Minima Cardiniana 272/3

Domenica 8 marzo 2020
II Domenica di Quaresima
San Giovanni di Dio
Festa della Donna

ANCORA LA LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO
Questa è una rubrica dalla costruzione complessa. Cominciamo con il ricordare a tutti un caso increscioso, quello palermitano di qualche mese fa; proseguiamo con quello di Civitanova Marche, a proposito del quale è interessante confrontare quanto invia l’esimio signor Gattafoni, rappresentante non ho capito bene se ufficiale, ufficioso o autoreferenziale dell’ANPI di quel glorioso centro marchigiano, quanto ci dice di sé il professor Simonetti, senza dubbio uno studioso ascrivibile alla destra politica, ma il curriculum del quale è degno del massimo rispetto e che onora quindi sia la città nella quale risiede, sia l’istituto scolastico nel quale lavora. Al lettore un parere spassionato: a un docente di tale qualità, è stato equo e dignitoso impedir di parlare nella sua stessa scuola, dinanzi ai suoi stessi studenti?

LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO, INSEGNAMENTO DELLA LIBERTÀ
Torniamo sul caso della docente siciliana e del ministro dell’Interno, che forse avete già dimenticato. Dopo qualche tempo, e a mente fredda, come distinguere torti e ragioni? Un Paese che non insegna il valore della discussione ma il conformismo della militanza non può avere un grande futuro.
A qualche mese di distanza, la vicenda che ha coinvolto un’insegnante siciliana e il ministro dell’Interno può essere riletta, al netto degli aspetti di cronaca e, soprattutto, più liberi dal peso della militanza. È stata una vicenda in un certo senso grottesca. Da una parte, un gruppo di ragazzi che proietta delle slides in cui il “decreto sicurezza” proposto dal ministro dell’Interno viene paragonato alle famigerate leggi razziali del 1938. Dall’altra, le istituzioni (nella fattispecie l’Ufficio scolastico provinciale) che intervengono sospendendo la professoressa per quindici giorni, salvo poi revocare il provvedimento. Si sono subito creati due schieramenti. I difensori della libertà di insegnamento hanno manifestato (a volte con violenza) contro il ministro dell’Interno: i più intelligenti facevano notare che mandare la Digos a controllare quanto successo rischiava di confermare quanto ipotizzato dagli studenti dell’Iti “Vittorio Emanuele III” di Palermo. Sul lato opposto i difensori del governo, o meglio del ministro: forse il punto di vista più interessante è proprio quello del ministro stesso, che ha definito – secondo i giornali – “demenziale” l’accostamento a Mussolini.
L’impressione, però, è che entrambe le parti abbiano torto: ci offrono ragioni che sembrano giustificare il loro punto di vista, ma tali ragioni impallidiscono non appena si amplia un po’ la visuale.
Per ampliare, cominciamo dal ricordare: ricordare, per esempio, che nei decenni della Repubblica l’insulto più usato nei confronti dei democristiani era “fascista” (anzi, in certi anni, era fascista chiunque non fosse abbastanza a sinistra: quanto si dovesse stare a sinistra, dipendeva dal compagno che aveva la parola). Che lo stesso Berlusconi è stato definito fascista: ma sarebbe chiaro a chiunque abbia letto Pasolini, il quale parlava di “fascismo democristiano”, che Berlusconi tutto può rappresentare tranne che il fascismo. Dall’altra parte, siamo stati investiti dalla retorica anti-comunista o “anti-sinistra” usata anche dopo che il Pci era diventato Pds, Ds, Ulivo, Pd ecc., perdendo ogni volta un pezzettino a sinistra (Comunisti italiani, Rifondazione comunista, Sinistra e libertà, Liberi e uguali ecc.). Il nostro dibattito politico deve molto a Dante, se si può ironizzare evocando il sommo poeta, e alla sua caratterizzazione non solo di guelfi contro ghibellini, ma anche e soprattutto dei guelfi neri contro i guelfi bianchi. Come a dire: sono secoli che in Italia la politica si fa tifando, con spirito di fazione. E allora non si tratta di evocare Coppi e Bartali per spiegare la cosa: casomai si può usare il tifo sportivo per illustrare la ricombinazione in altra sede di elementi che sono, per così dire, presenti nel nostro animo da moltissimo tempo. E che hanno circolato per anni a ogni livello: quel che si scriveva sui giornali veniva persino superato da quel che, nel caos delle assemblee o delle discussioni di classe, si poteva sentire nelle scuole o nelle università. Infine, dovremmo ricordare che lo spirito di fazione, in Italia, non si è limitato alle parti estreme dello schieramento politico, ma ha afflitto anche chi diceva di essere di centrosinistra o di centrodestra (e soprattutto diversi “maestri” di terzietà, a cominciare da un ampio gruppo di direttori di giornale più schierati degli stessi leader politici).
