Minima Cardiniana 308/3

Domenica 3 gennaio 2021, VIII di San Giovanni Evangelista

MEZZO MILLENNIO DOPO LUTERO

E SE, CINQUECENTO ANNI DOPO LA BOLLA DECET ROMANUM PONTIFICEM (3 GENNAIO 1521) CHIUDESSIMO LA PARTITA?
Nel 2017 convegni e pubblicazioni hanno ricordato l’anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Lutero sul portone della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg, il 31 ottobre 1517. Senonché, come già ricordava Adriano Prosperi (Lutero. Gli anni della fede, Mondadori), in base a un dibattito sulla vicenda già in atto da tempo, è probabile che questo “atto fondatore” non sia nemmeno mai avvenuto.
Le tesi avrebbero avuto una circolazione inizialmente meno spettacolare, all’insegna della ricerca di un accordo, cosa peraltro in linea con la personalità di Martin Lutero. Come scrive Silvana Nitti “non è da escludere la possibilità che le tesi siano state effettivamente affisse al portale della chiesa che era, in quanto chiesa della residenza ufficiale dell’Elettore, fondatore e patrono dell’università, normalmente usata per gli avvisi o per il materiale didattico; una specie di bacheca dell’ateneo, insomma. Ma è certo che la critica al mito del 31 ottobre 1517 (…) resta pienamente valida proprio in quanto si tratta di un gesto niente affatto sconvolgente” (Lutero, Salerno Editrice, p. 107). È da tempo, peraltro, che la rivoluzione del luteranesimo viene riconsiderata alla luce del contesto e del fatto che la cultura del fondatore fosse in realtà ancorata nella tradizione precedente, quella che siamo soliti chiamare “medievale”. La causa immediata della rivolta fu la stanchezza per la riscossione delle tasse ecclesiastiche (“decime”). Martin Lutero insorse contro la corrotta Chiesa di Roma nel nome della libertà di coscienza, dell’annullamento della separazione tra chierici e laici (“sacerdozio universale”), del libero esame delle Scritture contro l’autorità gerarchica ecclesiale, del valore simbolico (e non reale) dell’eucarestia.
Proprio a cavallo tra 2020 e 2021 ricorre un nuovo anniversario, ossia quello della scomunica. Il 15 giugno 1520 Leone X emanò la bolla Exsurge Domine in risposta alle 95 tesi. Sebbene la bolla non criticasse tutti i punti toccati da Lutero, essa vietava la stampa, la vendita e la lettura di qualsiasi libro contenente gli errori contenuti negli scritti luterani; si richiedeva inoltre alle autorità secolari di far rispettare la bolla nei loro domini. La diffusione prese alcuni mesi; sessanta giorni dopo averne ricevuto copia, il 10 dicembre 1520, Lutero la bruciò pubblicamente sulla piazza di Wittenberg insieme a volumi di diritto canonico, altri documenti pontifici e testi di scolastica. Si può dire dunque che in questo momento, più che nel 1517, si consumò la rottura definitiva con Roma: poiché il 3 gennaio de 1521, l’anno dopo, Martin Lutero venne scomunicato, con la bolla Decet Romanum Pontificem.
La “fede riformata” di Lutero si precisò nel 1530 alla dieta di Augusta, nella quale, su richiesta di Carlo V, che voleva aver chiari i limiti della Riforma, il teologo Filippo Melantone presentò un documento, la Confessio Augustana, in 28 punti. Il disaccordo tra l’imperatore e i principi che avevano aderito alla Riforma si precisò nella dieta di Smalcalda, nella quale essi presentarono una loro “protesta” formale contro il sovrano.
Nel frattempo, dopo la scomunica evidentemente priva degli esiti sperati, la Chiesa cattolica rispose convocando un concilio voluto da papa Paolo III che si articolò in tre sessioni fra 1545 e 1563. Si fronteggiavano due tendenze: quella che intendeva rispondere alla Riforma rendendo più rigorosi i costumi della Chiesa cattolica e al tempo stesso dando alle Chiese riformate segni di apertura; e quella che proponeva invece un rafforzamento della disciplina ecclesiastica e un rilancio della predicazione popolare al fine di contrastare l’apostolato protestante. Si potrebbe definire la prima una tendenza “cattolico-riformista”, la seconda “controriformistica”. Ma inizialmente le posizioni non erano sembrate così definite. Nel dibattito sviluppatosi in seno alla Chiesa di Roma sembrò per alcuni decenni esserci davvero spazio per una mediazione.
