Minima Cardiniana 244

Domenica 28 aprile 2019. Domenica in Albis

La domenica In Albis è parte importante e integrante del tempo pasquale. Mi esimo, pertanto, come ho fatto nella domenica di Pasqua, dal trattare di vari temi: mi limito all’Editoriale, che, purtroppo – dopo quello, drammatico ma non privo di elementi di speranza, dedicato al rogo di Notre Dame –, stavolta tratta un tema davvero doloroso. Inchiniamoci dinanzi alle vittime innocenti della ferocia, del fanatismo e – forse – del calcolo politico: e chi di noi è credente, preghi.

EDITORIALE

IL MARTIROLOGIO CRISTIANO-ORIENTALE: I MANDANTI, GLI ESECUTORI, I PROFITTATORI

“Non possiamo contare i martiri”. Così esclamava tra II e III secolo il cartaginese Tertulliano, un pagano convertito al Cristianesimo e divenuto ardente apologeta. Ma, quando scriveva così a proposito dei suoi correligionari, il peggio doveva ancora venire. Sarebbe arrivato qualche decennio più tardi, con Decio e poi con Diocleziano.

In molte parti del mondo, i cristiani continuano a essere uccisi: e ad esserlo non già perché si trovano in mezzo a guerre o a massacri di vario genere, ma proprio in quanto tali, in quanto cristiani. Vittime di un odio che per certi versi è antico e atavico ma che, comunque, nel tempo sembrava assopito; e per altri aspetti è nuovo, e trova chi lo alimenta per fanatismo o per bieca convenienza politica.

La catena di attentati a Colombo, nello Sri Lanka, che nel giorno di Pasqua hanno provocato centinaia tra morti e feriti, sembra aver avuto due obiettivi: da una parte, le chiese cristiane, quindi comunità religiosamente connotate con precisione; dall’altra, alcuni hotels di lusso, quindi presumibilmente i turisti occidentali e, indirettamente, il governo locale che si è voluto mettere in difficoltà. Non dimentichiamo che quella terra, l’antica favolosa isola di Ceylon, è stata di recente per anni devastata da una ferocissima guerra etnica: quella delle Tigri Tamil per creare uno stato indipendente nel nord contro la maggioranza singalese. Una guerra non religiosa, dunque, in un paese dove la maggioranza è buddista, una minoranza non ristretta induista, due minoranze minori musulmana e cristiana. Continua a leggere “Minima Cardiniana 244”

Minima Cardiniana 243

Domenica 21 aprile 2019.

Pasqua di Resurrezione di Nostro Singore Gesù Cristo – MMDCCLXXII anniversario della fondazione di Roma – Sei giorni dopo l’incendio di Notre-Dame di Parigi

“Cadde il fuoco del Signore che consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere…”. A tale vista, tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra esclamando: Il Signore è Dio!  Il Signore è Dio!” (I Regum, 18, 38-39).

In questo Santo Giorno, basti  una sola considerazione: ho cercato di riassumerla nell’ Editoriale. Ci sarà tempo nelle settimane prossime per riflessioni e polemiche. Oggi, buona Pasqua a tutti!

 EDITORIALE

PENSARE LA PASQUA, OGGI

Le storielle – le “barzellette”, come di solito le chiamiamo noialtri – sono spesso cose molto serie. Sono la viva sostanza della saggezza dei popoli saggi. E i cinesi sono popolo notoriamente saggissimo. E’ quindi bene tener a mente la storiella della povera famiglia contadina sulla quale cade la mannaia di una disgrazia: un raccolto andato a male, gli animali da cortile decimati da una morìa o roba del genere. Ma, mentre tutti piangono e si disperano, il vecchio patriarca sentenzia: “Non è detto che questo sia un male”. E difatti succede che il capo del villaggio, o addirittura l’imperatore, si rendono conto della tragedia di quei poveretti e li risarciscono generosamente. Grande festa in famiglia; ma il patriarca ammonisce: “Non è detto che questo sia un bene”. Difatti qualcuno mangia troppo e si sente male, qualcun altro si ubriaca per la felicità e cadendo a terra urta malamente e muore eccetera; e così potremmo continuare all’infinito, dal momento che il vecchio patriarca è sempre lì, a rovesciare con i suoi presagi il segno delle gioie e delle paure dei suoi sciocchi familiari.

