Minima Cardiniana 316/6

Domenica 28 febbraio 2021, II Domenica di Quaresima

RIPENSANDO LA POLITICA ESTERA (IN PARTICOLARE MEDITERRANEA E ORIENTALE) DI MUSSOLINI
Il 10 giugno del 1940 Mussolini pronunziò dal balcone di Palazzo Venezia un breve discorso: quello dell’entrata dell’Italia in guerra, che fu accolto con molto minore giubilo di quello che cinegiornali, giornali radio e stampa cercarono di dimostrare: è stato ampiamente dimostrato che l’alleanza con la Germania e le sciagurate “leggi razziali” avevano già avviato un declino nella popolarità del Duce. In quel discorso, egli svolse sinteticamente la tesi delle “catene” che legavano l’Italia impedendole uno slancio nella sua corsa verso la piena affermazione di grande potenza nel mondo e verso il conseguimento di una futura prosperità che peraltro sembrava avviata. Quelle catene erano soprattutto rappresentate da una realtà: l’Italia, immersa nel Mediterraneo, si trovava in un mare i cui due sbocchi oceanici, a ovest e a sud – Gibilterra e Suez – erano nelle mani di una potenza ostile la quale per giunta, sotto il profilo geostorico, non aveva alcun diritto di cogestire un mare che bagnava soltanto il litorale nord di una sua colonia, l’Egitto, e che circondava la piccola isola di Malta: un po’ poco per vantare diritti di prevalenza.
Bisogna riflettere su tutto ciò oggi, in quanto la situazione è peggiorata: il Mediterraneo è totalmente controllato dagli USA tramite le basi NATO, eppure neppur un metro di costa circummediterranea appartiene agli Stati Uniti. Se pesanti erano le catene che l’Italia doveva portare nel 1940, come sono quelle che tutti i paesi del Mediterraneo sono costretti a portare nel 2021, con il rischio incombente di una nuova guerra che sembra avvicinarsi e alla quale il nostro paese, che dovrà subirla, sul piano dei diritti e degli interessi, sarebbe del tutto estraneo?

