Minima Cardiniana 283/4

Domenica 24 maggio 2020
Ascensione di Nostro Signor Gesù Cristo

QUALCHE VERIFICA SULLE BUONE RAGIONI PER ALLARMARSI
Se quanto si diceva sul malanno avviato nel XVI secolo e che ha avuto un suo punto nodale nel 1914-18 ha una sia pur lontana ragion d’essere, quel che sta accadendo adesso è una verifica in più. La tirannide postmoderna, dopo aver a lungo covato fuori d’Europa, sta arrivando come una specie d’ondata di riflusso anche tra noi. È quanto sembra dirci, implacabile, il pessimo Dinucci con le sue disamine. Noi stiamo facendo tutti insieme tridui e novene per chiedere al Signore, quelli di noi che sono credenti, alla Ragione e alla Storia quelli di noi che sono laici, che giunga il giustiziere che smascheri le menzogne del perfido Dinucci e gli dimostri che quelli che lui tratta da cinici congiurati imperialisti sono invece Fulgidi Angeli Liberatori. Orsù, possibile che nessuno sorga a contestarlo, a smascherarlo, a sbugiardarlo, a sputtanarlo, a sbastigliarlo? Quanto a lungo ancora dovremo bovinamente subire le sue menzogne senza reagire nel nome del Vero e del Giusto? Aveva davvero torto fino a questo punto, John Wayne? Non dobbiamo più ringraziarla, la Marina degli Stati Uniti? E noi vecchietti che negli Anni Cinquanta, giovincelli, ci sulluccheravamo le sue gesta libertarie nei cinemini all’aperto d’estate, dobbiamo dedurre che per anni ed anni, sistematicamente, crudelmente, cronicamente, la Metro-Goldwyn-Mayer e la Warner Bros ci hanno presi tutti per il Culo?

MANLIO DINUCCI
PIANO USA: CONTROLLO MILITARIZZATO DELLA POPOLAZIONE
La Fondazione Rockefeller ha presentato il “Piano d’azione nazionale per il controllo del Covid-19”, indicando i “passi pragmatici per riaprire i nostri luoghi di lavoro e le nostre comunità”. Non si tratta però, come appare dal titolo, semplicemente di misure sanitarie.
Il Piano – cui hanno contribuito alcune delle più prestigiose università (Harvard, Yale, Johns Hopkins e altre) – prefigura un vero e proprio modello sociale gerarchizzato e militarizzato.
Al vertice il “Consiglio di controllo della pandemia, analogo al Consiglio di produzione di guerra che gli Stati Uniti crearono nella Seconda guerra mondiale”. Esso sarebbe composto da “leader del mondo degli affari, del governo e del mondo accademico” (così elencati in ordine di importanza, con al primo posto non i rappresentanti governativi ma quelli della finanza e dell’economia).
Questo Consiglio supremo avrebbe il potere di decidere produzioni e servizi, con una autorità analoga a quella conferita al presidente degli Stati Uniti in tempo di guerra dalla Legge per la produzione della Difesa.
Il Piano prevede che occorre sottoporre al test Covid-19, settimanalmente, 3 milioni di cittadini statunitensi, e che il numero deve essere portato a 30 milioni alla settimana entro sei mesi. L’obiettivo, da realizzare entro un anno, è quello di raggiungere la capacità di sottoporre a test Covid-19 30 milioni di persone al giorno.
Per ciascun test si prevede “un adeguato rimborso a prezzo di mercato di 100 dollari”. Occorreranno quindi, con denaro pubblico, “miliardi di dollari al mese”.
La Fondazione Rockefeller e i suoi partner finanziari contribuiranno a creare una rete per la fornitura di garanzie di credito e la stipula dei contratti con i fornitori, ossia con le grandi società produttrici di farmaci e attrezzature mediche.
Secondo il Piano, il “Consiglio di controllo della pandemia” viene anche autorizzato a creare un “Corpo di risposta alla pandemia”: una forza speciale (non a caso denominata “Corpo” come quello dei Marines) con un personale di 100-300 mila componenti.
Essi verrebbero reclutati tra i volontari dei Peace Corps e degli Americorps (creati dal governo Usa ufficialmente per “aiutare i paesi in via di sviluppo”) e tra i militari della Guardia Nazionale. I componenti del “Corpo di risposta alla pandemia” riceverebbero un salario medio lordo di 40.000 dollari l’anno, per cui viene prevista una spesa statale di 4-12 miliardi di dollari annui.
Il “Corpo di risposta alla pandemia” avrebbe soprattutto il compito di controllare la popolazione con tecniche di tipo militare, attraverso sistemi digitali di tracciamento e identificazione, nei luoghi di lavoro e di studio, nei quartieri residenziali, nei locali pubblici e negli spostamenti. Sistemi di questo tipo – ricorda la Fondazione Rockefeller – vengono realizzati da Apple, Google e Facebook.
Secondo il Piano, le informazioni sulle singole persone, relative al loro stato di salute e alle loro attività, resterebbero riservate “per quanto possibile”. Sarebbero però tutte centralizzate in una piattaforma digitale cogestita dallo Stato Federale e da società private. In base ai dati forniti dal “Consiglio di controllo della pandemia”, verrebbe deciso di volta in volta quali zone sarebbero sottoposte al lockdown e per quanto tempo.
Questo, in sintesi, è il piano che la Fondazione Rockefeller vuole attuare negli Stati Uniti e non solo. Se venisse realizzato anche in parte, si produrrebbe una ulteriore concentrazione del potere economico e politico nelle mani di élite ancora più ristrette, a scapito di una crescente maggioranza che verrebbe privata dei fondamentali diritti democratici.
Operazione condotta in nome del “controllo del Covid-19”, il cui tasso di mortalità, secondo i dati ufficiali, è finora inferiore allo 0,03% della popolazione statunitense. Nel Piano della Fondazione Rockefeller il virus viene usato come una vera e propria arma, più pericolosa dello stesso Covid-19.
(il manifesto, 19 maggio 2020)

ma non è finita: il perfido imperversa ancora. Sentite quest’altra.

