopo la morte di sua moglie Katie, già battezzata come cristiana: da quel momento, la vita del Sioux si articolerà totalmente sui dettami della religione, vissuta nel rispetto dei carismi della sapienza e dell’evangelizzazione. Grazie ai suoi insegnamenti, la Bibbia diventerà sempre più diffusa nella sua tribù e anche il numero dei pellerossa battezzati salirà considerevolemente.

Da Little Bighorn verso la fede

Il suo esempio di vita cristiana, secondo i vescovi americani, sarà alla base dell’iter di canonizzazione di Alce Nero il quale, in caso, diverrebbe il secondo pellerossa a raggiungere il titolo di santo della Chiesa cattolica: nel 2012, infatti, Papa Benedetto XVI aveva santificato Kateri Tekakwitha, figlia di un capo irochese e considerata padrona del Canada, una delle pochissime persone native dell’America a essere proclamata santa. La sua storia affonda le radici ben prima della nascita di Alce Nero, nei decenni che seguirono le prime colonizzazioni europee nel Nord America: Kateri, resa sfigurata dal vaiolo, visse la sua fede in un convento di gesuiti con voto di perpetua verginità, dedicando la sua vita al lavoro e alla preghiera. La storia del capo Lakota, però, è molto diversa: a soli 12 anni prese parte alla battaglia di Little Bighorn, nella quale i guerrieri Sioux, guidati da Toro Seduto e Cavallo Pazzo, inflissero una delle più dure sconfitte all’esercito americano, annientando il Settimo cavalleggeri del tenente-colonnello Custer.

Wounded Knee e la conversione

Ma la grande imposizione del 1876 rimarrà solo un ricordo, ben meno vivido del Massacro di Wounded Knee, del quale fu testimone: in quel tragico giorno di dicembre del 1890, uno squadrone di cavalleria trucidò 300 indiani inermi, tra i quali il capo Big Foot, consumando uno degli episodi più drammatici delle Guerre Sioux. Fu probabilmente questo evento tragico a segnare lo spartiacque fra la sua vita di guerriero e l’inizio del suo percorso nella fede cristiana, iniziato di fatto dopo il suo primo matrimonio e proseguita con una vita, da quel momento come prima di allora, dedicata interamente al suo popolo. Morirà nel 1950 con il nome di Nicholas, avuto il giorno del suo battesimo avvenuto proprio nel giorno di San Nicola. La sua canonizzazione, sulla quale permane qualche dubbio legato al suo percorso di conversione, è stata richiesta da alcuni suoi discendenti nel marzo del 2016, i quali hanno presentato una richiesta formale al vescovo di Rapid City, nel Sud Dakota. A ottobre, è stata avviata la raccolta delle testimonianze sulla sua vita che, qualora ne comprovassero le virtù, potrebbero dare l’ufficiale via al processo verso gli altari.

(La Stampa)

Stati Uniti, “Alce Nero” sulla via della santità

La Conferenza episcopale ha approvato la prima fase della causa di Black Elk, il servo di Dio appartenente ai nativi Lakota del popolo Sioux nelle terre fra il Nord e il Sud Dakota

Dopo il «giglio degli Irochesi», santa Kateri Tekakwitha, la giovane della tribù dei Mohawk a cui è dedicato il santuario nei pressi di Fonda nello stato di New York e venerata in tutto il Nordamerica, potrebbero raddoppiare i nativi americani saliti agli onori degli altari. La Conferenza episcopale degli Stati Uniti, riunitasi la settimana scorsa a Baltimora per l’assemblea plenaria d’autunno, su richiesta del vescovo Robert D. Gruss di Rapid City (South Dakota), ha dato infatti il via alla fase di ricognizione diocesana nei confronti del servo di Dio, Nicholas Black Elk del popolo dei Lakota, chiamato anche “Teton”, una delle branche degli indiani Sioux che abitano tra il Nord e il Sud Dakota.

Sterminati dai colonizzatori per quasi tre secoli, i nativi nordamericani, che oggi risiedono perlopiù all’interno di alcune Riserve, ottennero il riconoscimento dei diritti civili e politici solo alla metà del XX secolo (Civil Rights Act del 1964). Da quel momento ebbe inizio una lenta e faticosa rinascita di quelle popolazioni che è andata in parallelo alle rivendicazioni degli afroamericani: un movimento accompagnato dai cattolici con sempre maggior convinzione. Decisivo è stato il riconoscimento degli errori compiuti dalla stragrande maggioranza dei missionari al seguito degli Europei in termini di opposizione e sradicamento della cultura locale. «Vi chiedo umilmente perdono, non solo per le offese commesse dalla Chiesa, ma anche per i crimini commessi contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America», dichiarava Papa Francesco in un discorso storico alla Conferenza mondiale dei Movimenti Popolari a Santa Cruz in Bolivia, nel corso della sua visita nel luglio 2015.

Nel solco di questa sempre più esplicita rivalutazione della cultura indigena da parte della Chiesa cattolica si colloca la storia di Black Elk (Alce Nero). Grazie a lui, nelle celebrazioni eucaristiche, talvolta anche fuori dalle riserve, la cultura dei nativi si dispiega oggi tra canti e danze caratteristiche (e al momento della consacrazione il tamburo rende onore a Cristo che i Lakota chiamano Wanikiya, «Colui che fa vivere»).