ENRICA GARZILLI
NAVIGARE NECESSE EST: AL DI LÀ DEL MARE NOSTRUM
Per inquadrare le linee generali della politica del Fascismo verso l’Asia per il libro su cui sto lavorando, Mussolini e Oriente, mi sono limitata a illustrare a grandi linee le direttive della politica estera del Duce – tenendo a riferimento le regioni di cui mi occupo. E, ovviamente, ora che il libro è quasi terminato, posso dire che ho sviluppato una mia tesi innanzi tutto sulla vexata quaestio: esiste una politica estera fascista? L’altra domanda a cui ho tentato di rispondere è: intorno a cosa si sviluppa? E che visione aveva Mussolini, se l’aveva?
Per decenni gli storiografi hanno dibattuto se ci fosse un primato della politica estera nel periodo fascista e addirittura se si potesse parlare di “politica fascista”, cioè se Mussolini avesse apportato un cambiamento radicale e delle priorità diverse rispetto alla politica estera dell’Italia liberale precedente o se si dovesse invece parlare di “politica estera fascista”, cioè una politica di sostanziale continuità con il passato o, al massimo, di esasperazione di temi precedenti.
Un altro punto d’interesse per gli studiosi, importante a mio avviso principalmente in relazione a certe scelte operate dal 1935 circa in poi – la Campagna d’Etiopia, le leggi razziali, l’entrata in guerra – è quanto la personalità e la psicologia del Duce avessero influito sulle sue scelte di politica estera. Ma sui due argomenti, e su altri quali l’influenza degli ambasciatori sugli indirizzi della foreign policy di Mussolini, ci sono molti eccellenti studi.
Citerò solo alcuni classici su queste problematiche. Fiero antifascista, Gaetano Salvemini in Mussolini diplomatico (1922-1932), nell’ultima pagina rende omaggio, se così si può dire, alla fertilità delle “invenzioni drammatiche” di Mussolini, perché secondo lui mancava di un’adeguata conoscenza dei meccanismi della diplomazia.1 Sarebbe stato quindi una specie di avventuriero dei rapporti internazionali che a causa della sua “inesperienza grossolana” non aveva un preciso piano di politica estera ma procedeva per lo più improvvisando. L’unica cosa che avrebbe caratterizzato sempre la sua azione era eccitare gli animi degli italiani illudendoli che la nazione avesse un destino imperiale e loro dovessero realizzare grandiose imprese. Sarebbe stato quindi un bluffer; stessa idea di Denis Mack Smith in Mussolini’s Roman Empire e nella sua biografia Mussolini in cui si descrive un Duce vanesio, opportunista e millantatore;2 e per Giorgio Rochat in La guerra di Mussolini, 1940-43. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta, per cui la responsabilità della disfatta italiana nella Seconda guerra mondiale si deve a uno scollamento molto evidente tra politica estera e preparazione militare: l’esercito avrebbe dovuto essere per Mussolini uno strumento di politica estera ma, mancando di una linea politica coerente, non sarebbe stato possibile avere un programma militare all’altezza della situazione.3
Il dibattito se Mussolini avesse un piano di politica estera o seguisse un opportunismo senza direzione in Renzo De Felice, “Alcune osservazioni sulla politica estera mussoliniana”, nel volume da lui curato L’Italia fra tedeschi e alleati. La politica estera fascista e la seconda guerra mondiale; e la sua tesi è che non avesse un piano generale di politica estera.4 Di parere opposto Jens Petersen in Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, secondo cui l’aveva perché “rifletteva profonde aspettative ed aspirazioni della società italiana, connesse con il problema della ‘nazione in ritardo’”.5 Quale in effetti era.
Dello stesso parere Ennio Di Nolfo in Ennio Di Nolfo; Brunello Vigezzi; Romain H. Rainero, L’Italia e la politica di potenza in Europa, per il quale il filo conduttore di Mussolini era il revisionismo.6 Nel dibattito sulla questione della continuità o della discontinuità della politica estera fascista rispetto alla tradizione diplomatica dell’Italia liberale in termini di equilibrio fra le capacità di freno e di moderazione della Consulta e la volontà di rottura mussoliniana, Di Nolfo parla del fallimento del tentativo del diplomatico e funzionario degli Esteri Salvatore Contarini, che “intendeva continuare col maggiore impegno richiesto dalla nuova situazione la politica estera tradizionale dei governi liberali italiani”: un fallimento che aprì la via alle avventure del regime.7 Mussolini postulava che l’unico modo per uscire dalla crisi che attraversava l’Europa del dopoguerra fosse la revisione dei trattati di pace e la completa revisione degli equilibri politici mondiali.
Per Giampiero Carocci in La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928) il piano di politica estera di Mussolini si basava sulla ricerca di egemonia nella zona danubiana-balcanica.8 Fulvio D’Amoja in La politica estera dell’impero. Storia della politica estera fascista dalla conquista dell’Etiopia all’Anschluss vede il fulcro della sua politica nell’imperialismo; così come per Giorgio Rumi, “‘Revisionismo’ fascista ed espansione coloniale (1925-1935)”, in Alberto Aquarone; Maurizio Vernassa, Il regime fascista, per cui “la politica revisionista di Mussolini sta per realizzare il suo disegno” di concretare l’Impero, cosa che fece con l’occupazione dell’Etiopia, perché “fin dagli inizi, il ‘revisionismo’ fascista mostra il suo vero significato strumentale in ordine al conseguimento di vantaggi precisi”. Che erano appunto la realizzazione di un impero.9
La mia tesi sviluppa e spinge più avanti la tesi di Rumi: non solo esisteva una politica estera revisionista di Mussolini orientata alla realizzazione dell’impero, ma quale era la sua visione espansionista da ben prima che diventasse il Duce? Credo ci sia stata una sostanziale coerenza fra le aspirazioni e le intenzioni di Mussolini in politica estera e la sua azione. Oltre alla volontà di rivoluzionare la carta politica del continente, il suo revisionismo si è mosso con crescente consapevolezza verso un’affermazione imperiale. Ma qual era la visione di Mussolini? Quale impero aveva in mente, quello che si affacciava sul Mare Nostrum?
Non solo l’egemonia sui Balcani, il Mediterraneo e verso est, il Vicino Oriente, ma il sogno, perseguito durante tutto il Ventennio, sebbene dissimulato e moderato dai suoi ministri, era quello di scalzare tout court l’impero inglese. In Asia e in Africa. E questo sin dal 20 aprile 1919, quando scriveva su Il Popolo d’Italia che “L’Italia, anche per la sua posizione geografica che la mette in contatto quasi immediato con l’Egitto ed il Canale di Suez, con il Mediterraneo orientale e col mondo indiano, potrebbe domani assolvere il compito di far saltare l’impero inglese, asiatico ed africano. Tanto più che i fermenti indigeni non mancano e la cronaca di questi giorni n’è piena”.

1 Gaetano Salvemini, Mussolini diplomatico (1922-1932), nuova ed. integrale, Bari: Laterza, 1952 (Libri del tempo Laterza, 6), (1a ed. Parigi, 1932).

2 Denis Mack Smith in Mussolini’s Roman Empire, New York: The Viking Press 1975; Idem, Mussolini, Milano: Rizzoli, 1976.

3 Giorgio Rochat, La guerra di Mussolini, 1940-43. Dall’Impero d’Etiopia alla disfatta, Torino: G. Einaudi, c. 2005 (Einaudi storia; 5.)

4 Renzo De Felice, L’Italia fra tedeschi e alleati. La politica estera fascista e la seconda guerra mondiale, Bologna: Società editrice Il Mulino, 1973.

5 Jens Petersen in Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, Bari 1975.

6 Brunello Vigezzi; Romain H. Rainero, Ennio di Nolfo, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-1940), Milano: Marzorati, c. 1985.

7 Ennio di Nolfo, Mussolini e la politica estera italiana, 1919-1933, Padova: CEDAM, 1960.

8 Giampiero Carocci, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari: Laterza, 1969.

9 Fulvio D’Amoja, La politica estera dell’impero. Storia della politica estera fascista dalla conquista dell’Etiopia all’Anschluss, Padova: CEDAM, 1967 (Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri”; Pubblicazioni); Giorgio Rumi, “‘Revisionismo’ fascista ed espansione coloniale (1925-1935)”, in Alberto Aquarone; Maurizio Vernassa, Il regime fascista, Bologna: Società editrice il Mulino [1974].