Se abbiamo questa storia, se parliamo di calcio o ciclismo allo stesso modo in cui abbiamo sempre parlato di politica, se insomma tifiamo per il gruppo a cui apparteniamo, se fatichiamo a separare la valutazione delle idee dagli “obblighi” – veri o presunti – della militanza, quale sarebbe la novità di quanto accaduto a Palermo?
Purtroppo nessuna: non c’è molto di nuovo in quel che abbiamo visto. C’è molto, invece, che avremmo voluto vedere e continuiamo a non vedere. La libertà d’insegnamento, infatti, dovrebbe essere difesa a ogni costo, cominciando con l’insegnamento della libertà: libertà di analisi critica, libertà di proporre idee anche “eretiche”, e altrettanta libertà e tranquillità nel criticarle. Nel tempo delle fake news propinate a decine ogni giorno, ci stupiamo che alcuni studenti compiano un accostamento – nel merito: erroneo – tra le leggi razziali e il decreto sicurezza? Ma quanti insegnanti, oggi come in passato, si preoccupano di aiutare chi è più giovane a farsi un’idea sua della vita, invece di instillare il conformismo a questo o a quello schema concettuale? Il vero scandalo – sia consentito scriverlo – non è l’errore (eventualmente) compiuto, ma il rapido conformismo di chi si schiera pro o contro l’errore. È l’incapacità degli adulti a educare chi sta crescendo alla passione per il bene comune, al rigore critico, alla simpatia o compassione verso i deboli. Invece ci si affretta a prendere posizione, senza sapere se l’insegnante fosse o meno d’accordo, senza verificare se ci sia stato dibattito in classe. Oppure: senza approfondire le ragioni per cui, ammesso e non concesso che il governo proponga misure “fasciste”, queste siano diverse (o quanto lo siano) da quel che è successo nel 1938.
Solo sforzandosi di approfondire lo studio delle cause, di ricostruire in modo equilibrato il contesto di un fatto storico, si può nutrire la passione per il bene. Altrimenti si fa crescere l’odio. C’è un racconto di Guareschi (figura in certo senso emblematica: ex internato nei campi nazisti, cattolico militante dai toni esagerati, conservatore accusato di essere un fascista) che spiega in modo semplice la faccenda. Ne Il fiume racconta anche questa storia (apparsa in alcune raccolte come Il pilone), Peppone visita la scuola elementare del paese e scopre che in classe con suo figlio c’è il figlio di Scartini, avversario politico da lui picchiato proprio di fronte al figlio. I due ragazzini formano bande rivali che cominciano a scontrarsi, fino a quando il figlio di Scartini crede di aver ucciso il figlio di Peppone e fugge in cima a un pilone. La vicenda, con il suo epilogo tragico, vede don Camillo affannarsi a spiegare ai genitori il dramma che si sta consumando. In un colloquio con Peppone don Camillo gli chiede: “Come potete pretendere voi, che insegnate l’odio agli uomini, voi che organizzate l’odio degli uomini, come potete pretendere che i vostri ragazzi rimangano immuni dal morbo infernale che voi diffondete? […] I bambini credono più ai vostri atti di violenza che alle mie parole di bontà”. E più avanti aggiunge: “Il tuo vicino getta la malaerba nel tuo campo e tu la getti nel campo del tuo vicino. Vi preoccupate soltanto di gettare nuova malaerba l’uno nel campo dell’altro come se il male altrui fosse il vostro bene. Invece è male per tutti”.
Per questo motivo la vicenda di Palermo segna una sconfitta. Non perché uno dei due partiti abbia ragione, ma perché hanno entrambi torto. Un Paese che non riesce a insegnare la libertà di avere idee diverse e di criticarle, che non insegna il valore della discussione ma il conformismo della militanza, non ha un grande futuro. Del resto, questo stesso Paese è in crescita zero da anni: quella crescita demografica che è la vera spinta di ogni altra crescita economica (e a nulla servono i vari trucchetti contabili con cui tentiamo di mascherare, da decenni, questa crescente mancanza di futuro). A questo punto, il clima di odio che si respira sembra più semplicemente il segno di una Nazione che ha rinunciato ad avere un domani.
