Minima Cardiniana 310/1

Domenica 17 gennaio 2021, Sant’Antonio Abate

EDITORIALE

MEA CULPA
Sono lieto che questo articolo esca nel giorno della solennità del glorioso abate Antonio, patrono degli animali. In quanto, avendo commesso una bestialità, mi pongo al riparo del suo manto abbaziale e del suo pastorale a forma di “Tau”.
Premetto che queste righe sono per me doverose a quadruplice titolo: come cristiano, come anziano (che quindi ha uno speciale dovere di essere saggio), come insegnante e come pubblicista che, quando scrive qualcosa, può anche (quod Deus avertat) influenzare qualcuno.
I miei difetti, li sapete: sono un impulsivo e un po’ anche un collerico. Due vizi (superbia e ira: Dante li conosceva bene) che conducono talvolta a sbagliare. E quando un uomo onesto, un cristiano, sbaglia, ha il dovere di scusarsi.
I miei pregi, li conoscete. Sono una persona onesta, un “uomo per bene”, come si diceva una volta. Condono sempre volentieri i debiti, perdono le offese altrui, ma sono rigoroso con me stesso. Non applico volentieri agli altri la massima “Chi sbaglia paga”: ma a me stesso, sì. Altrimenti la coscienza non mi lascia in pace.
Un mio ex-interlocutore, che non è ormai più tale non già perché abbiamo idee diverse (sono pieno di amici con idee diverse dalle mie), ma per ragioni caratteriali sue a proposito delle quali non desidero parlare, mi scrive in tono offeso e perentorio, con tanto di maiuscole e di esclamativi, “ingiungendomi” di smetterla di calunniare e di offendere come a suo dire farei spesso (su ciò ho da eccepire: ma può esser capitato) e in particolare avrei fatto, a proposito della polemica su papa Francesco e il vaccino, nei confronti del signor Aldo Maria Valli.
La lettera del mio ex-interlocutore è evidentemente malevola e provocatoria: ma questi sono aspetti soggettivi. Il dato obiettivo di esso è che potrebbe coglier nel segno e comunque mettere in luce un mio errore. E, siccome gli errori si commettono in buonafede (altrimenti sono menzogne), è mio dovere la pubblica riparazione.
Non sono mai d’accordo con il signor Valli e con quello che egli scrive del Santo Padre: ed è un mio diritto. Ma, esprimendomi con molta durezza (e di ciò non mi scuso perché è un mio diritto: ammetto tuttavia di esserci andato giù pesante, cosa che talvolta faccio ma non sempre), e ho affermato una cosa non vera.
Ho difatti asserito to che il signor Valli, giornalista RAI, fu allontanato a suo tempo dal ruolo di vaticanista e che dovette per questo accettare una “derubricazione” a giornalista sportivo. Mi sono avvalso, a questo fine, d’informazioni sicure e autorevoli o che tali stimavo (e non senza ragione: collaboro con la RAI dalla metà degli Anni Settanta del secolo scorso e ne sono stato membro del Consiglio di Amministrazione per il biennio 1994-96, quindi ho nell’ambiente molte e buone conoscenze, nonché una certa competenza in merito), ma che a quel che l’ex-interlocutore afferma mi hanno fornito indicazioni parziali.
Ma quel che è peggio è che, nel ricostruire pessimamente la vicenda, ho emesso un giudizio di condanna ingeneroso: ho affermato che Valli aveva accettato l’accomodamento per restar abbarbicato al suo posto di potere. Ciò è risultato alla luce di più attente verifiche non corrispondente a verità.
In calce a questo editoriale una Nota a margine accuratamente redatta e corroborata da una dichiarazione autentica dello stesso Valli spiega come stanno le cose: niente cedimento alla direzione RAI da parte di Valli, ma un normale e accettabile gentlemen’s agreement teso alla ricostruzione corretta della carriera in vista. Qualche mese di “parcheggio” alla redazione sportiva. Una conclusione decorosa. Di nuovo le mie più sincere scuse per aver equivocato e per non aver correttamente verificato subito.
Ciò non muta evidentemente il tipo di considerazione che io conservo riguardo al signor Valli. Ma del mio errore, e della mia involontaria calunnia, chiedo appunto doverosamente scusa a lui e a tutti coloro che leggono quanto scrivo.