In Germania, dopo un periodo di scontri militari e di trattative, si giunse alla pace di Augusta del 1555, nella quale si stabilì il principio cuius regio, eius religio: i territori avrebbero dovuto seguire la religione del loro rispettivo principe. Alcuni principi tedeschi accettarono infatti la Riforma proposta da Lutero, almeno in parte per incamerare i beni della Chiesa. Ma repressero con durezza i movimenti religioso-popolari e contadini (come gli anabattisti di Thomas Müntzer) che avrebbero voluto “l’avvento del Regno dei Cieli sulla terra”, cioè inaugurando un nuovo ordine evangelico ed egalitario.
La Riforma di Martin Lutero si sviluppò dunque, rispetto ai tentativi del passato (come quelli guidati da John Wycliff in Inghilterra e da Jan Hus in Boemia), appoggiandosi agli stati e ai poteri costituiti: ma essa inaugurava anche in periodo per l’Europa fatto di guerre e crisi profonde che proseguì fino alla metà del Seicento, coinvolgendo nelle guerre di religione buona parte dell’Europa.
Si dice di solito che le scoperte geografiche e lo scisma luterano hanno cambiato il mondo e hanno inaugurato l’Età Moderna. Per la verità, le periodizzazioni storiche sono qualcosa di largamente convenzionale. Comunque, ci potremmo anche stare. Semmai, da cristiani, si potrebbero obiettare alcune cosette. Per esempio, è un fatto che Lutero avesse molte ragioni dal punto di vista della critica all’immoralità delle gerarchie ecclesiastiche e al misto d’ipocrisia e di avidità che le invadeva. Certo, non avrebbe agito se – da quel buon politico che era – non avesse capito che quello era il momento buono per chi avesse voluto infrangere l’unità disciplinare ecclesiastica a vantaggio di qualche “potere forte”. Lacerò la Tunica Inconsutile del Cristo. Un grande peccato.
Ma il resto? Sul “Libero Esame”, in realtà, la sua critica era debole. Guglielmo d’Ockham, Gerolamo da Praga, Nicola Cusano, Erasmo da Rotterdam, Gerolamo Savonarola, erano stati più duri e più radicali: ma nessuno di loro aveva provocato una reazione pontificia tanto dura: salvo il Savonarola, che però era politicamente un isolato. Sulle questione eucaristica, si era semplicemente messo tutto a tacere C’erano voluti tutta l’autorità di Tommaso d’Aquino e l’imponente dispiegamento di miracoli eucaristici per sistemare l’unica questione ch’era quella che contava, e sulla quale in fondo era scivolato anche il povero Jan Hus, tradito dai padri conciliari di Costanza nonostante il salvacondotto imperiale (una cosa che, un secolo circa prima con Carlo IV e un secolo circa dopo con Carlo V, non sarebbe mai successa). In ballo c’era il potere di “trasmutare le specie” affidato d’autorità ai soli membri del clero con una mutilazione bella e buona di una parte del Corpo Mistico del Cristo, che è la Chiesa nel suo complesso, e con tutta la difficoltà dell’accettare la teoria del miracolo ex opere operato, questione sulla quale le cose più profonde erano state dette da Guglielmo d’Ockham: solo che il francescano di Oxford aveva avuto il torto di difendere la tesi della rigorosa povertà francescana, secondo la volontà del Povero d’Assisi, contro il corrotto Giovanni XXII, avversario anche del grande Meister Eckhardt, alcune delle proposizioni del quale furono pretestuosamente condannate come eretiche. Ockham fuggì presso l’imperatore Ludovico IV, che lo protesse, ma la questione eucaristica rimase sospesa per cui Lutero aveva il diritto di riprendere il discorso. A favore della teoria della transubstanziazione si è espresso di nuovo (quindi molto dopo Lutero) solo il concilio di Trento con una definizione dogmatica della XIII sessione dell’11 ottobre 1551. Risulta mancante una legittimazione ex cathedra Petri: ciò è sufficiente per garantire l’infallibilità? Qualche dubbio doveva avere ancora Pio VI nel 1794 allorché nella costituzione apostolica Auctorem Fidei parlava delle transubstanziazione come di un “articolo di fede”. Tutto ciò è sufficiente sotto il profilo della teologia dogmatica?
