Minima Cardiniana 264/1

Domenica 12 gennaio 2020. Battesimo del Signore

EDITORIALE

Orientarsi nel puzzle irakeno-iraniano, ora, è più difficile. Le proposte d’indurimento dell’embargo sono un nuovo atto di guerra, dopo l’assassinio di Suleimani; in Iran la preoccupazione cresce e la vita è più difficile. L’errore della contraerea che ha causato il disastro dell’aereo ucraino è sintomatico. Ma le ricostruzioni di questi giorni sono tutte insoddisfacenti. Ricominciamo da principio. Partiamo da una breve puntualizzazione su come funziona l’Iran di oggi, perché al riguardo le cognizioni medie in Italia sono desolanti. Proseguiamo con un dossier a più voci, piuttosto differenti tra loro.

MA CHE COS’E’ QUESTA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN?

Insomma, che tipo di sistema è quello oggi vigente in quella che da quarant’anni si denomina “Repubblica islamica dell’Iran”? E’ diventato ormai fondamentale orientarsi al riguardo: mentre purtroppo le notizie forniteci dai media e da certe pubblicazioni divulgative sono scarse e pessime. Si parla di “dittatura” e addirittura di “tirannia”: ma chi ha acquisito qualche esperienza in materia, o magari ha fatto qualche esperienza di viaggio, si è reso conto che in Iran vige tutt’altro che un sistema totalitario e monopartitico: le formazioni politiche sono numerose, l’affluenza alla urne durante le elezioni molto alta, la discussione pubblica accesa e a tratti accanita, i giornali e i periodici parecchi e ben seguiti. Un commentatore ha potuto definire il sistema iraniano “una specie di sistema sovietico dei primi anni dopo la rivoluzione, diretto e controllato da un senato di teologi”. Una definizione in apparenza paradossale, ma molto interessante nella sostanza. 

Certo, esistono i tribunali politico-religiosi, le pene corporali, le condanna a morte. Poi c’è il disagio sociale ed economico, conseguenza dei lunghi anni dell’embargo imposto dagli Stati Uniti d’America, anche se l’Iran ha aderito al trattato di non-proliferazione nucleare e le sue centrali lavorano solo in funzione dell’energia atomica a scopi civili: il che è stato riconosciuto dalla stessa IAEA, l’organizzazione internazionale per il controllo dell’energia atomica. Inoltre, l’Iran ha un ottimo sistema scolastico e universitario, è uno dei paesi che ha il più alto numero di laureati al mondo (e si tratta di laureati di buona qualità) ed è all’avanguardia in alcuni servizi sociali, soprattutto quello sanitario.

Ma sono il sistema politico e la vita sociale dell’Iran poco conosciuti in Occidente: e capita spesso, soprattutto in momenti di crisi come quello che oggi attraversiamo, che al riguardo si diffondano imprecisioni ed errori quando non addirittura calunnie. L’ignoranza è accompagnata dalla malafede. Vediamo dunque di chiarire alcuni punti. 

L’Iran è una repubblica dotata di un presidente, di un parlamento, di un sistema giuridico, e ognuno di questi organi è indipendente dagli altri; essi legiferano in accordo con la costituzione che il paese si è dato nel dicembre del 1979, ossia all’indomani della rivoluzione, e che è stata riformata dieci anni dopo. È una repubblica islamica di confessione sciita poiché nell’Islam sciita si riconosce oltre il 90% della popolazione, ma non conosce nessun tipo di repressione confessionale. Il cristianesimo, l’ebraismo e lo zoroastrismo sono riconosciuti come religioni ufficiali e legittime e rappresentati in parlamento. L’articolo 13 della Costituzione iraniana riconosce gli appartenenti a queste tre fedi come Popoli del Libro e ad essi viene concesso il diritto di esercitare la libertà religiosa; vi sono infatti luoghi di culto incluse chiese cristiane e sinagoghe, contrariamente a ciò che si sente ripetere spesso (uno dei principali luoghi di culto ebraici del mondo, il santuario di Esther, si trova in Hamadan). Cinque dei 270 seggi in parlamento sono riservati a ciascuna di queste tre religioni. I membri del parlamento e il presidente sono eletti; le ultime elezioni si sono svolte nel 2017 e hanno mostrato il prevalere del partito moderato di centro, guidato da Hanna Rohani, che conta sul 50% circa dei voti complessivi. 

Rispetto a quanto siamo abituati a considerare “democrazia”, esiste, tuttavia, un organo considerabile come autoritario, il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, un organo costituito da  6 teologi nominati dalla Guida Suprema dell’Iran (dal 1989, l’Ayatollah Khamenei) e da  6 giuristi nominati dal potere giudiziario (dipendente anch’esso dalla Guida Suprema) e approvati dal Majles (il parlamento monocamerale). La Guida Suprema è eletta da un’assemblea di 88 esperti, anch’essi nominati dal Consiglio dei guardiani della Costituzione. È quindi evidente che il ruolo di quest’ultimo risulta centrale, soprattutto perché esercita uno scrutinio preventivo sui candidati alle elezioni, eliminando i poco graditi per motivazioni spesso politiche; soprattutto, il Consiglio favorisce i candidati militari a scapito dei candidati riformisti, il che assicura che il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, i Pasdaran  (un corpo separato rispetto all’esercito iraniano, ma considerato parte delle forze armate ufficiali), abbia un’influenza dominante sulla vita politica, economica e culturale dell’Iran. 