Auguriamoci che non sia così. Che ci riscopriamo capaci di avere dei figli a cui insegnare con amore la libertà di diventare adulti a loro volta, consapevoli che “diventare grandi” è un processo a cui siamo chiamati tutti. E che possiamo farlo solo se ci apriamo all’avventura della vita e all’incontro con gli altri, separando pazientemente il grano dalla malaerba e condividendolo con chi ne ha di meno. Questa è l’Italia di cui sarebbe bello parlare a scuola.
(Vita & Pensiero, anno CII, numero 4, luglio-agosto 2019, pp. 5-8)

ANCORA DUL “PASTICCIACCIO BBRUTTO” DI CIVITANOVA MARCHE
Ricevo dall’esimio signor Angelo Gattafoni questa nuova missiva: la terza ch’egli m’indirizza in littera capitalis, cioè in maiuscolo, ritenendo probabilmente che il solenne carattere usato dai lapicidi dell’impero romano imprima sostanza e autorevolezza alle idee secondo tale stile grafico proposte, anche e perfino quando quelle idee non ci sono. Rispetto comunque la sua volontà e propongo alla Vostra attenzione la sua nota così come l’ho ricevuta.

Missiva del signor Angelo Gattafoni. Solidale con quanti hanno pubblicamente tolto la parola a un docente del “Da Vinci” nel suo stesso istituto

“ESIMIO PROF. CARDINI, LEI HA SFONDATO RUMOROSAMENTE UNA PORTA APERTA. CHE LEI SIA UNA AUTORITÀ NEL SUO CAMPO LO SAPEVO BENE. IN VERITÀ MI SAREI ASPETTATO L’APERTURA DI UN’ALTRA PORTA CHE, INVECE, È RIMASTA CHIUSA, PERCHÈ HA SCRITTO NOTIZIE PERSONALI E PROFESSIONALI DEL TUTTO INUTILI E, POI, LE È MANCATO LO SPAZIO PER NEGARE CHE I LAGER NAZISTI FOSSERO LUOGHI DEL BENESSERE, CON PISCINE, TEATRI, CENTRI MEDICI DI ECCELLENZA E LUOGHI DI DIVERTIMENTO CON PROSTITUTE E MANGIATE A VOLONTÀ… SONO DECISAMENTE DELUSO E MOLTO… MOLTO PREOCCUPATO”.

Secondo le buone norme dei dibattiti scritti, alle non una ma ben due missive in maiuscola dell’esimio signor Gattafoni, il quale ne aveva aggiunta poi una in minuscola “carolina” (cioè nei normali caratteri che noi usiamo a stampa) a nome e presumo ohimè anche per conto dell’ANPI della sua città, avevo replicato. La controreplica dell’esimio signor Gattafoni chiude quindi l’ordinario corso di un dibattito scritto (domanda-replica-controreplica). Ho adempiuto correttamente, secondo gli usi vigenti, il mio scambio epistolare con lui. Non desidero prolungare un carteggio inutile: d’ora in poi, a parte eventuali occasioni pubbliche, non mi rivolgerò più direttamente all’esimio signor Gattafoni il quale evidentemente non vuole, o non sa, o non può sostenere un dibattito civile.
In effetti, se l’esimio è deluso e preoccupato, sta solo a lui sdeludersi e spreoccuparsi, ammesso (e anche concesso?) ch’egli sia in grado di comprendere missive che gli vengono rivolte in un italiano sufficientemente chiaro e corretto. Il mio precedente intervento era nato dall’indignazione per il fatto che a un docente ufficiale di un istituto scolastico medio-superiore, in presenza dei suoi studenti, fosse stato proibito di parlare. In ciò ravvisavo una violazione del principio della libertà d’insegnamento e un attacco alla libertà di pensiero, con il rischio di legittimazione del cosiddetto “delitto d’opinione”. In prospettiva, in quanto insegnante, proponevo altresì un reato d’interruzione di pubblico ufficio in quanto il docente, professor Simonetti, aveva chiesto di parlare nella scuola pubblica nella quale insegna e in presenza dei suoi studenti: la sua richiesta assumeva pertanto un carattere ufficiale che non poteva essere né disturbato né tanto meno impedito. E questa è materia da procura della repubblica.
