Minima Cardiniana 293/3

Lunedì 21 settembre 2020, San Matteo Apostolo

UNA NOTA STORICO-CRONOLOGICA
Confesso una delle mie molte debolezze. Sono superstizioso. Come sapete, i Minima Cardiniana escono di norma alla domenica, per quanto talora siano già pronti dal sabato sera e talaltra si facciano in realtà attendere fino al lunedì mattina. Noterete che ho scelto invece, per la réntrée autunnale, il lunedì 21 settembre, che mi è sembrato dies albo signanda lapillo in quanto giorno dedicato al glorioso evangelista Matteo, patrono di tutti coloro che decidono di abbandonare il danaro e l’usura (e Dio sa se ci sarebbe bisogno di convertiti di tal genere, al giorno d’oggi).
Qualcuno si chiederà se per caso non abbia scelto il 21 settembre anche in quanto giorno dell’equinozio d’autunno. Risponderò ai più anziani fra Voi invitandoli a ricordare una nozione già ricevuta fin dalla scuola elementare (mentre i più giovani, ohimè, anche in ciò saranno forse stati vittime dell’ondata di semianalfabetismo che sta sommergendoli e tale nozione non avranno ricevuta). L’equinozio d’autunno, vale a dire il giorno del “nodo equinoziale discendente” dell’eclisse equatoriale, è il 23 settembre: eccezione nel sistema solstiziale-equinoziale che, nelle altre tre date (i due solstizi invernale ed estivo e l’equinozio primaverile) privilegia in effetti il 21.
La ragione dello spostamento nell’inizio della nostra ripresa è semmai storica. Da quel vecchio reazionario che sono, ho il massimo rispetto per il valore militare: rendo quindi omaggio sincero all’esercito giacobino di Valmy (20 settembre 1792) e al suo feroce coraggio: ma proprio non mi va di celebrare quella battaglia che potrebb’essere assunta a simbolo della finis Europae se non dell’inizio della finis Christianitatis. Ignoro poi perché gli alti comandi dell’esercito piemontese, ormai formalmente divenuto italiano, scelsero proprio il 20 settembre del 1870 per violare la Città Eterna. Certo, il culto delle glorie giacobine era forte negli ambienti massonici alla corte di Firenze (già di Torino) e in tutto il mondo “risorgimentale”, per cui quella violazione potrebb’essere stata intenzionalmente compiuta nel giorno di Valmy per ribadire la vittoria contro “superstizione” e “fanatismo” cattolico-romani. La chiave di lettura dell’episodio potrebbe però essere un’altra, in chiave antifrancese: non c’è difatti dubbio che il Secondo Impero bonapartista, che riprendeva il discorso troncato dalla fine del Primo, affondava le sue radici nell’humus della grande battaglia di settantotto anni prima: in quel caso, umiliando l’anniversario di Valmy, si sarebbe voluto recare offesa a “Napoleone il Piccolo” (come diceva Victor Hugo) e alla Francia, che dal 1859 aveva abbandonato la causa nazionale italiana da quando l’imperatore dei francesi si era reso conto che essa comportava fatalmente la cancellazione del dominio temporale dei pontefici. Era la nuova Italia massonica al quadrato (in quanto aveva scelto ormai l’alleanza con il paese per eccellenza massonico, la Gran Bretagna) che, violando Roma, umiliava indirettamente a Francia ormai tornata cattolica e i volontari “zuavi” della quale erano persuasi che la difesa del Santo Soglio fosse l’“ultima crociata”.
Vi lascio, cari Amici, con questo dilemma: che cosa prevalse nel sentimento dei mandanti della “Breccia di Porta Pia” (un sodalizio che ben potremmo denominare “la Banda del Buco”), il livore anticattolico dei massoni o il neomisogallismo dei patriottardi che, dopo Villafranca, avevano gridato al tradimento napoleonico delle Mirabili Sorti e Progressive del movimento risorgimentale che aveva ormai preso la via della combine tra espansionismo sabaudo divenuto per convenienza anticattolico e centralismo mazziniano-garibaldino anticattolico per definizione ma a sua volta traditore dell’originario spirito repubblicano, cioè di se stesso?
Sulla “gloria” di Porta Pia si fondò l’Italietta. Oggi ne valutiamo a dovere gli esiti lontani. Ecco perché, nel 20 settembre, non c’è proprio nulla da onorare. Come nel 24 maggio, che ricorda un tradimento consumato nel 1915 contro quelli che fino alla vigilia erano stati alleati. Cattivi auspici per una nazione che nasceva alla loro ombra e che – oggi ce ne siamo accorti – va rifondata ab imis.