Forse, allora, proprio in un momento di crisi come quello che si è aperto con l’assassinio del generale Suleimani, ma che in realtà in fasi alterne va avanti dalla rivoluzione del 1979, ci si deve chiedere se un atteggiamento differente rispetto all’Iran non avrebbe consentito al paese uno sviluppo diverso, con una prevalenza minore delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche: un paese costantemente sottoposto alla minaccia militare non potrà che sviluppare poteri militari a scapito di quelli civili. A tale proposito è impossibile non pensare al peso rivestito dalla guerra mossa dall’Iraq di Saddam Hussein, armato e spalleggiato dagli Stati Uniti, contro l’Iran, durata dal 1980 al 1988. I partiti che costituiscono la coalizione moderata, stretti attorno a Rohani, hanno in mano la metà circa dei suffragi: una politica distensiva da parte dell’Occidente li farebbe senza dubbio aumentare, perché il paese attende con ansia la fine del blocco economico. Una politica occidentale ostile, viceversa, favorisce gli estremisti. Quello che Trump vuole è che l’Iran divenga preda delle forze antioccidentali più accese: ciò gli offrirebbe l’alibi per colpire ancora più duramente.  

Ma, si ripete, l’Iran “non è una democrazia”. Un argomento sul quale spesso i critici dell’Iran si soffermano è quello dei diritti delle donne: che, tuttavia, sono superiori rispetto a quelli di molte realtà limitrofe (soprattutto di alcuni stretti alleati del presidente Trump, quali i sauditi). Alcune dei dati risultano addirittura sorprendenti. Dopo la rivoluzione, le donne hanno avuto maggiori opportunità in certi campi, minori in altri. Ma ci sono molte donne negli alti gradi della magistratura e dell’esercito, nell’università, nel mondo della scienza e della ricerca Bisogna anche ricordare come nella rivoluzione l’elemento femminile è stato rilevante, con una partecipazione soprattutto delle donne colte. Chiaro che l’immediato periodo post-rivoluzionario è stato una delusione per molte: soprattutto perché, pur presenti ad esempio nell’esercito e anche nelle forze paramilitari, furono escluse da alcune professioni, senza contare l’obbligo del chador dal 1981. Grave anche la proibizione della contraccezione femminile. Tuttavia, oggi, questi divieti sono stati in parte rimossi e il ruolo delle donne della repubblica iraniana è cresciuto: per esempio, la contraccezione è accettata e anzi resa gratuita, il che ha portato a un maggiore controllo delle nascite oggi attestate su medie di poco superiori a quelle di molti paesi occidentali. Le donne sono state reintrodotte nelle professioni giuridiche, e in alcuni campi sono ormai la maggioranza all’interno delle università: secondo l’UNESCO, le facoltà d’ingegneria hanno, in percentuale, rispetto alla popolazione, il numero più alto di iscritte al mondo. A partire dal 1989, le allieve nell’educazione superiore hanno superato il numero dei maschi; anche in quella di base si è passati dal 54% di analfabetismo femminile nel 1970 al 17,30% del 2000, e le percentuali continuano a migliorare: il che pone l’Iran attualmente al decimo posto mondiale nella scolarizzazione delle donne. 

Se ancora soltanto il 30% di esse lavora, è probabile che il loro numero crescerà notevolmente, dato l’alto numero di iscritte alle università; ma anche per questo settore bisogna riflettere sul fatto che una normalizzazione nei rapporti internazionali e la fine dell’embargo che è durato tanti anni, che era stato eliminato dopo gli accordi sotto la presidenza di Obama ed è ripreso con quella di Trump, porterebbe a un miglioramento economico e a una diminuzione della disoccupazione, oggi molto alta tanto per gli uomini quanto per le donne. Una prova di ciò è, ad esempio, il lavoro nel tessile, che tradizionalmente in Iran impiegava molte donne soprattutto nelle aree rurali: ma l’embargo imposto dagli USA nel 1979 ha portato al crollo della domanda e, dunque, della produzione, lasciando proprio le donne prive di impiego. Una ripresa della produzione, connessa all’esportazione e al turismo, gioverebbe alla causa dell’ulteriore democratizzazione: ma sembra che, con azioni come quella dell’assassinio di Suleimani (un uomo ch’era molto popolare tanto per i suoi meriti nella lotta contro i fanatici dell’ISIS quanto per la sua fama di equilibrio politico) si sia voluto rallentare proprio questo processo di maturazione civile. Chi a ogni costo vuole la guerra contro l’Iran ha tutto l’interesse che gli iraniani si mostrino ostili all’Occidente: ciò legittimerebbe il suo progetto aggressivo. 

Lungi dall’essere una democrazia perfetta (esistono, le “democrazie perfette”?), l’Iran non è quindi nemmeno un “regime”. Nella vita civile e politica restano molti problemi: però è lecito chiedersi, già in base ai pochi esempi forniti, se una storia diversa dal 1979 a oggi, soprattutto una minore aggressività da parte delle amministrazioni Bush jr. e ora Trump (su tale strada si era messo Obama) non avrebbe potuto portare a miglioramenti più rapidi e a una normalizzazione post-rivoluzionaria che ai tempi del governo del riformista Khatamy era stata avviata ma che si arrestò con Ahmedinejad e che oggi, in un paese che si sente minacciato da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita e che è assediato da un assurdo embargo, manca. L’assassinio del generale Suleimaini non può che rafforzare anche internamente le forze tradizionaliste, attorno alle quali, nei momenti di paura, si compatta anche l’intera società civile. È questo il disegno dell’amministrazione Trump e di chi la sostiene, in modo che la “crescita della minaccia iraniana” divenga un alibi credibile per un’aggressione vera e propria? Alla luce degli eventi è lecito domandarselo.

                                                                           Franco Cardini