A questi rilievi, che in realtà erano accuse precise, l’esimio signor Gattafoni non ha risposto. Come non ha accolto il mio invito a un confronto leale fra le posizioni emerse nel corso di questa polemica, comprese le sue: mi ero addirittura offerto di pubblicare un suo scritto a mie spese, qualora si fosse presentato come significativo e interessante. Egli mi ha accusato di essere un succube acritico de “Il Giornale”, quotidiano dal quale secondo lui avevo desunto le notizie relative al dibattito tenutosi in Civitanova. Gli ho risposto dimostrandogli con chiarezza che egli non aveva la minima idea di quanto scrivevo e di quali fossero le mie opinioni: e, per sottolineare l’enormità della sua
gaffe riguardo al mio rapporto con “Il Giornale”, che nell’ultimo quarto di secolo non è stato idilliaco, gli ho fornito tutte le notizie che potessero metterlo in condizione di meglio documentarsi al riguardo. Mi sarei aspettato le scuse alle quali avevo diritto. Come vedete, egli non solo persevera nel suo tono arrogante e ineducato (io sfonderei porte aperte e fornirei notizie personali e professionali a suo dire del tutto inutili, mentre in realtà gli sarebbero state invece utilissime a correggere il suo punto di vista), ma cambiando bruscamente registro passa ad accusarmi di non aver risposto a una questione nella quale non ero affatto entrato e che mi sembra più che oziosa demenziale, vale a dire a quella delle presunte comodità dei campi di concentramento nazisti. Qui egli attingeva a uno scritto del professor Simonetti, evidentemente allusivo alle peraltro celebri visite della Croce Rossa Internazionale a quei campi e alla messinscena con la quale essi venivano accolti, ma del quale all’esimio era sfuggito – o almeno così egli preferiva presentare la cosa – il carattere ironico e paradossale. E ometteva che quello scritto, nella versione ch’egli aveva letto, era stato oltretutto Falsato e manomesso.
È evidente che a questo punto proseguire qualunque tentativo di dialogo con tale personaggio è inutile. Se vorrà, avrà la possibilità di partecipare a una futura pubblica discussione dell’evento di cui trattiamo che si terrà, in accordo con la presidenza dell’istituto “Da Vinci”, in data da destinarsi e
Coronavirus permettendolo; nonché a una Tavola Rotonda sull’insegnamento della storia che si terrà nel prestigioso Istituto Campana di Osimo. In quella sede avrà la possibilità di parlare liberamente: a lui, infatti, nessuno negherà o toglierà la parola.
Come avevo chiesto all’esimio, senza riceverne riscontro, ho chiesto anche al professor Simonetti di parlarci di lui. Mi ha risposto con una lunga, esauriente memoria. Ne apprezzo anzitutto l’onestà. Non nega certo di aver simpatie “di destra”, per quanto non affronti direttamente l’argomento: né gli era stato in questa sede richiesto. Ma gli organi di stampa sui quali scrive ne lasciano intendere l’inclinazione. E allora? Non erano forse di destra Gentile, Hamsun, Céline?

Dichiarazione di Matteo Simonetti, il docente al quale nel suo stesso istituto è stato impedito di prendere la parola
Ho 48 anni, sono laureato in Filosofia, diplomato in pianoforte, ho una abilitazione all’insegnamento (Tfa), un master in Didattica delle materie umanistiche, ho ottenuto il master “E. Mattei” sul Vicino e Medio Oriente dell’Università di Teramo, con la quale poi ho collaborato come docente per 2 anni. Sono stato cultore della materia in Filosofia dei linguaggi presso l’Università di Macerata e in Storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Teramo, esaminando anche candidati.
Sono giornalista pubblicista dal 2003 con oltre 200 articoli di terza pagina su testate e riviste nazionali, tra le quali “Il Secolo d’Italia”, “l’Indipendente”, “Il Borghese”, “Percorsi di cultura politica”, “L’Uomo libero”. Ho pubblicato diversi saggi di natura storico-filosofica: Stasera dirige Nietzsche. La musica tra filosofia e politica (Pantheon); Demonocrazia. Critica all’inganno democratico (Solfanelli); Hannah l’antisemita. Gli ebrei sull’ebraismo e l’antisemitismo (All’Insegna del Veltro); Kalergi. La prossima scomparsa degli europei (Nexus); I quaderni neri di Heidegger. Una lettura politica (Idrovolante), con la prefazione di Diego Fusaro. Partito da un approccio più filosofico, mi occupo da diversi anni della storia e della storia del pensiero europei nel periodo 1920-1950.