Black Elk-Alce Nero (almeno questa è la traduzione inglese del nome indiano Heȟáka Sápa che in realtà significa Cervo nero) nacque lungo il Little Powder River nella tribù degli Oglala Lakota – un popolo che vanta figure come Toro Seduto-Thathánka Íyotake e lui stesso era cugino di Thašúŋke Witkó-Cavallo Pazzo – ma la data è incerta e si può far risalire al dicembre 1863 (secondo le misurazioni Lakota è nato «in inverno quando furono uccisi i corvi sul fiume»).

Le vicende della sua vita le ha raccontate lui stesso nel 1932 nel corso di un’intervista-fiume, aiutato dal figlio Ben, con l’etnologo e poeta John G. Neihardt pubblicata in diverse edizioni (l’ultima risale al 2008). Negli anni ’70 il libro “Black Elk Speaks” divenne la fonte più importante per conoscere la spiritualità dei nativi americani rivalutata al punto che l’11 agosto 2016, il board degli USA sui nomi geografici ha ufficialmente ribattezzato Black Elk Peak il Harney Peak, punto più alto del South Dakota, anche come riconoscimento del significato della montagna per i popoli indigeni.

Uomo di medicina, come il nonno, Alce Nero si convertì al cattolicesimo nel 1904 attorno ai quarant’anni (cattolica era la prima moglie Katie morta nel 1903) insieme a tre figli: grazie ai gesuiti della missione del Santo Rosario, nei pressi di Pine Ridge, che inizialmente si erano opposti ad una cerimonia di guarigione da lui presieduta, il 6 dicembre, nella festa di san Nicola, fu battezzato Nicholas William. Risposatosi con Anne, anch’essa cattolica, ebbe altri figli e divenne catechista: noto per la straordinaria memoria nel citare la Scrittura e l’efficacia della predicazione, le cronache raccontano che la sua testimonianza di fede contribuì a oltre 400 conversioni.

Nei suoi racconti un evento significativo accaduto a nove anni di età quando nel corso di una grave malattia ricorda di aver avuto una visione: la visita delle creature del Tuono (Wakinyan), rappresentanti le sei sacre indicazioni (ovest, est, nord, sud, sopra e sotto), «spiriti gentili e amorevoli alla stregua degli antenati». Da essi e dalla vista di un grande albero che simboleggiava la vita sulla terra e tutta l’umanità, «aveva imparato molte cose per aiutare la sua gente». Nel corso della visione ricorda di essere stato portato al centro della terra dove esisteva una montagna, perno attorno alla quale ruotava l’intera volta celeste: un cerchio «largo come la luce del giorno e delle stelle di notte» circondava un grande albero in fiore a protezione, paterna e materna, del suo popolo di ogni tempo.

Nel 1887 viaggia alla volta dell’Inghilterra al seguito del Buffalo Bill Wild West Show, uno spettacolo cistercense in cui venivano illustrate rappresentazioni del Far West tra cui anche la battaglia di Little Bighorn nel 1876 (dove morì il generale Custer): uno degli eventi memorabili fu in occasione del Golden Jubilee della Regina Vittoria. Durante il soggiorno in Europa riconobbe di aver avuto «una straordinaria opportunità di studiare lo stile di vita dell’uomo bianco e imparare la lingua inglese», ma abbandonò ben presto la compagnia per rientrare nella sua terra (combattè anche nella battaglia di Wounded Knee nel 1890). Forte della sua esperienza di teatro, realizzò alcune rappresentazioni allo scopo di far conoscere ai connazionali bianchi la vita e la cultura della sua gente. Morì il 19 agosto 1950.

Oggi, nella sua parrocchia di Pine Ridge, fondata dai gesuiti nel 1890 – che solo pochi mesi fa decisero di restituire le terre allora sottratte ai nativi – è già considerato santo anche per l’accettazione serena del lungo elenco di sofferenze cui andò incontro: la morte di parto della prima moglie insieme al figlioletto William, e poi un altro figlio John vittima della Tbc a 12 anni, un figlio nato morto e anche una figliastra deceduta nel 1910. «Il mio cuore ora è triste, ma non diventerà mai cattivo – scrisse in una lettera nel 1948 – Da quando Wakan Tanka (il nome di Lakota per indicare Dio, Grande Spirito) ha dato luce al mio cuore, esso rimane in una luce che non conosce tramonto».

Nel 1885, appresa la storia di Kateri Tekakwitha, Black Elk aveva firmato una petizione per la causa della sua canonizzazione (avvenuta poi nel 2012 per volontà di Benedetto XVI), mentre il 14 marzo 2016 una petizione per lui, con oltre 1.600 firme, è stata presentata al vescovo Gruss di Rapid City dalla sua famiglia.

L’avvio del processo che potrebbe condurlo sugli altari rientra in quel processo che vede una sorta di guarigione della memoria di troppe vicende storiche legate ad un passato che si fa monito per la costruzione di una convivenza migliore (qualcuno parla addirittura di «decolonizzazione»). Per quanto riguarda la Chiesa Black Elk è considerato il fautore della fusione ideale tra la cultura lakota e quella cattolica. «Questa inculturazione può rivelare qualcosa della vera natura e della santità di Dio», ha detto monsignor Gruss (un passato di carriera militare nell’aeronautica) celebrando alla Holy Rosary Church nell’estate scorsa e annunciando la nomina a postulatore diocesano di Bill White del popolo Lakota e candidato al diaconato. E sono in molti a confidare nel sostegno di papa Bergoglio che ha parlato della spiritualità indigena anche nella Laudato si’ (LS 63).

Fino ad oggi la Chiesa degli Stati Uniti conta 11 santi, 3 beati (l’ultimo in ordine di tempo è il cappuccino Francisco Solano Casey dal 18 novembre scorso) e 11 venerabili.