È evidente che niente e nessuno mi costringe a questo gesto, che non ci guadagno nulla, che qualcuno penserà che sono andato a cercarmi una gratuita umiliazione e che ho dato una gran soddisfazione al mio ex-interlocutore. Avrei potuto, al contrario, tranquillamente fare il giochetto della divinità offesa, lasciar perdere la cosa che scomparirebbe da sola nel dimenticatoio oppure rinfacciare al mio ex-interlocutore la palese malevolenza del suo scritto nei miei confronti e in generale del suo atteggiamento: sarebbe il tipico mezzuccio per cercar di passare dalla parte della ragione. Ora, potrei rincarare addirittura la dose e accusarlo di aver in mala fede inventato la faccenda dell’uscita “in tronco” di Valli dalla RAI pur di non sottostare al diktat aziendale. Ma queste ritorsioni sono metodi che non ritengo degni né di me né della mia coscienza.
Né sarebbero degni dei miei maestri. E come giornalista (anche se sono solo iscritto all’elenco pubblicisti: ma lo sono dal 1983 e ho sempre pagato regolarmente quote e diritti all’INPGI) ho avuto un grande Maestro: Indro Montanelli, che mi volle al “Giornale” nel 1982 e m’impose appunto l’iscrizione all’albo per quanto avessi già il mio posto di docente universitario e non mi servisse quindi una copertura professionistica.
Montanelli aveva il costume (se ne ricorderanno i suoi vecchi lettori) di annunziare a chiare lettere, spesso rumorosamente, di essersi sbagliato su qualcosa: anche a distanza di anni. È rimasta famosa, proprio nel periodo nel quale io facevo il mio ingresso nel palazzo milanese di Via Negri, la sua autodenunzia: dichiarò con tanta sfrontata modestia da far la figura di uno che se ne vantasse (e forse era proprio così) di aver per anni sostenuto con foga, e anche con l’appoggio di una buona documentazione, che l’esercito italiano non aveva mai usato gas asfissianti in Africa. Non mentiva, perché la guerra del ‘35-’36 l’aveva fatta come ufficiale combattente, ammetteva che gli “italiani-brava-gente” in quella circostanza non lo erano stati affatto, ma i gas, quelli no. Invece si sbagliava. Il Regio Esercito in cui c’erano cappellani che incitavano alla crociata contro la barbarie abissina (barbarie di gente molto più cristiana degli italiani) i gas li aveva tirati eccome. Per lui fu un dramma. S’informò in ogni modo, raccolse dati, e alla fine annunziò di essersi sbagliato e lo fece in modo tale che la sua “sconfitta” fu quasi una doppia vittoria.
E mi dette una chiara lezione di deontologia professionistica e di giornalismo serio: proprio a me che, quasi ragazzino di fronte a lui, gli rimproveravo di “essersi andato a cercare un’umiliazione”. Montanelli non era credente, non aveva il mio stesso atteggiamento di fronte alla menzogna: anzi, era abbastanza cinico. Ma la coscienza professionale, quella ce l’aveva specchiata: e anche la “furbizia” del mestiere fatto alla grande.
Mi rispose difatti (e me lo ricordo come fosse ora perché la sua lezione, rimasta per me quasi incomprensibile allora, mi è chiarissima in questo momento): “Ragazzo mio, fatti furbo. Se ammetti di avere sbagliato a distanza di anni dal tuo errore, quando nessuno te lo rimprovera né ti costringe ad ammetterlo, senza dubbio perdi la stima di qualche decina d’imbecilli che credono che tu ti sia umiliato; e senza dubbio guadagni per sempre quella di centinaia di persone oneste e intelligenti”.