Lunedì 15 aprile, verso sera, Notre-Dame di Parigi è stata avvolta da altissime lingue di fuoco, fiamme che superavano il culmine delle monumentali torri campanarie; una paurosa, immensa colonna di fumo nero alta varie centinaia di metri s’innalzava da quell’immenso rogo oscurando il tramonto primaverile che quel giorno aveva abbandonato la tradizione dei “cieli bigi” cari alla Bohème ed era insolitamente radioso; e il vento la spingeva verso ovest, verso l’Atlantico. Alle 19,52, la guglia di ferro, piombo, cemento, pietra e vetro alta 93 metri che svettava nel centro del tetto dell’edificio, all’incrocio dei bracci del transetto, è crollata in fiamme come un fiammifero gettato a terra da una mano gigantesca. E’ stato un momento che non dimenticherò mai. Anch’io assistevo attonito, in mezzo a una folla che piangeva o pregava ma in un silenzio agghiacciante – coperto tuttavia dallo strepito dei clakson e delle sirene di pompieri, polizia e ambulanze che non riuscivano a passare – a un centinaio di metri a nordovest, sulla rive droite della Senna, in Place du Carrousel. Un imponente cordone di cavalli di frisia e di gendarmi in assetto antisommossa impediva di avvicinarsi di più. Continua a leggere “Minima Cardiniana 243”

Notre-Dame…

Parigi, 16 aprile 2019

Da qui, sulla Place du Châtelet, dove mi trovo bloccato a piedi, vedo distintamente la grande flèche di Notre Dame in fiamme: brucia, e io mi chiedo come quella grande guglia possa ardere letteralmente come un immenso fiammifero gotico puntato verso il cielo. Una preghiera, potrei dire.

Se fossi ebreo, oserei quasi interpretarla come un dito indice puntato contro Dio onnipotente che ha voluto un orrore del genere. Una tragedia senza fine. Ne parlo da parigino ormai quasi abituale, ne parlo da medievista: mentre racconto, lingue enormi di fuoco si stanno levando da dietro le due torri della facciata. Li conosco centimetro per centimetro, quei posti. È la navata centrale che sta andando a fuoco. Io non ci credo e una mano di ferro mi stringe all’altezza dell’esofago. Sono trent’anni che non piango, ma ora non riesco a trattenere le lacrime. I quais sono pieni di folla attonita, le strade intasate. C’è qualche imbecille che approfitta per farsi un selfie e mi verrebbe voglia di scaraventarlo nella Senna. Sta bruciando il corpo centrale di Notre Dame e la sciagura è immane.

Dico Notre Dame de Paris e immediatamente tutti pensano a Victor Hugo, a Esmeralda, a Quasimodo. Questo per dire fino a che punto un monumento del genere ci sia entrato nell’anima e nel sangue. Non credevamo di amarla tanto. Entri per uno dei tre grandi portali e ti trovi immerso nella storia. La nostra storia, non solo quella del Medio Evo. Quella dell’Europa che stiamo in questi giorni dimostrando di amare così poco. Ho accolto questo orribile spettacolo come un presagio funesto, a poche settimane dalla competizione elettorale europea. Forse qualcosa di analogo devo averlo provato, quando è crollato il grande transetto della basilica superiore di San Francesco ad Assisi. Allora pensammo ai mali e alle tragedie della Chiesa cattolica. Adesso, di fronte a questa colonna di fumo paurosa e imponente che oscura il cielo di Parigi, mi trovo, vecchio europeista, solo, davanti ai miei quasi 80 anni, alle mie paure, alla mia ormai sempre più debole speranza di vedere unita finalmente la patria che amo.

In questo istante sta crollando la grande guglia centrale di Notre Dame: cede, gigante di cemento e legno, di fronte alla furia di quella cosa che pensiamo di poter dominare. La natura. Eppure siamo nel cuore della grande e potente Europa. Alla tv francese, il presidente Macron si diceva sicuro di poter parlare al suo popolo e cambiare in speranza la protesta. Dio non voglia che questa sia, dall’alto, una risposta a quelle parole imprudentemente ottimistiche.

