Minima Cardiniana 322/3

Domenica 11 aprile 2021, Domenica in Albis

STATISTI E GAFFEURS
IL SOFAGATE E IL DITTATORE
È stata, in un certo senso, “la notizia della settimana”. Le immagini che da Ankara hanno mostrato prima lo spaesamento, poi l’evidente contrarietà della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, alla quale è stata negata la “sedia d’onore” accanto al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel durante un incontro ufficiale tra Unione Europea e governo turco, hanno fatto il giro del mondo. L’opinione pubblica si è divisa, come al solito, tra le scontate accuse di sessismo, maschilismo e provocazione nei confronti del presidente turco, oppure, più cautamente, ha cercato di spiegare i motivi di un tale atteggiamento e di quella che può anche apparire come una “gaffe diplomatica”, secondo noi alquanto improbabile. L’articolo che riportiamo qui sotto ci è parso il più convincente e obiettivo, perché pone al vaglio dei lettori le varie motivazioni che stanno alla base di un gesto che ormai ha scatenato una bagarre istituzionale anche all’interno dell’Unione Europea.

Da parte nostra, al netto di sedie e divani, riteniamo assai preoccupante la dichiarazione del premier Mario Draghi che, commentando il fattaccio, ha definito Erdoğan un dittatore, aggiungendo, però, “un dittatore del quale abbiamo bisogno”. Apriti cielo. Si è sfiorato l’ennesimo incidente diplomatico, anche se in queste ore sembra che il caso si stia ridimensionando. Ankara ha subito convocato l’ambasciatore italiano in Turchia con lo scopo di invitare il nostro premier a “ritrattare”, anche se il premier non ha ritrattato. Molti esponenti politici hanno manifestato sostegno e approvazione per le parole di Draghi, così come l’opinione pubblica nostrana. Non ultimo, il giornalista Pierluigi Battista che, durante la “striscia” settimanale a lui riservata al TG5, non ha esitato a difendere e lodare il premier per essere stato l’unico ad aver avuto il coraggio di “chiamare per nome” il presidente turco. Perché in Turchia non “esistono alcune libertà fondamentali”, è stata l’eco che ha accompagnato i mesti sospiri dei media in generale. A proposito, Pigi, quasi venti anni fa – ricordi? – litigavamo a proposito dell’intervento occidentale in Iraq. Ne sostenevi l’opportunità e la legittimità. Poi è arrivata la confessione di Tony Blair a proposito della combine alla base dell’aggressione del 2003. Sai che mi sono sfuggite le scuse che hai fatto ai tuoi lettori e ascoltatori per quel che avevi sostenuto al riguardo? Mi piacerebbe che tu ci rinfrescassi le idee ripetendo le parole che hai detto e/o scritto in tale circostanza, e che per un’imperdonabile amnesia (comincio a diventar vecchio…) non ricordo più.
Quel che per noi soprattutto stride, quel che a noi risulta incomprensibile, è la “caduta”, l’“inciampo” di un “uomo delle istituzioni” come Mario Draghi, che in determinate occasioni dovrebbe almeno far tesoro dell’esperienza pluriennale che può vantare nel suo curriculum di “uomo di stato”. Si chiama in causa la libertà di espressione? Quella che magari in Turchia non esiste? Ognuno è libero di pensarla come preferisce, ma definire “dittatore” un capo di stato (o “assassino”, come ha fatto Biden con Putin) a noi sembra inconcepibile, come inconcepibile è la chiosa “del quale abbiamo bisogno”. Dunque, in quest’ottica possiamo sopportare tutto: ovvero che i “dittatori” o i ritenuti tali furoreggino con i loro “crimini”, ma bisogna soprassedere perché ne abbiamo bisogno. Se non è ipocrisia questa! Sarebbe inoltre opportuno comprendere secondo quali parametri si definiscono, oggi, i “dittatori”. Oppure i crimini. Perché ce ne sono infiniti, sparsi dappertutto, che necessiterebbero di una risposta immediata e gridano giustizia.