Diversi miei libri sono stati recensiti a piena pagina su quotidiani nazionali, come “Il Secolo d’Italia”, “Libero” e “La Verità”. Ho collaborato inoltre con vari siti internet, tra cui “Il giornale del ribelle”; da diversi anni sto girando l’Italia come conferenziere su tematiche attinenti i miei libri o l’attualità politica e sociale. Come musicista ho insegnato pianoforte e propedeutica musicale per circa 15 anni, ho tenuto diversi concerti e come compositore ho da poco terminato una raccolta di Lieder su testi di Hoelderlin e Leopardi, che verranno eseguiti in prima assoluta a maggio a Recanati e poi in varie località europee, con cantanti di fama mondiale. Ho insegnato con progetti di vario tipo in tutti gli ordini e gradi delle scuole italiane, dalla Scuola per l’infanzia al Master Universitario. Sono divenuto professore di ruolo tramite il concorso ordinario 2012 e ho ottenuto la cattedra terminando l’anno di prova nel settembre 2016. Nel 2019 ho vinto un dottorato in Filosofia di durata triennale presso l’Università di Salamanca, con un progetto proprio su un confronto Heidegger-Unamuno e sul rapporto dell’intellettuale con il potere politico. Quindi lascerò l’insegnamento per i prossimi 3 anni.
Dal punto di vista didattico, metto in pratica da sempre metodi innovativi centrati sullo studente, nel rispetto della sua autonomia critica: adotto valutazione tra pari e autovalutazione, classe rovesciata, dibattiti filosofici, totale programmazione per competenze, non storico-filosofica in senso cronologico ma per ampie aree tematiche. Ho sempre ricevuto elogi per questo approccio e per i suoi risultati, sia dal dirigente scolastico, sia da molti colleghi, ma soprattutto ho ricevuto vari encomi dalle mie classi, con commoventi lettere di sostegno e di stima, sia dai miei attuali alunni, sia dalle precedenti classi. Molte le ho pubblicate sui social proprio nell’occasione di questo linciaggio mediatico tentato contro di me.
Veniamo alla questione Anpi: il 28 novembre 2019, presso il liceo di Civitanova dove insegno, l’Anpi ha organizzato una conferenza sulla storia dell’epurazione dei fascisti nel dopoguerra e sulla resistenza. Tutte le quinte classi sono state portate nell’auditorium. Si è trattato di un’esposizione a senso unico di tre ore, con le classi che mano a mano se ne sono andate. Al termine, sollecitato da due frasi dei relatori nelle quali si “invitava a scendere in piazza affinché certe forze politiche non possano diffondere il loro pensiero” e si diceva che “in Italia non esiste libertà di opinione e manifestazione”, ho invitato l’Anpi a un futuro incontro per un contraddittorio con chi della resistenza ha un’idea diversa rispetto all’Anpi stessa e ho chiarificato che su quei 2 punti, per fortuna, la realtà è un’altra. Ho poi aggiunto che la revisione e il pluralismo delle fonti sono il sale della storia, soprattutto a scuola. Si è scatenato il pandemonio, con gente dell’Anpi che invitava a censurarmi e vagava per la sala, politici che mi sono venuti incontro offendendo e impedendomi di fare il mio lavoro, finché mi è stato strappato il microfono di mano. La vicenda è finita sui giornali locali e nazionali con diffamanti falsità a me rivolte: avrei fatto apologia di fascismo, avrei provocato, avrei negato la Costituzione, avrei fatto negazionismo, avrei portato via le classi. Vengo segnalato dall’Anpi all’ufficio scolastico regionale, mi si accusa politicamente attraverso esponenti del PD, sia al consiglio regionale, sia attraverso alcuni senatori. Sono convocato presso l’ufficio regionale e, dopo soli 3 giorni di esame (a fronte dei 120 giorni a disposizione) della cospicua memoria da me presentata, con diversi documenti allegati, vengo sanzionato per un mese con decurtazione dello stipendio: non per le misere accuse riferite a quel giorno, tutte cadute, ma per un post su Facebook del 2016 in difesa della libertà di opinione, colpevolmente modificato. Dal testo del post erano stati eliminati per otto volte gli “io non penso che”, trasformando così le mie frasi nel loro contrario. È stata eliminata la parte finale del post nella quale affermavo che ciò che hanno subìto gli ebrei è stato colpevole, colossale, abominevole. Incredibilmente, nella motivazione della mia sospensione si dice che da parte mia si è trattato solo di un artificio retorico, e che in realtà volevo dire il contrario rispetto a quanto dicevo, ovvero che volevo negare l’olocausto.
