Minima Cardiniana 272/2

Domenica 8 marzo 2020
II Domenica di Quaresima
San Giovanni di Dio
Festa della Donna

CORONAVIRUS
MA IL VIRUS (LETALE) SARÀ LA NOSTRA INADEGUATEZZA
8 marzo, festa della donna. Ma della donna oggi non si parla, l’economia della mimosa è in ginocchio, come un paese, il nostro, che più di altri ha subìto il contraccolpo del Covid 19, la nuova peste nera la cui letalità ha colpito soprattutto il buonsenso. Non me ne volete: non sono un medico, non sono uno scienziato, non sono un virologo. Sono tra quelle persone che al lupo non hanno gridato, né tantomeno gridano oggi. Sono tra quelle persone che hanno ritenuto, fin dall’inizio, che l’emergenza e la psicosi da coronavirus fosse esagerata, addirittura inspiegabile. Tra coloro che, nonostante si guardino intorno e vedano un po’ ovunque una sorta di terra desolata, continuano a ritenere sovrastimata la gravità del virus. Anche se il virus c’è, non è un’influenza, e ovviamente va arginato. Per il bene di tutti.Ho assistito a una reazione scomposta. A partire dall’alto, ovvero dalle sfere governative, per scendere i gradini fino ad arrivare a noi, comuni mortali. Inutile sciorinare dati e appigli statistici, quelli si possono recuperare facilmente ovunque, dai siti istituzionali fino ai portali dell’informazione. Aggiornati in tempo reale. Sorvolo inoltre sulla “fuga di notizie” e sulla fuga da Milano e dalla Lombardia – notizie della penultim’ora –, ormai di pubblico dominio; sulla chiusura delle chiese, sulla decisione, da parte di alcuni vescovi, di sospendere le benedizioni pasquali.
La questione – a mio parere – più grave è l’inadeguatezza con la quale questa emergenza è stata affrontata, almeno qui da noi, nel nostro paese e nel nostro Occidente in generale, quello delle magnifiche sorti e progressive. In Cina, da dove probabilmente il virus ha cominciato a diffondersi – anche se non ci sono certezze assolute, visto che qui in Italia, verosimilmente travestito da influenza, sembra si sia presentato fin dallo scorso ottobre –, le misure sono state drastiche e, a quanto pare, efficaci. I nuovi infettati – così si dice – sono ormai pari allo zero.
Il fatto è che in Cina, ovvero il paese dove ancora, secondo l’opinione pubblica, vige una dittatura liberticida, le persone hanno rispettato pedissequamente le norme imposte, senza fiatare. Con estrema disciplina. Quello che non sta accadendo qui da noi, e un po’ in generale in Europa, che ha accusato preventivamente l’Italia “untrice” senza mai aver controllato i propri cittadini, visto che quando ha cominciato a farlo le diagnosi di positività al coronavirus non sono mancate – né mancheranno, basterebbe effettuare quei controlli che probabilmente proprio l’Italia, prima di altri, ha effettuato. La psicosi è trasversale: le istituzioni si sono dimostrate inadatte, con infiniti tira e molla sui decreti, chiusura o non chiusura delle scuole, il calcio – vera e spesso unica ragione di vita dell’italiano medio – che si deve fermare ma non si ferma e va avanti “a porte chiuse”; e così i cittadini, che troppo spesso si sono fatti beffe delle disposizioni ministeriali – uscire poco di casa, mantenere una sufficiente distanza di sicurezza –, non potendo rinunciare alla settimana bianca, all’apericena con gli amici o alla movida. È qui che si concentra il cortocircuito, la totale assenza di qualsiasi forma di rispetto e attenzione nei confronti delle regole, del prossimo, dunque della comunità: la grave – e volontaria – inconsapevolezza che, agendo indiscriminatamente secondo i propri desideri, non siamo pericolosi solo per noi stessi, ma soprattutto per gli altri. Ognuno è libero di pensare che il coronavirus sia un’influenza o poco più: ma se esistono linee guida, queste vanno rispettate e il cittadino deve adeguarsi. Si tratta, comunque la si voglia intendere, di un’emergenza. Il virus va arginato perché rischia di compromettere lo stato di salute – già decisamente precario – di un paese, il nostro. Agire irresponsabilmente può causare danni irreversibili. Ed è questa, l’irresponsabilità, ad affondare radici profonde e ormai difficilissime da recidere. L’irresponsabilità che si autogenera dalla way of life che ormai caratterizza l’Occidente sazio di benessere e incapace di qualsiasi sacrificio, benché minimo. L’irresponsabilità che deriva da quell’anarchia individualista che considera i propri diritti personali una chiave di accesso alle infinite possibilità di godimento, irrinunciabili. L’irresponsabilità ereditata dal “vietato vietare” di una rivoluzione che voleva cambiare il mondo e invece ha solo spostato all’infinito l’asticella di ogni limite. Escludendo Dio dall’orizzonte esistenziale, escludendo la morte, la sofferenza. Una società strutturata sul nuovo, unico comandamento del “non avrai altro piacere al di fuori del mio” è destinata a fallire. È stato sufficiente un accenno di tempesta – vera o presunta, piccola o grande che sia – a mostrare la sua incapacità nel gestire una rotta ormai senza bussola. La “civiltà occidentale” è in avaria: se non ritrova il senso del proprio percorso, non sarà il coronavirus a ucciderla, ma l’inconsistenza umana assuefatta al Nulla che Avanza.
David Nieri