Minima Cardiniana 285/5

Domenica 7 giugno 2020, SS. Trinità

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L’OMERO DELLA CONTEMPORANEITÀ
Siccome è un amico, mi farebbe molto piacere se davvero Francesco Benozzo fosse “l’Omero della Contemporaneità”, come qualcuno lo ha definito. Mica a tutti càpita di esser amici di Omero. Certo è che siamo davanti a un autore molto speciale, e non solo perché sia candidato al Nobel. Sono in tanti a lamentare la ristrettezza di vedute e il “fiato corto” dei nostri studiosi, intellettuali, poeti. Non fosse che per questo, dovremmo salutare con gioia l’energia e il coraggio di chi ha ritrovato finalmente il coraggio di parlare di quelle cose delle quali, per definizione, sembra impossibile o inutile (e soprattutto maleducato) parlare.

FRANCESCO BENOZZO PUBBLICA IL SUO POEMA SULLA CREAZIONE DELL’UNIVERSO
Per le edizioni Kolibris di Ferrara, l’unico editore con il quale Francesco Benozzo ha pubblicato e continua a pubblicare opere in versi, è uscito Máelvarstal. Poema della creazione dei mondi.
Come ha scritto il critico letterario José Castello Branco, si tratta di “un poema cosmogonico che racconta la nascita dell’universo 14 miliardi di anni fa, in un dialogo sorprendente tra le cosmologie scientifiche esplorate dall’astrofisica degli ultimi vent’anni, i canti orali delle comunità a interesse etnografico e i testi epico-mitologici antichi”.
In questo poema Benozzo, che qualcuno ha definito “l’Omero della contemporaneità”, affronta una sfida che non era mai stata tentata da nessun poeta antico o moderno prima di lui: una narrazione del caos primigenio in cui materia-energia e spazio-tempo si formarono. Oltre ai trattati di astrofisica sul Big Bang e sul post-Big Bang, Benozzo ha utilizzato come fonti poetiche i poemi orali di varie aree (dai cantori serbi ai narratori groenlandesi e australiani), i testi mitologici antichi come il poema accadico Enûma Eliš del XII secolo a.C. e l’epopea caucasica dei Narti, i bardi gallesi del VI secolo, l’epica medievale romanza e germanica, ma anche autori e poeti della modernità (da Melville a Whitman, da Derek Walcott a Czesław Miłosz).
Il Máelvarstal, che come gli altri lavori di Benozzo esce con una traduzione inglese a fronte del poeta canadese Gray Sutherland, è un fiume di versi che avvolge e trascina dentro un ritmo incantatorio e a volte spiazzante. Benozzo, stabilmente candidato dal 2015 al Premio Nobel per la sua poesia orale e performativa, affronta qui un passo che appare definitivo: l’orizzonte non è più quello umano e non è più nemmeno quello terrestre (la storia del nostro pianeta è del tutto ignorata nel testo). In questo senso, molto lontano dagli scrittori che oggi si occupano di ecopoesia, di crisi del pianeta e di futuro della letteratura, è come se avesse scelto consapevolmente di fare piazza pulita di ogni compromesso con i dibattiti sul cambiamento climatico, per raccontare ciò che è prima della nascita dell’uomo, del pianeta terra e dello stesso sistema solare. In questo senso, questo poema è anche la risposta di Benozzo alla vena antropocenica sempre più seguita anche dagli scrittori di oggi: quella che in alcuni scritti ha definito “l’ossessione del cambiamento climatico”. E questa sua risposta è una risposta da poeta: al di là dei dibattiti, ha scelto di raccontare ciò che è prima di ogni possibile Antropocene perché è addirittura prima della nascita dell’uomo e del pianeta stesso.