Questo è il link al post originale:

https://www.facebook.com/search/posts/?q=forni&epa=FILTERS&filters=eyJycF9hdXRob3IiOiJ7 XCJuYW1lXCI6XCJhdXRob3JfbWVcIixcImFyZ3NcIjpcIlwifSJ9

Non sono stati ascoltati preside e testimoni che erano a mio favore e confermavano la mia versione dei fatti, aggiungendo, nel caso dei ragazzi presenti, dettagli ancora più inquietanti sul deplorevole comportamento dell’Anpi. Si tratta di un dossieraggio che si appunta su questioni che nulla hanno a che vedere con la vicenda. Farò ricorso al giudice del lavoro e ho già querelato per diffamazione, minacce e offese a pubblico ufficiale l’Anpi e altre persone. Il video di quell’avvenimento è stato girato e depositato come prova contro di me dall’Anpi stessa ed è stato da me pubblicato su youtube a mia discolpa: https://www.youtube.com/watch?v=kh–EPaXkSA. Sto raccogliendo firme con due lettere aperte, una a mio sostegno come docente e l’altra per la libertà di opinione: dopo 2 giorni siamo a circa 700 sottoscrizioni. Qui il link alla sottoscrizione: https://www.controventoaps.org/ . Visto che tutte le accuse che riguardavano quella giornata sono miseramente cadute, anche nella motivazione del provvedimento disciplinare scolastico, nel quale si dice che esercitavo il mio diritto di critica e di opinione, veniamo al post incriminato. Faccio mie tutte le parole di David Nieri, la cui lettura dei fatti e della situazione è corretta e non potrebbe essere altrimenti se li si guarda senza paraocchi, con equità e un minimo di raziocinio. Aggiungo solo qualche considerazione. È ovvio che in tale post non dipingevo i campi di concentramento nazionalsocialisti come luoghi di villeggiatura. Ciò è confermato dalla sua chiusa, nella quale definisco quanto subìto dagli ebrei colossale, colpevole, abominevole. Non mi si può accusare pertanto di negazionismo dell’olocausto, poiché non si può allo stesso tempo definire qualcosa “colossale” e allo stesso tempo mai avvenuto. È ovvio che il post ha natura per certi versi iperbolica, visto il suo insistere sulla libertà di opinione senza se e senza ma. Messo in chiaro questo, però, sulla narrazione dominante dell’olocausto qualcosa va detto. Essa è oggi molto più simile a una liturgia che a una riflessione storiografica, e questo non è bene. Per fare un esempio, la polemica tra funzionalisti e intenzionalisti, polemica riconosciuta anche dalla cultura “legittimata”, mostra come su questo tema ci sia ancora molto lavoro da fare. La storiografia intenzionalista la fa ancora da padrona, soprattutto a scuola, nonostante sia in contraddizione con diverse evidenze storiche, quali l’accordo dell’Haavara, la conferenza di Evian, le parole di Hannah Arendt in occasione del processo Eichmann, i rapporti della Croce Rossa e altre innumerevoli difficoltà. Ora, di queste cose se ne può parlare? Lo si può fare solo al bar? Si possono sollevare certe questioni nel luogo deputato alla riflessione sui fatti storici, ovvero la scuola? Si possono affrontare questi fatti solo riunendosi in luoghi malsani al lume di candela e incappucciati, anche se sono presenti pure su Wikipedia? Bisogna essere meno di tre? Dobbiamo dircelo da soli? In che modo questo sarebbe in linea con una cultura che condanna Gestapo, Ovra, Ceka e Stasi? E come giustifichiamo il fatto che quando talune revisioni e riflessioni sono proposte da studiosi ebrei valgono, ad esempio se si chiamano David Cole e Norman Finkelstein, e se le fanno altri devono andare in galera?
Solo per dirne una: abbiamo oggi studiosi ebrei, come Donatella di Cesare, che insistono sul valore storico di prove come il sapone fatto di grasso ebraico e i paralumi di pelle umana (Se Auschwitz è nulla, p. 116) e altri studiosi ebrei che invece le liquidano come bufale, come Yehuda Bauer (“Jerusalem Post”, 27 maggio 1990, p. 4). A chi devo “credere”? Posso dubitare di uno dei due oppure in entrambi i casi sarei un pericoloso negazionista antisemita che sconfessa uno studioso perché ebreo? A questi ed altri quesiti ci deve essere data una risposta chiara, motivata, in osservanza degli articoli costituzionali di riferimento! Ugualmente, notevoli perplessità insorgono prendendo in considerazione la questione della conferenza di Wannsee, così per come ci è sempre stata presentata. Il termine “Endlosung” cosa significa? Ha mai significato altro nei documenti del regime nazionalsocialista? Ce lo possiamo chiedere?
