Minima Cardiniana 223/1

DOMENICA 25 NOVEMBRE 2018. FESTA DI CRISTO RE

Si conclude con oggi il ciclo dell’Anno Liturgico

NON AGENDA, SED COGITANDA

Molti di Voi, care Amiche e cari Amici, mi chiedono perché da un po’ di settimane non pubblichi più l’Agenda dei miei impegni. Non lo faccio per un problema grammaticale. Agenda è gerundio neutro plurale del verbo ago,“fare”. Ma ormai dai primi di settembre, con qualche settimana d’intervallo, io non posso più agere granché. Difatti, purtroppo, non est agendum prima con un’embolia polmonare, quindi con un malleolo fratturato. Tra cliniche e residenza domestica, se ne sono andati ormai un paio di mesi e mezzo. Vi sarà poi il periodo delle feste: continuerò a deliziarVi – si fa per dire – con i miei Minima, però non avrò niente da comunicarVi quanto ad attività di relatore, conferenziere eccetera. Prevedo di riprendere la pubblicazione dell’Agenda, a Dio piacendo e salvo imprevisti, verso la metà del gennaio 2019. Per adesso, quindi, mi prendo un periodo di riflessione: Nunc non est agendum, sed cogitandum.

 ULTIMISSIMA ORA

Quella di non farcela mai a diffondere il Minimum Cardinianum entro le 24 della domenica, e di dover terminare il lavoro al lunedì è una brutta abitudine che sta diventando cronica. E che fra l’altro espone a gravi rischi. Come questo: oggi 26 novembre 2018, al mattino, è arrivata la notizia dell’incidente russo-ucraino nello Stretto di Kelch: un vero e proprio scontro armato, sia pur di modeste proporzioni, cui hanno tenuto dietro confuse notizie su una “legge marziale” proclamata o da proclamare da parte del governo di Kiev. Ovviamente, i mediaeuropei sono allineati e coperti sulla tesi della “responsabilità” e delle “provocazioni” da parte russa. La situazione potrebbe avere sviluppi difficilmente prevedibili. Forse è un fuoco di paglia, forse dovremo riparlarne.

 UNA NOTA DI COSTUME CULTURALE ITALIANO

In Italia si legge poco e male, dicono. E sarà anche vero: ma non è finita lì. Bisognerebbe chiedersi anche che cosa si legge, quando si legge, e come lo si legge. Ecco un esempio di “malatettura colta”.

COME TI CORREGGO IL PROFESSORE

Come diceva sempre la mi’ nonna, chi no fa non sbaglia. Chi fa, invece, si espone fatalmente all’errore: e sovente ci cade. E chi è caduto in errore, se è persona intellettualmente onesta, dev’esser pronto a denunziare i suoi falli e grato a chi lo aiuta a individuarli.

Avendo sempre agito così, mi trovo tuttavia dinanzi a un fenomeno frustrante. I lettori colti ed attenti, o che si sforzano di esser tali (sono di solito loro a denunziare con solerzia gli sfondoni che rilevano nei vari media), di rado si accorgono e più di rado ancora denunziano errori concettuali: di solito, quando ad esempio si tratta di storia, le loro denunzie – anche severe, spesso indignate – riguardano date cronologiche o refusi di stampa. In altri termini, il loro contributo critico è inesistente.

Faccio un esempio che mi riguarda. Recentemente è comparso nelle librerie il libro di F. Cardini e S. Valzania, La pace mancata. La conferenza di Parigi e le sue conseguenze (Mondadori), che svolge la tesi secondo la quale le “cattive paci” di quelli che collettivamente sono detti i “trattati di Parigi” tra 1919 e 1920 hanno costituito – come la definisce lucidamente David Fromkin – “una pace per farla finita una volta per tutte con qualunque pace”: e noi viviamo ancora nella drammatica onda lunga di quegli errori. Protagonista del piano di pace fu il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson: studioso rigorosissimo, galantuomo integerrimo, benissimo intenzionato e massimo responsabile di quel generale insuccesso.

Al nostro libro, il quotidiano torinese “La Stampa” ha dedicato il 13 novembre un articolo pubblicato a p. 24. Apriti cielo: diluvio d’indignate proteste che hanno investito anche il mio computer. Alcune di esse hanno raggiunto anche la redazione del quotidiano, che è – va detto a suo onore – l’unico grande giornale italiano a disporre di un “garante dei lettori”. Che cos’era accaduto? Dove stava lo scandalo?

A svelarlo ha pensato la “garante” stessa, la brava Anna Masera, in un puntuale “taglio basso” a p. 26 dell’edizione del 20 novembre scorso. Alcuni lettori avevano letto sull’articolo di una settimana prima che Valzania ed io sostenevamo che il presidente Wilson era repubblicano. Apriti cielo! “Lo sanno anche i bambini” – denunzia uno scandalizzato lettore “che era democratico”.