Insomma: Lutero fu un po’ come Colombo. Cambiò il mondo non tanto per quel che fece, quanto perché il suo atto giunse in un momento ch’era obiettivamente quello giusto, in un tempo ch’era maturo.
Colombo. Da oltre due secoli si tentava l’alea della navigazione oceanica d’alto mare: i genovesi fratelli Vivaldi sono del Duecento. Mancava però l’incentivo-base, in quanto i trasporti eurasiatici su un sistema misto terra-mare funzionavano (la Via della Seta e i traffici sull’Oceano indiano), il che non aveva spronato gli europei a puntare granché sulle tecnologie nautiche. Però nel Quattrocento il nuovo impero ottomano sembrò chiudere del tutto la via dell’Asia agli Europei: se si voleva arrivare in Cina e alle Indie, si doveva andarci per via oceanica. E gli europei inventarono le vele mobili, che consentivano di navigare a vela anche controvento. Da qui l’avvìo dell’economia-mondo.
Lutero. Per tutto il medioevo il papato, piegato l’impero romanogermanico, non aveva avuto più concorrenti egemonici diretti: i regni e le repubbliche cristiane avevano trovato conveniente assecondarlo compartecipando agli utili economici della raccolta delle decime e a quelli politici della gestione dell’inquisizione (ch’era più faccenda locale, stato per stato, che generale). Ma Lutero arrivò in un momento nel quale il Santo Impero, rifondato dalla saggia diplomazia matrimoniale asburgica, aveva troppo da fare nel Nuovo Mondo e i poteri europei (principi tedeschi, regno di Francia, regno d’Inghilterra) si erano talmente rafforzati che ritenevano giunto il momento di poter gestire direttamente le loro risorse economico-finanziarie (le decime) e teologico-giuridiche (l’inquisizione). Da qui l’avvìo della secolarizzazione.
Ora siamo in una nuova fase. Al “libero esame delle Scritture” aveva già dato impulso l’umanesimo: tecnicamente e metodologicamente, quella rivoluzione l’ha attuata Lorenzo Valla, non Martin Lutero. Sul significato della Bibbia si polemizzava da tempo nelle università; di nuovo c’era solo la diffusione dei testi: questione gutenberghiana, non luterana. E allora, che cosa resta? In fondo, l’unica questione teologicamente grave che Lutero aveva sollevato era quella eucaristica, “congelata” dall’autorità d’Innocenzo III con il Concilio lateranense IV nel 1215. Ma la questione del residuum stercorarium delle specie materiali restava aperta. Oggi, attraverso le moderne tecniche di ricerca scientifica, forse la consubstanziazione si rivelerebbe più sostenibile della transubstanziazione. Teniamo presente che il miracolo stesso è al di sopra della scienza, non è contro la scienza. E allora, caro Santo Padre, che cos’aspettiamo a fare un altro passo sulla via dell’Ut unum sint? Le risoluzioni conciliare del 1582 e pontificia del 1794 sono dogmaticamente sufficienti a chiudere la questione? La teologia e la dogmatica sono discipline dinamiche: e lo hanno più volte dimostrato, specie dal I concilio Vaticano ad oggi? Solo in fatto di teologia eucaristica, e a proposito di un argomento che investe così da vicino la fisiologia con tutto quel che frattanto è stato scoperto, siamo inchiodati a due risoluzioni vecchie di secoli e per giunta entrambe parziali? Io non sono un teologo, ignoro come si muova lo Spirito Santo. Rivolgiamoci ai teologi veri e parliamone (ma per piacere i teologi della domenica e quelli da tastiera lasciamoli da parte).