Ma veniamo alla “legge antinegazionismo”, il succo del mio post – non dimentichiamolo –, ovvero a quella aggravante della legge Mancino che intende punire chi usa violenza o incita all’odio verso qualcuno appoggiandosi alla negazione della Shoah. Anche qui la formulazione della legge consente troppa discrezionalità. O meglio, non la consentirebbe se si osservasse bene il testo, ma la sensazione è che possa essere applicata “allegramente” se non si mettono in chiaro alcune questioni. Innanzitutto, c’è un aspetto importante da chiarire: se uno studioso, come esito delle sue ricerche, giunge a dire che non si trova d’accordo con le modalità o il numero dei decessi di persone ebree così come tramandate dalla storiografia norimberghiana, non fa questo per “odio”. Ci può indubbiamente essere qualcuno che lo fa, ma solitamente chi odia, bisogna pur dirlo, non passa decenni nello studio di carte, in visite di archivi e luoghi, nella compilazione di tomi con centinaia di note e pagine di bibliografia. Questo è uno studioso, non un odiatore. L’odiatore di solito mena e offende, ovvero non è razionale, in quanto l’odio è un sentimento profondo e non ha bisogno di pezze d’appoggio costruite in decenni.
Se si scoprissero nelle loro opere frasi ispirate dall’odio razziale, o un incitamento alla violenza nei confronti degli ebrei, o la volontà di ricostruire entità politiche dedite allo sterminio o alla discriminazione degli stessi, allora sì, si puniscano i revisionisti dell’olocausto, altrimenti li si lasci in pace e si permetta di studiare e di diffondere i loro lavori, magari, se ci si riesce, sbugiardandoli in pubblici dibattiti. Non si può affermare che un revisionista dell’olocausto odi gli ebrei o voglia danneggiarli come gruppo etnico o culturale o religioso, quando magari allo stesso revisionista, se scoprisse di avere una nonna ebrea non farebbe né caldo né freddo, quando egli non è in grado di riconoscere un ebreo né gli interessa farlo, quando egli è fortemente contrario ad affibbiare al singolo responsabilità di suoi correligionari o compatrioti o di qualsiasi altra provenienza che non siano le sue azioni. Credo che gli studiosi revisionisti concorderebbero nel condannare l’uccisione di un solo ebreo innocente allo stesso modo dell’uccisione di milioni, non avendo modo di pensare il contrario leggendo i loro scritti.
Allo stesso modo si pensi per quanto riguarda l’antisemitismo: se un intellettuale ha portato critiche ad alcuni personaggi chiave dell’ebraismo in maniera circostanziata, come si può accusarlo di antisemitismo o di odio per gli ebrei tutti? D’altronde, se si critica Stalin o la politica bolscevica, si è antirussi? Se si critica Arthur “bomber” Harris si è antibritannici? Se si critica Mao si è anticinesi? Se si criticano Morgenthau o Roosevelt si è antiamericani? Se critico Cirino Pomicino o Starace o Salvini o Oliviero Toscani o Savonarola sono antiitaliano? Perché allora se si criticano Jabotinsky, Zevi o Frank o Netanyahu o Soros o Warburg o Golda Meir si sarebbe antisemiti? Inoltre, perché se si critica un precetto del Corano o uno degli Hadith o una posizione della dottrina cattolica sull’omosessualità lo si può fare, e nessuno ci considera anti-qualcosa, mentre se solo si riporta un passo controverso del Talmud o si sottolinea un altro passo del Deuteronomio si sarebbe antisemiti? Perché ebrei ortodossi possono criticare le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi e se lo fa un non ebreo allora è antisemita?
La questione è semplice: si può mettere in dubbio la ricostruzione dell’olocausto che ci è stata tramandata da un tribunale di guerra, quello di Norimberga, che ha presentato innumerevoli e rozze irregolarità, che è stato una “prosecuzione della guerra per via giuridica”? Non solo si può, ma si deve!
Quindi, pur colpendo con durezza eventuali effettive manifestazioni di discriminazione, di rozza argomentazione, così come la “legge antinegazionismo” effettivamente imporrebbe di fare, come si può non rendersi conto che vietare di pensare un fatto, uno solo tra tutti i fatti storici di tutti i tempi e accaduti in qualsiasi luogo – di pensarlo, sottolineo –, di esercitare il dubbio in merito ad alcune narrazioni di esso, di prevedere una verità per legge, solo per esso, è ingiusto, incostituzionale, miserabile e tradisce la storia della cultura occidentale? Come si può non rendersi conto che, così facendo, si mandano immediatamente al macero, o meglio, ai Bücherverbrennungen, in un colpo solo, Socrate, Bruno, Galileo, Cartesio, tutta la filosofia empirista, gran parte dell’idealismo tedesco e i princìpi di ogni costituzione liberale? Come si può continuare ad insegnarli nelle scuole, se poi li si sconfessa ogni giorno? Si torni indietro nel tempo e si dica a Cartesio che può dubitare dei suoi sensi, di tutto se stesso, ma non della vulgata norimberghiana! Si vada a dire a Galileo che può mettere in dubbio il racconto dominante del geocentrismo ma non il numero di morti ad Auschwitz! Si vada da Hume e gli si dica che il principio di causalità che mette in dubbio è una quisquilia di fronte al Diario di Anna Frank! Ribadiamo: parlo di pensare, di dubitare, di fare domande, non di dare risposte. La filosofia è fare domande. Vogliamo far fuori due millenni e mezzo di storia del pensiero? Lo si faccia fuor di ipocrisia, dunque: eliminate dalle scuole le discipline Storia e Filosofia e sostituitele con “Apologia del pensiero unico”, “Come compilare bene un curriculum”, “Bon ton del perfetto cittadino succube”. Fatelo, forza!
