Minima Cardiniana 305/2

Domenica 13 dicembre 2020, Santa Lucia Vergine e Martire

ASPETTANDO IL 2021
PUÒ UN INCOMPETENTE PARLARE DI POLITICA?
Confiteor. Siccome sono un professore di liceo diventato docente universitario e addirittura cattedratico per puro caso, non mi sono ancora abituato all’idea: non sarò mai un accademico. E, come tale, non mi prendo e non mi prenderò mai sul serio. Difatti adoro le critiche intelligenti, anche se durissime, e non me la prendo di quelle in malafede: ma detesto gli elogi. Per questo sono molto grato a un mio caro amico – severo e sussiegoso “scienziato della politica”, lui – il quale bontà sua sostiene che sono un discreto storico (e qui si sbaglia), ma che non capisco nulla di politica. È verissimo: mica è facile capirci. E poi io sono per natura un impolitico-antipolitico. Però, dopo avergli chiesto scusa, debbo avvertirlo che qua e là continuerò a cercar di capirci qualcosa. Perché non è che sia un nostro diritto (io ai diritti ci credo poco), ma è purtroppo un nostro dovere di cittadini. E io sono un galantuomo, quindi cerco di essere un buon cittadino.
Così, mi tocca di occuparmi di politica contemporanea: anche perché per decenni ho lavorato sui rapporti tra Europa e Islam, e il mio amico politologo pensava che almeno su ciò qualcosa ci capissi (ma ha cambiato idea da quando si è reso conto che io i gommoni dei migranti non li colerei volentieri a picco, donne e bambini compresi). Inoltre ho una vecchia passionaccia per l’Europa unita, da vecchio europeista. Il che vuol dire cha almeno di politica estera bisogna che un pochino mi occupi: e prova una volta di più che sono fuoristrada, in quanto in Italia di politica estera non si occupa nessuno (e perché dovrebbero? Tanto ci pensano gli americani e la NATO).
Come politologo sballato, avevo fatto una profezia prima delle elezioni USA: vedrete che vincerà il peggiore. Ma chi, mi chiedevano: Biden o Trump? Vincerà il peggiore, appunto: e sarà il peggiore proprio perché vincerà, chiunque vinca.
Difatti, se avesse vinto Trump sarebbe stato un disastro. Ha vinto Biden, ed è un disastro. In una direzione opposta, magari: ma disastro comunque. Biden vuol dire Atlantico che si restringe; patti NATO che si rafforzano con nostro danno politico, ecologico, diplomatico e militare; Italia costretta ad assumere atteggiamenti contrari alla morale obiettiva e ai propri soggettivi interessi; assunzione di un ruolo forzatamente ostile nei confronti di paesi come Russia, Cina e Iran, con forti perdite commerciali nella migliore delle ipotesi.
Quanto alle nostre cose interne, una prova in più del fatto che la politica nel nostro paese è scesa di gran lunga sotto i livelli di guardia sta nel fatto che i due protagonisti della vita pubblica dei prossimi mesi saranno due personaggi entrambi dotati di scarsa esperienza parlamentare ma che (proprio per questo?) hanno dimostrato di saper tenere in scacco il parlamento. Conte appare da tempo in procinto di affondare e continua a comportarsi da inaffondabile. Renzi lo davano per spacciato e invece è riemerso alla grande. Ma la cosa più allarmante è che entrambi stanno concorrendo alla carica di Gauleiter del triste Biden e della sua terribile vice (soprattutto di quest’ultima): Conte è ben deciso a mantenere la barra fissa sulla rotta della portaerei USA – quindi gli esiti diplomatici della faccenda Regeni non si decidono né a Roma né al Cairo, ma a Washington –, Renzi brama addirittura di occupare la poltrona di comando della NATO, come gli è stato promesso. E gli altri? Dem e pentastellati allo sbaraglio, polverizzati, in cerca di nuove formazioni e di nuovi leaders; Salvini che sente in ribasso le riserve di voti alimentati dalla paura dei migranti e, non essendo affatto certo ch’esse possano riempirsi di nuovo, si guarda disorientato intorno; populismo e sovranismo fiaccole ormai languenti; Giorgia Meloni (una dei pochi esponenti politici di punta che faccia seriamente politica, per quanto il contesto dei suoi sostenitori non l’aiuti granché) che forse non si è ancora riavuta dallo scivolone che le fecero fare mesi fa mal consigliandola sulla questione Bannon ma alla quale è scappata di recente una parola magica: confederalismo. In effetti, sarebbe quella una strada realistica verso quell’unità politica dell’Europa tanto più necessaria quanto meno se ne parla. Ma per il momento la cosa lanciata è rimasta per aria e tutti hanno guardato altrove.