Minima Cardiniana 269/6

Domenica 16 febbraio 2010, Santa Giuliana

BUONE NOTIZIE DALL’IRLANDA
Ogni tanto ci si cava qualche desiderio e si riceve qualche soddisfazione. Quella della vittoria elettorale del Sinn Féin, giratela come volete, è una buona notizia: a che cosa poi porterà, e come le cose si evolveranno, è un altro discorso. Ma godiamocela in pace: evviva san Patrizio, il trifoglio, il whiskey e la Guinness.

DAVID NIERI
VENTI NAZIONALISTI NELLA REPUBBLICA D’IRLANDA
Tutto, probabilmente, è legato ai movimenti tellurici di assestamento scatenati dal terremoto Brexit. Ma il risultato delle elezioni tenutesi lo scorso 8 febbraio per eleggere i membri del Dáil Éireann, ovvero la camera bassa dell’Oireachtas, il Parlamento della Repubblica d’Irlanda, si pone come una chiave di lettura da non sottovalutare in vista di ulteriori scosse. Il quadro politico irlandese, fin dagli anni Trenta, è stato dominato dall’alternanza tra le due formazioni di centro-destra, Fine Gael e Fianna Fáil. Il terzo incomodo dell’ultima tornata si chiama Sinn Féin – “Noi soli” in traduzione italiana –, che non può essere etichettato semplicemente come “partito nazionalista di sinistra”. La sua ascesa vertiginosa – dieci punti percentuali rispetto alle elezioni del 2016 – rappresenta un chiaro segnale di insofferenza, anche se il 24,5% dei consensi (il Fianna Fáil, oggi guidato da Micheál Martin, ha ottenuto il 22,%, mentre il Fine Gael del primo ministro uscente Leo Varadkar un deludente 20,9), in base al sistema elettorale irlandese, non regalano a Sinn Féin un equivalente in numero di seggi: 37 dei 160 a disposizione, mentre Fianna Fáil ne ha ottenuti 38 e Fine Gael 35; ai Verdi andranno invece 12 seggi, ai laburisti e ai socialdemocratici 6.
Sarà, con ogni probabilità, un nuovo e rinnovato governo di coalizione a guidare il paese, con Leo Varadkar ancora in lista per il ruolo di premier. Ma l’esito del voto merita un’analisi più approfondita, soprattutto per meglio comprendere gli umori dell’elettorato.
Sinn Féin ha assunto la forma attuale negli anni Settanta durante la guerra civile in Nordirlanda, appoggiando l’IRA, l’esercito repubblicano, e presentandosi alle elezioni politiche sia in Ulster sia nella Repubblica d’Irlanda. La sua vertiginosa ascesa è una risposta alle politiche di austerità imposte dopo la crisi finanziaria del 2008 – della quale l’Irlanda, più di altri paesi, ha subìto le conseguenze –, che ha causato forti tagli alla spesa sociale. Un paese, dunque, socialmente provato anche se in salute a livello economico e con un tasso di disoccupazione sotto la media europea (4,8%, oltre la metà rispetto a quello italiano). Sarà l’effetto Brexit? La classe media e imprenditoriale è infatti preoccupata per il rischio dazi sulle esportazioni verso il mercato britannico, che ovviamente rappresentano una percentuale elevatissima.
Ma la fascia della popolazione che più ha manifestato il proprio consenso nei confronti di Sinn Féin è quella giovanile (un elettore su tre tra i 18 e i 24 anni). Un dato significativo che tende a rafforzare la richiesta del partito, già formalizzata dalla leader McDonald, di tenere un referendum sull’unificazione dell’isola entro cinque anni. Che sia meglio un’Irlanda riunificata se la Brexit, in fin dei conti, non garantirà quel miglioramento auspicato? Staremo a vedere. Intanto, il premier britannico Boris Johnson ha un’altra gatta da pelare, dopo quella scozzese.