In nome di cosa si vorrebbe far questo? In nome di un’emergenza fascismo che non esiste? Di un’emergenza antisemitismo che lo stesso Osservatorio per l’Antisemitismo sconfessa? O, piuttosto, certi spauracchi vengono tenuti in vita solo per legittimare l’esistenza di certe associazioni e per colpire meglio, per legge, alcune posizioni politiche che già abbiamo menzionato? Di colpo, soltanto associando queste istanze al “mostro nazifascista”, si fa piazza pulita del possibile accoglimento di tali tematiche. E quale strumento migliore da affiancare a questa reductio ad Hitlerum se non il più atroce dei delitti, l’olocausto? Quindi, in virtù delle leggi razziali, nelle ricostruzioni storiche del pensiero unico, gli italiani, in maggioranza fascisti convinti prima del ’43, divengono tutti mostri, anche se i più scaltri dei mostri fanno il salto della quaglia a guerra finita divenendo i guru dell’antifascismo. Quindi i tedeschi, padri della più alta filosofia, della letteratura e della musica di ogni tempo, divengono in maniera antistorica, nel giro di un paio d’anni, tutti barbari sanguinari, incolti e abominevoli incivili. I mostri tutti di là e i buoni tutti di qua. Foss’anche che i mostri erano i nostri bisnonni, che importa? Questa non è storia, è dogma manicheo.
Davvero non vi rendete conto del problema insormontabile?
Ribadisco, fino allo sfinimento: non c’è alcun odio da parte mia né verso gli ebrei, né verso alcuna persona. Non voglio giustificare, mai, la violenza in ogni sua forma. Non credo poi che riflettendo su tali questioni possano sentirsi offesi i sopravvissuti all’olocausto e i loro familiari, così come non ci si preoccupa dell’offesa che evidentemente non si reca a quelli degli infoibati, dei morti nei gulag, dei morti per fame nell’Holodomor, ai discendenti dei pellerossa, degli armeni trucidati, ai figli dei morti causati dal comunismo cinese, ai discendenti di quelli che hanno subito la Nakba, ai morti di Hiroshima e Nagasaki, a quelli di Dresda, alle milioni di persone, cioè, che hanno la “sfortuna” di non essere ebree e che quindi devono accettare ogni storiografia, revisionista o meno, che riguardi i tanti genocidi che la storia ci tramanda. Nei confronti di questi revisionisti, infatti, non è prevista alcuna sanzione giuridica, né tantomeno sono oggetto di mostrificazione. È evidente che ci si trovi di fronte a un’odiosa discriminazione. Infatti, nonostante l’articolo 3 della nostra costituzione reciti “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche…”, è evidente che ci siano morti di serie A e di serie B, eredi e discendenti di serie A e di serie B, cittadini, insomma, “più uguali di altri” di fronte alla legge. E non si legga quest’ultimo pensiero come espressione della volontà di ampliare la censura includendo altre “verità per legge”, sia chiaro.
Signori, qui siamo in presenza di un vulnus del pensiero democratico. C’è una verità imposta per legge e sappiamo di quali forme di governo è tipica l’imposizione per legge di una verità. O si scaraventa fuori dalla nostra vita questa censura delle opinioni, oppure si prenda atto che si tratta semplicemente dell’arma di un potere politico illiberale. Occorre pretendere che si stabilisca con la massima certezza che nessuna legge possa essere strumentalmente interpretata in maniera tale da colpire un’opinione, rendendola reato, e che un’opinione, quale che sia, vada sempre distinta dalle azioni che una persona compie, delle quali solamente è responsabile. D’altronde già lo sosteneva con la massima chiarezza John Locke nel Seicento, ma sembra che questi quattro secoli siano passati invano.