E infine, chi mai autorizza il Presidente degli Stati Uniti e i suoi gregari e portavoce istituzionali sparsi purtroppo in gran parte del mondo e insediati in molti delle sue capitali a calpestare con tanto sistematica impudenza il diritto internazionale sistematicamente ingerendosi nelle questioni interne di tutti i paesi del mondo e distribuendo patenti di buona e di cattiva condotta con la destra mentre, con la sinistra, si coprono delitti e malefatte dei propri alleati e dei propri sicari? Ci si dimentica con troppa disinvoltura, ad esempio, che il “dittatore” Erdoğan è stato pur sempre il protagonista di una riforma che ha trasformato una repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, mentre non c’è nemmeno uno straccio di copertura formale alla detenzione da anni, in condizione di privazione di tutti i diritti sia civili sia umani, di centinaia di ostaggi nel carcere di Guantanamo. Dunque, un dittatore turco mette in atto una riforma istituzionale nel suo paese, e poi magari ne abusa ed è un dittatore per quello. Un presidente democratico sequestra esseri umani calpestando qualunque diritto al mondo e tutti tacciono. Chi dei due compie atto più “dittatoriale”, anzi più tirannico, Dottor Battista? –
FC

FRAU VON DER LAYEN E IL MISTERO DELLA SEDIA MANCANTE
Se ne sta parlando molto per varie ragioni, ma è uno di quegli episodi in cui il protocollo e la prassi suggeriscono due cose diverse.
Sui giornali e sui social network di mezza Europa si sta parlando molto dell’incidente diplomatico avvenuto lunedì ad Ankara, in Turchia, durante un incontro ufficiale fra Unione Europea e governo turco. All’inizio dell’incontro, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è rimasta senza un posto dove sedersi, dato che le uniche due sedie disponibili erano state occupate dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan.
Dell’incidente se ne sta parlando così tanto per questioni oggetto di un ampio dibattito da tempo: per esempio lo scarso riguardo nei confronti dei capi delle istituzioni europee da parte di leader stranieri, il sessismo nei confronti delle leader donne, i rischi e le difficoltà di avere a che fare con presidenti autoritari come Erdoğan, e il conflitto latente fra istituzioni dell’Unione Europea.
Sul fatto che l’incidente sia avvenuto davvero, e che non si sia trattato di uno spiacevole equivoco, non ci sono dubbi. Nella stanza dove si è tenuto l’incontro non era stata predisposta una sedia per von der Leyen, che si è dovuta sedere sul divano lontano da Michel e Erdoğan. “La presidente della Commissione è rimasta chiaramente sorpresa, e lo si può vedere anche dal video”, ha detto il portavoce di von der Leyen, Eric Mamer, in una conferenza stampa tenuta martedì.
Una fonte europea del Wall Street Journal ha raccontato che Von der Leyen non era entrata nella stanza prima dell’incontro con Erdoğan, lasciando intendere che, qualora se ne fosse accorta, avrebbe chiesto una sedia per sé. Von der Leyen si è invece seduta di fronte a un altro divano su cui c’era il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, che per protocollo diplomatico non siede sulla sedia dato il suo ruolo meno importante rispetto a Erdoğan.
La versione più aggiornata del trattato fondativo dell’Unione Europea prevede all’articolo 15 comma 6 che il presidente del Consiglio Europeo, cioè Michel, “assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune”: cioè i due temi di cui Michel e Von der Leyen hanno discusso con Erdoğan.
Anche una delle ultime versioni del protocollo ufficiale del Consiglio dell’Unione Europea spiega che “fra le più alte cariche dell’Unione Europea, nell’ambito della rappresentanza esterna”, il presidente del Consiglio Europeo precede il presidente della Commissione.
Secondo la prassi in vigore, però, nessuno dei leader nazionali tratta Von der Leyen come se la sua carica fosse di grado inferiore rispetto a quella di Michel, a prescindere dal protocollo ufficiale. Anche perché in termini di potere, se proprio bisogna fare un confronto, Von der Leyen ne ha assai più di Michel: la prima dirige infatti l’organo esecutivo dell’Unione Europea, che conta quasi 33mila dipendenti e gode di notevoli autonomie in vari ambiti; il secondo svolge quasi solo la funzione, molto rilevante ma anche assai delimitata, di mediatore delle riunioni del Consiglio Europeo, l’organo in cui siedono i 27 capi di stato e di governo dell’Unione e che ne decide l’agenda politica.