Prima di svelare il fin troppo prevedibile arcano, sia concessa una considerazione. Valzania e Cardini possono ben essere gli ultimi degli uomini, la vergogna del genere umano, un’immonda sentina d’ignoranza: ma alla fin fine sono pur sempre docenti universitari, gente che ha sulle spalle anni di attività nella scuola pubblica e in RAI; è mai possibile che scrivano sulla fine della prima guerra mondiale un libro di 240 pagine senza sapere nemmeno quello che appunto “sanno anche i bambini”, cioè che Wilson era democratico? Intendiamoci: il libro può esser pieno di errori: e i suoi coautori saranno grati a chiunque segnalerà loro gli errori seri che senza dubbio ci sono. Errori di ricostruzione storica, di fraintendimento, di omissione: errori che, per essere scoperti, necessitano un po’ più di competenza da parte del “lettore colto”. Il quale invece, per pigrizia o per superficialità, al merito sostanziale dell’argomento trattato nemmeno ci pensa. Il lettore “colto” si attacca al refuso o alla bufala evidente: tanto evidente da far pensare che c’è sotto qualcosa che non va. È evidentemente impossibile che la sia pur indegna coppia Valzania-Cardini ignori che Wilson era democratico: peraltro, sarebbe bastato andar a controllare il libro. Ma non lo ha fatto nessuno.

Difatti, in La pace mancata, a p.8, si rievocavano le elezioni del 1912, quando il candidato democratico Wilson vinse pur mettendo insieme poco più del 40% dei voti in quanto il partito repubblicano si era spaccato in due tronconi ciascuno impegnato a sostenere W.H Taft o il suo concorrente “Teddy” Roosevelt.

A p.9. il libro continua raccontando che cos’aveva fatto Wilson dopo la vittoria del 1912: “Dopo quattro anni piuttosto opachi di governo, con il partito repubblicano ancora lacerato dalle divisioni interne, Woodrow Wilson si ripresentò davanti agli elettori: il motto della sua seconda campagna elettorale fu He kept us out of war,ci ha tenuti fuori dalla guerra. Ottenuta la riconferma il 5 novembre 1916, dopo esattamente cinque mesi dichiarò guerra alla Germania, il 6 aprile 1917”.

È difficile equivocare su un testo di questa semplicità: in particolare, vi si spiega come il democratico Wilson vincesse di nuovo, come quattro anni prima, perché i repubblicani erano divisi. Ma quel ch’era accaduto è la signora Masera a spiegarlo: “…a causa di una eccessiva sforbiciata in redazione e l’inserimento di un pronome di troppo sembrerebbe che Cardini non sapesse che Wilson era democratico”.

A voler esser precisi, non di un pronome bensì di un aggettivo possessivo si è trattato. Nella pratica, il frettoloso articolista (il quale a differenza di Valzania, di me, dei lettori e dei bambini non è evidentemente sicuro che Wilson fosse democratico) si è trovato dinanzi al passaggio di p. 9 or ora citato, non si è dato la pena di controllare quanto era scritto appena più sopra, a p.8 e ha associato con ben poca coerenza il fatto delle divisioni interne al partito repubblicano alla persona di Wilson; tuttavia, sembrandogli che anche a livello logico-stilistico il senso del discorso non fosse corretto, ha interpolato la citazione tratta dal libro con un bel suo (di Wilson) tra l’articolo ile il sostantivo partito. Certo, in questo modo il senso del discorso era alquanto bislacco: con il “suo” partito repubblicano ancora lacerato, Wilson si sarebbe presentato alle elezioni (per i repubblicani, evidentemente) e avrebbe vinto. Concettualmente, fa acqua da tutte le parti: ma sotto il profilo della logica grammaticale, fila.

Ora, un “lettore colto” dotato di un minimo di senso logico avrebbe scritto alla “garante” denunziando la maldestra distrazione dell’articolista, non già denunziando un’improbabile ignoranza dei coautori dei libri, peggiori appunto dei bambini. Di consultare il libro, non se ne parla. Di ragionare, nemmeno; di tacere, poi, giammai. Come si fa a perdere una tanto buona occasione di vedersi citato sul giornale senza nessuno sforzo, per giunta prendendosi la soddisfazione di denunziare la presunta ignoranza del solito “professore” che pontifica su libri e giornali ignorando quel che “sanno anche i bambini”? Se in Italia abbiamo “lettori colti”, e per giunta vigili, di questo genere, non v’è certo bisogno di troppi sforzi per capire perché stiamo andando tanto male.