Ebbene, sì. Il mio ex-interlocutore nella sua malevola missiva mi accusa fra l’altro di aver detto cose “velenose”. Ammetto di essere rimasto sul momento offeso da quell’aggettivo, che sento di non meritare. Poi ci ho ripensato: ha un po’ di ragione anche in questo. Queste mie paginette, un loro in cauda venenum ce l’hanno. E me lo ha spiegato ieri a tarda sera (sto scrivendo alle 4,30 del mattino) un mio caro amico sacerdote, che è anche il mio “direttore di coscienza”. Gli ho raccontato per filo e per segno la vicenda e gli ho anticipato quanto avevo intenzione di scrivere: l’ho sentito ridacchiare dall’altro capo del filo e me ne sono stupito. Ero convinto che più onesti di così è impossibile. Ma lui ha scoperto subito i miei altarini non chiaramente noti (fino ad allora) nemmeno a me. E mi ha detto: “Vedi, fai benissimo a scusarti con la persona che non hai calunniato perché tali non erano le tue intenzioni, ma che hai offeso, sia pure in buona fede e involontariamente: infatti facendo così hai peccato di mancanza di carità nei confronti del prossimo. È un peccato mortale. Però…”: e giù un’altra risatina. Però che cosa, accidenti? Che cosa può fare di più un cristiano? “Caro mio, ti conosco: sarà un peccato veniale, d’accordo; e poi codesta è onestà, è lealtà, è capacità di farsi un buon esame di coscienza quotidiano” (lo so bene: ho fatto il liceo con la Compagnia di Gesù) “… però…”. Però che, reverendo padre? “Lo sai bene: è un’enorme, infinita superbia”.
Infatti…

Nota a margine
Sul fatto che il dottor Aldo Maria Valli sia passato dal ruolo di vaticanista per il TG1 a coordinatore di RaiSport – seppur per pochi mesi – non ci sono dubbi. Non solo perché nella biografia pubblicata su Wikipedia le sue cariche professionali sono elencate in modo dettagliato: sappiamo bene, almeno per chi abbia provato a modificare qualcosa, in buona fede e con cognizione di causa, sull’“enciclopedia libera”, quanto sia difficile superare l’esame, anche delle virgole inserite, da parte dei “censori”, che, letteralmente, “fanno le pulci” anche agli spazi bianchi; ma perché è lo stesso dottor Valli, sul suo sito, a scriverlo. La domanda sorge spontanea: perché un “passaggio di consegne” a pochi mesi dalla pensione? Certo, difficile che si tratti di “volontà carrieristica” da parte dell’interessato. Più probabile un gentlemen’s agreement per devolvere quanto dovuto all’INPS prima del riposo. Un articolo del “Secolo d’Italia”, ad esempio, parla di una sorta di “rimozione politica” (Rai malata di “sinistrismo”: sul centrodestra censura in stile nord coreano. Convegno al Cis – Secolo d’Italia): insomma, ci sono tutti i motivi per dubitare di una scelta personale. L’unica verità è che il dottor Valli non ha mai rifiutato il nuovo incarico a RaiSport.
Si riportano di seguito le indicazioni fornite da Wikipedia: “Dall’aprile 1995 è a Roma, al TG3 nazionale, prima come cronista, poi dal 1996 come vaticanista. Ha seguito papa Giovanni Paolo II in circa quaranta viaggi internazionali e ne ha raccontato l’agonia (aprile 2005) in lunghe edizioni speciali. Al TG3 diventa capo della redazione esteri, poi nel luglio 2007 passa al TG1 come vaticanista. Per Speciale TG1 ha realizzato Il mistero padre Pio (28 ottobre 2007), Il miracolo Lourdes (27 gennaio 2008), Opus Dei (28 settembre 2008), Una scommessa chiamata Concilio (15 febbraio 2009), Rivoluzione Francesco (9 marzo 2014). Dal luglio 2019 passa a Rai Sport, con l’incarico di caporedattore al Coordinamento, fino al pensionamento avvenuto a gennaio 2020” (
Aldo Maria Valli – Wikipedia). E quelle, inconfutabili, che ci giungono direttamente dalla sua penna: “Il prezzo dei miei cambiamenti professionali (l’ultimo è recente: dal Tg1 a Rai Sport, con l’incarico di caporedattore al Coordinamento) l’ha sempre pagato senza una lamentela. Santa Subito [sua moglie, n.d.r.] ha il potere di farmi sentire un vecchietto di belle speranze” (San Gennaro, Chesterton e un anniversario – Aldo Maria Valli). Sappiamo bene che a pensar male si fa peccato e non è cristiano, come ci ammoniva Giulio. È pur vero che qualche volta ci si azzecca. Non è questo il caso, s’intende.