MANLIO DINUCCI
TRUMP STRACCIATORE SERIALE DI TRATTATI. LA STRATEGIA DELLA TENSIONE USA
Il presidente Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato Open Skies (Cieli Aperti). Firmato nel 1992 subito dopo la fine della Guerra fredda ed entrato in vigore nel 2002, esso permette a ciascuno dei 34 Stati-parte di sorvolare i territori degli altri con aerei da ricognizione (non armati), dotati di sensori per la raccolta di dati su forze e attività militari. Ciascuno Stato-parte deve accettare ogni anno un certo numero di sorvoli del proprio territorio ed ha diritto di effettuarne altrettanti sui territori di quelli che hanno compiuto tali sorvoli. In base al Trattato, dal 2002 sono stati effettuati complessivamente oltre 1.500 sorvoli, compresi quelli reciproci fra Stati Uniti e Russia. Anche se i satelliti possono oggi fornire informazioni più dettagliate di quelle raccolte dagli aerei, il Trattato mantiene una sua utilità tecnica poiché non tutti gli Stati-parte dispongono di capacità satellitari. Importante resta il significato politico del Trattato, quale atto di distensione.
Proprio a questo mira la decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dal Trattato, con il chiaro scopo di accrescere la tensione con la Russia. A tal fine è stata adottata la stessa sceneggiatura del l° febbraio 2019, quando il segretario di stato Mike Pompeo annunciò che, dopo sei mesi di sospensione, gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dal Trattato sulle Forze nucleari intermedie, come in effetti è avvenuto nel luglio dello stesso anno. Annunciando che gli Stati Uniti si ritireranno tra sei mesi dal Trattato Open Skies, Mike Pompeo usa praticamente le stesse parole: dichiara che “solo la Russia ha la responsabilità per tali sviluppi”, la accusa di “continua erosione dell’architettura di controllo degli armamenti”, la definisce “violatore seriale di molti degli impegni assunti”. Anche questa volta non viene portata alcuna reale prova per tali accuse.
Dichiarando che “questa non è una storia che si riferisce esclusivamente al Trattato Open Skies”, il segretario di stato preannuncia altre decisioni dell’amministrazione Trump nella stessa direzione. Da oltre un anno il presidente Trump ripete che non rinnoverà il nuovo Trattato Start, concluso nel 2010 da Stati Uniti e Russia. Questo trattato, come evidenziammo nel 2010 sul manifesto, ha notevoli limiti: stabilisce solo un tetto per le “testate nucleari dispiegate”, ossia quelle pronte al lancio su vettori strategici con gittata superiore ai 5.500 km, stabilito in 1.550 per parte; non prevede inoltre alcun controllo effettivo sul potenziamento qualitativo delle forze nucleari. Nonostante ciò, il ritiro degli Stati Uniti anche dal nuovo Trattato Start renderebbe il confronto nucleare ancora più pericoloso. Il presidente Trump ha detto che potrebbe rinnovare il nuovo Trattato Start solo se vi partecipasse anche la Cina, possibilità finora rifiutata da Pechino. Qualora però vi partecipasse, in base agli attuali termini la Cina potrebbe accrescere il numero delle sue testate nucleari da circa 300 a oltre 1.500 (escludendo l’ipotesi che Washington e Mosca fossero disposte a diminuire le loro a 300).
Un altro trattato da cui gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi è quello per la completa messa al bando dei test nucleari, che Washington ha firmato nel 1996 ma mai ratificato, mentre Mosca l’ha ratificato nel 2000.
Su questo sfondo, l’annunciato ritiro degli Stati Uniti dal Trattato Open Skies costituisce una ulteriore mossa di una vera e propria strategia della tensione. Poiché aderiscono al Trattato 23 paesi europei della Nato, tra cui l’Italia, il ritiro degli Stati Uniti, accrescendo la tensione con la Russia, coinvolge automaticamente la Nato. È esattamente ciò che vogliono a Washington. In un comunicato congiunto pubblicato ieri, 8 paesi Nato (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna), più Finlandia e Svezia, esprimono il loro “rincrescimento” per l’intenzione di ritirarsi dal Trattato Cieli Aperti annunciata dal Governo Usa, “anche se condividiamo le sue preoccupazioni circa l’attuazione da parte della Federazione Russa delle clausole del Trattato”. Dichiarano comunque che “continueremo a dare attuazione al Trattato Cieli Aperti”. Un cauto ma apprezzabile segnale di apertura, mentre l’ombra minacciosa della guerra nucleare copre sempre più i cieli.
(il manifesto, 23 maggio 2020).