Minima Cardiniana 299/1

Domenica 1° novembre 2020, Ognissanti

EDITORIALE
A PESTE, FAME ET BELLO LIBERA NOS, DOMINE!
scrivo queste brevi note a Genova, dalle finestre di un vecchio palazzo sul Porto Antico che domina la sopraelevata, il veliero di “Capitan Uncino” e la Lanterna, mentre alla mia estrema sinistra posso vedere la torre del Castello. Sono un privilegiato perché qui, in alcune grandi stanze, ha trovato un rifugio credo sicuro la maggior parte dei miei libri: il resto è sparso in sette o otto luoghi diversi, tra ambienti privati e pubbliche biblioteche.
E scrivo a tarda notte, ormai verso l’alba, alla fine della santa notte di Ognissanti grazie a Dio (anche se, purtroppo, a causa del Covid-19) dopo chissà quante notti non più dissacrata né funestata dall’oscena carnevalata di Halloween: il coprifuoco indetto dalle autorità cittadine come misura per combattere il contagio è servito se non altro almeno a questo (ma auguriamoci anche al resto). Le strade sono perfettamente, surrealmente deserte. L’ordine spettrale di una megalopoli postmoderna.
E da questo osservatorio privilegiato rifletto sui fatti odierni: alcuni dei quali hanno interessato anche la mia Firenze. La movida travestita da revolución.
la lezione della storia, alla quale s’ispira la celebre giaculatoria, è esatta: e l’Apocalisse ce la ricorda. La peste, la fame, la guerra e il decremento demografico malthusiano rappresentano nei secoli una catena ch’è arduo interrompere.
Negli ultimi mesi, da noi in Occidente, si è parlato poco del “terrorismo islamista” sia perché eravamo in altre faccende affaccendati – le elezioni da noi e negli USA, l’insorgere del Covid-19 –, sia perché i teatri di guerra vicino-orientali e mediorentali erano trascurati dai nostri media indotti a guardare altrove: patto trilaterale USA-Israele-Arabia saudita ed emirati arabi (che mette una sordina forse definitiva al problema palestinese), ingerenza turca e mediazione russa nelle questioni caucasico-caspiane.
Ora il problema torna a riproporsi drammaticamente: alla “peste” del Covid-19 si affianca il riemergere della guerra: e torna ad alzare la testa il terrorismo islamico per quanto sembri decapitato e abbandonato a se stesso, ora che al-Qaeda e Daesh non servono più alla politica di quanti sostenevano l’una e/o l’altro (e sembra proprio che alcune potenze regionali arabo-sunnite e magari anche occidentali la sapessero lunga al riguardo).
Ma la “fame”, o quantomeno il disagio sociale, rischia di agganciarsi appunto alla peste e alla guerra, secondo il noto modello apocalittico. Il ventunenne Brahim Aoussaoui, tunisino, era un adolescente dedito all’alcol e alla droga prima di partire dalla Tunisia diretto in Francia e di rendersi responsabile del macello di Nizza: il suo arrivo in Francia potrebb’essere stato grosso modo coevo della ripubblicazione a Parigi, il 2 settembre, delle vignette antimusulmane di “Charlie Hebdo”. Ma il suo gesto, conseguenza che sia di un suo modo spontaneo o di un reclutamento in una qualunque associazione a delinquere che si cela dietro un pretesto religioso, non dipende in qualche modo – a parte la responsabilità obiettiva delle provocatorie dichiarazioni di Macron che colpiscono indiscriminatamente tutto l’Islam anziché facilitare l’isolamento dei facinorosi – anche dallo stato d’ignoranza, di prostrazione, di frustrazione, di mancanza di lavoro e d’orizzonti dei Lumpenproletarien che si trasformano in fanatici assassini? E si torna fatalmente al nodo fra ignoranza, disagio sociale, irresponsabilità civile e fanatismo pseudoreligioso. La “fame” in senso lato, l’attrazione del rischio quando non si ha nulla da perdere e si è disperati per questo, il bisogno insoddisfatto che genera odio inesprimibile se non con gli strumenti della violenza. Olivier Roy ha parlato molto giustamente non già di un pericolo di radicalizzazione che l’Islam subisca nel suo complesso, ma al contrario di quello che un Islam accolto e praticato alla luce di un malinteso si presti a divenire pretesto per un radicalismo politico-comportamentale. La formula “radicalizzazione dell’islam” rischia di rovesciarsi nel suo reciproco, “islamizzazione del radicalismo”. Un pericolo per i giovani immigrati musulmani e anche per noi.
D’altronde, le variabili della crisi possono essere infinite. I moti di strada che ormai con frequenza si sono registrati nelle città italiane, e rispetto ai quali il Covid-19 non può essere giustificazione accettabile così come non lo è il tifo calcistico, appaiono radicati nelle stesse possibili motivazioni: una falsa causa nel nome della quale lottare, o l’assenza addirittura di una causa, nasconde a malapena un Nulla interiore che si nutre del vuoto sociale nel quale si trovano giovani senza interessi, senza cultura, senza legami familiari e sociali forti, senza lavoro. La peste fa riemergere la guerra e sottolinea la fame sottostante. Guai alla società cosiddetta “civile” che tollera l’insorgere di questi problemi: l’esercizio della forza repressiva per soffocarne gli esiti volenti, che può essere necessario e doveroso, non è comunque sufficiente e, soprattutto, non può servire da surrogato per coprire l’inesistenza di più corrette ed efficaci risposte.