In tutti i più recenti incontri con leader nazionali a cui Michel e Von der Leyen hanno partecipato insieme, alla presidente della Commissione è stato riservato lo stesso trattamento di Michel. In un caso, come durante la visita fatta nel marzo del 2020 al confine fra Grecia e Turchia, a Von der Leyen è stato persino riservato un posto di maggiore rilevanza rispetto a Michel, a fianco del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
Nelle ultime ore stanno emergendo delle foto scattate nel 2015 durante una riunione del G20 ad Adalia, in Turchia, in cui l’allora presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, erano seduti ai lati di Erdoğan, su poltrone identiche.
Per molti osservatori l’incidente diplomatico è stato un sintomo del sessismo che le leader donne subiscono da sempre a tutti i livelli della politica, anche ai più alti.
Del resto Erdoğan aveva spesso fatto già in passato commenti discriminatori e offensivi nei confronti delle donne, come quando nel 2016 disse che le considerava “prima di tutto delle madri”. Di recente il suo governo ha annunciato il ritiro dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, mentre diverse inchieste hanno mostrato come negli ultimi anni la libertà delle donne turche sia progressivamente peggiorata.
Alcuni politici e commentatori europei hanno sostenuto però che anche Michel avrebbe potuto prendere una posizione più netta, e rifiutarsi di partecipare all’incontro oppure cedere la sua sedia a Von der Leyen. “Perché è rimasto zitto?”, si è chiesta su Twitter la parlamentare europea Sophie in ’t Veld, olandese e appartenente al gruppo dei Liberali. “Da Erdoğan non ci aspetta niente di diverso, ma fa amarezza il fatto che il presidente del Consiglio Europeo sia sceso al suo livello”, ha commentato l’ex cancelliere austriaco Christian Kern.
A Bruxelles esiste da tempo un movimento piuttosto sotterraneo che segnala episodi di sessismo all’interno delle istituzioni: uno dei più attivi è MeTOOEP, che lavora al Parlamento Europeo e oltre a fare pressione per ottenere una piena parità di genere nelle istituzioni raccoglie testimonianze di molestie e violenze subite dalle donne.
Altri hanno segnalato che non è la prima volta che rappresentanti delle istituzioni europee fanno figure del genere durante delicate visite diplomatiche. “È la seconda volta in due mesi che avvengono imbarazzanti incidenti diplomatici con vicini problematici”, ha fatto notare la giornalista di affari europei Beatriz Ríos, citando la recente e fallimentare visita dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borrell, in Russia.
Secondo alcuni, quello che è successo è la dimostrazione che l’Unione Europea non abbia l’autorevolezza e la credibilità necessarie per condurre una politica estera indipendente. “Il passo falso del divano è una perfetta allegoria della politica estera europea”, ha scritto Roman Pable, esperto di relazioni internazionali e consulente politico del gruppo dei Liberali al Parlamento Europeo: “sul piano internazionale veniamo trattati senza alcun rispetto, ma invece che discutere del perché succede ci mostriamo indignati senza cambiare niente di sostanziale, ma restando in pace con noi stessi”.
Altri invece ne parlano come di un errore strategico. “Se l’Unione Europea deve impegnarsi in rischiosi passaggi diplomatici, non dovrebbe mandare Von der Leyen e Michel insieme”, ha commentato su Twitter Alexander Clarkson, ricercatore di studi europei per il King’s College di Londra: “mandare due importanti istituzioni europee offre più margine a una figura autoritaria per giocare col protocollo, e dare una simbolica dimostrazione di forza. Questi sono i punti su cui il Servizio europeo per l’azione esterna [il servizio dell’Unione Europea per gli affari esteri] dovrebbe alzare il proprio livello”.
Clarkson ha lasciato intendere, insomma, che la responsabilità dell’incidente non sia stata di Michel, quanto dei funzionari che avevano preparato l’incontro.
Infine, la gestione dell’incidente ha anche dimostrato un certo disallineamento fra due importanti istituzioni europee come il Consiglio e la Commissione. Gli uffici della comunicazione delle due istituzioni non hanno concordato una risposta condivisa, e anzi si sono dati reciprocamente la colpa per l’incidente diplomatico.
La Commissione ha fatto commentare l’incidente a Mamer, che fra le altre cose ha sottolineato come i sopralluoghi degli incontri siano stati eseguiti dallo staff del Consiglio Europeo; il Consiglio Europeo invece non ha commentato pubblicamente l’incidente, ma parlando informalmente con Politico ha fatto sapere che dal proprio punto di vista il protocollo è stato rispettato, dato che Michel era la carica europea più alta presente durante l’incontro.
(Il Post, 7 aprile 2021)