Minima Cardiniana 306/2

Domenica 20 dicembre 2020, IV Domenica d’Avvento

ANCORA SUL NUOVO MESSALE

Tra i miei millanta difetti e le millantamila forme d’ignoranza, c’è il fatto che non sono un filologo: per cui, commentando il Nuovo Messale nei numeri precedenti dei MC (mi fa piacere che tale giornaletto stia diventando la Bestia Nera di un sacco di brave persone talmente più papiste del papa da esser convinte che lui è l’Anticristo), ho detto solo poche cose e quelle poche le ho dette male. Mi soccorre ora però un filologo DOC, l’amico (e quanto! E da quanto tempo!) Andrea Fassò, già mio Altkamarad del glorioso Centre des Études Supérieures de Civilisation Médiévale (CÉSCM) nel 1969, allora diretti dal leggendario Edmond-René Labande: dove avevamo colleghi di corso, fra l’altro, due allora bellissimi ragazzi candidati a una sfolgorante gloria accademica: Daniela Goldin, poi consorte del non mai abbastanza compianto Gianfranco Folena (tanto nomini…) e Manuel Sanchez Martinez, andaluso altissimo e biondissimo che ammiravamo, nelle foto che ci mostrava con orgoglio, chiuso nella sua inappuntabile uniforme di alferez dell’esercito spagnolo. Daniela ha insegnato a lungo nella sua Padova e “Manolo”, nativo di Jaen, è stato arabista e orientalista nella gloriosa Università di Siviglia.
Andrea Fassò, che va ricordato per i suoi splendidi studi sulla letteratura cavalleresca medievale (chi non ha letto il suo Gioie cavalleresche. Barbarie e civiltà fra epica e lirica medievale, Carocci, 2005, si affretti: è ancora in vendita), ci fornisce qui un contributo prezioso a proposito del Nuovo Messale e della polemica mai nata (avrebbero fatto meglio a far nascere quella che ad insistere stolidamente sul “non indurci in tentazione”) riguardo al grottesco “che togli i peccati dal mondo” nella traduzione dell’Agnus Dei. Ma su ciò papa Francesco non si è pronunziato: quindi ai Buoni Cattolici va benissimo com’è.

UNA LETTERA DI ANDREA FASSÒ
Caro Franco,
concordo in pieno con quanto dici nel MC 304/1 su “fratelli e sorelle” (fra l’altro, da anni si usa cominciare nella Messa il brano di san Paolo con “Fratelli”; e ora che si fa? Facciamo dire a san Paolo “Fratelli e sorelle”?). Non ho ancora sentito nessuno osservare che questa americanata (perché al solito viene dal femminismo e dal political correct d’oltre Atlantico) può ancora funzionare nei paesi di lingua inglese, dove fra maschile e femminile si distingue in non più di una quindicina di casi a dir molto: man-woman, brother-sister, son-daughter… fino a he-she, him-her, his-her ecc.; mentre the good friend e simili possono riferirsi a uomo o donna indifferentemente. In italiano e tante altre lingue no: vanno declinati articolo, aggettivo, sostantivo, dimostrativo ecc. Diventa impossibile rispettare costantemente la dualità maschile-femminile; anche quelli che cominciano a scrivere in questo modo (comunicati rettorali: Care colleghe e cari colleghi, care studentesse e cari studenti…) a un certo punto si imbrogliano o si dimenticano, e proseguono dicendo i docenti, i ricercatori, i dottorandi, gli studenti ecc.
Se vuoi un bell’esempio di sforzo politicamente corretto, vai sul (peraltro ottimo) Sacred Space dei gesuiti irlandesi (lo conosci?) e scegli la versione spagnola Espacio Sagrado: tutti gli aggettivi che ci riguardano hanno sempre la doppia desinenza: ser amada(o) ecc., col femminile rigorosamente al primo posto. Il capolavoro è questo, che ricorre di tanto in tanto:

Un tronco de árbol, grueso y sin forma, nunca creería que podría ser una estatua, admirada como un milagro de escultura, y no se dejaría trabajar por el cincel de la escultora, que visualiza, a través de su arte, la forma que puede crear en él (San Ignacio).
Pido la gracia de dejarme formar por el amor de mi Creador.

Tu quante escultoras conosci? Io una sola, la mia concittadina Properzia de’ Rossi (1490-1530), che Ignazio difficilmente avrà conosciuto. Ma, posti di fronte al dilemma, gli ottimi Padri hanno scelto il femminile.
Passando a cose più serie, finalmente! Finalmente qualcuno che precisa che qui tollis peccata mundi vuol dire “che prendi su di te i peccati del mondo”! L’espressione fra l’altro viene dal Vangelo di Giovanni (1,29): ho aíron tèn hamartían toû kósmou. E il verbo aírein è l’esatto corrispondente di tollere.
Mi è capitato di fare questa osservazione anni fa, durante una lettura biblica, proprio sul Vangelo di Giovanni (5,8) a proposito del “prendi il tuo giaciglio” ecc. Il gesuita che guidava la lettura invitò a vedere in questo gesto il farsi carico consapevolmente dei propri peccati e, naturalmente, guarirne. Mi venne fatto di osservare che appunto qui tollis peccata mundi vuol dire qualcosa di simile, tanto che lo stesso gesuita mi dette ragione e in una messa di qualche giorno dopo disse “… che prendi su di te i peccati del mondo”. Ma io aggiunsi, e aggiungo tuttora, che a imitazione di Gesù (e del paralitico) tutti dobbiamo prendere su di noi non solo i nostri peccati, ma quelli del mondo che ci ha generati. Anzi, per essere più precisi, si tratta di prendere su di sé “il peccato del mondo” (tèn hamartían al singolare: peccatum, non peccata), ossia non la somma dei singoli peccati, ma il peccato, il male dal quale il mondo è permeato. In altre parole, ognuno di noi porta dentro di sé la storia dell’intera umanità e del mondo; quanto più ne siamo consapevoli, tanto meglio sarà. E ogni nostro atto modifica la storia del mondo: è ovvio e banale, lo so, ma pensarci ogni tanto non fa male. Non basta dire: io non c’entro, io non ne sono responsabile (già, a proposito della domanda: a cosa serve la storia?).
Andrea Fassò

Ps – Andrea non mi ha affatto autorizzato a divulgare la sua lettera: mi scuso con lui e spero di non ricevere una querela da un vecchio amico. L’ho fatto ex abundantia cordis (ed ex deficentia mentis).