Notre Dame è lì da quasi otto secoli. È nata per volontà di uno dei più grandi personaggi della storia europea, San Luigi IX, anche se prima della riorganizzazione duecentesca una cattedrale c’era già. Ma non era quella meraviglia, quel colosso, che è diventata più tardi. Ha visto Francesco I, Enrico IV, il Re Sole. Luigi XIV, appunto, la volle riammodernata in veste barocca. È così che la vide Napoleone I quando volle diventare Imperatore cristiano ed essere benedetto da un Papa che era quasi suo prigioniero. Ne ha viste di belle e di brutte, la vecchia chiesa che, in pieno 800, fu completamente restaurata e forse reinventata nelle forme gotiche che ci sono care da Eugène Viollet-le-Duc. Lucien Febvre diceva che l’uomo non ricorda mai, ricostruisce di continuo.

Anche per le chiese, le città, la storia è la stessa cosa. Parigi come Assisi, come San Gimignano, come Venezia. Noi ci illudiamo di vedere il passato così come era, ma in realtà assistiamo di continuo a ricostruzioni. Ma, in fondo, questa falsificazione è la prova più profonda del nostro amore per la storia. La reinventiamo perché non possiamo perderla. Sarà così per Notre Dame, tra qualche anno la rivedremo più bella di prima. E la gente si dimenticherà di questo maledetto 15 aprile. Ne ha visti, anche di momenti terribili, la storia della cattedrale. Qui, in un giorno di giugno del 1940, giunse il vincitore del momento, Adolf Hitler. Di fronte alla torre Eiffel si fece ritrarre in una superba fotografia da conquistatore. Davanti alla tomba di Napoleone accennò a un deferente inchino. Ma arrivato a Notre Dame qualcosa nel suo vecchio cuore austriaco gli suggerì un gesto. Sostò un istante, si tolse il berretto militare e se lo passò sotto l’avambraccio sinistro. Poi avanzò deciso.
Ne ha viste di cose la nostra Notre Dame, ha visto l’ingresso di Hitler e oggi vede le fiamme levarsi alte dal suo corpo. È sopravvissuta al Fuhrer. Sopravviverà all’incendio. Dio è con lei.

Minima Cardiniana 242

Domenica 14 aprile 2019. Domenica “degli Olivi” (o “delle Palme”)

“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero,preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche” Tatanka Iyotaka (“Toro Seduto”, 1831-1890)

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Col periodo pasquale, mi concedo un paio di settimane di vacanza. Vacanza di lavoro, beninteso: che tuttavia comporterà una sosta nell’abituale sequenza di lezioni, conferenze, conversazioni eccetera, talvolta in effetti un po’ pesante. Riprenderò a Dio piacendo l’attività consueta lunedì 29 p.v. Buona Pasqua a tutti.

EDITORIALE

A BERCETO, APPENNINO TOSCOEMILIANO: TRA COMPOSTELA, ROMA, GERUSALEMME E SOUTH DAKOTA

Berceto, oggi in provincia di Parma, è un piccolo centro montano sull’antica via del passo della Cisa, tra Fornovo sul Taro e Pontremoli, la città dei librai. Cresciuto attorno all’abbazia di San Pietro in Ciel d’Oro, fondata secondo Paolo Diacono da re Liutprando probabilmente tra 714 e 715, divenne una statio importante sulla via assurta a grande fama tra X e XIII secolo, nell’epoca d’oro del pellegrinaggio europeo sull’asse nord-ovest/sud-est teso fra Santiago de Compostela in Galizia e Roma, che proseguiva poi sino al santuario michelita del Gargano in Puglia e di lì, passato il braccio di mare del canale d’Otranto, lungo la Via Egnazia conduceva a Costantinopoli e quindi a Gerusalemme. Attorno a questo asse viario ricco di diverticoli si andò costruendo una rete stradale i fruitori per eccellenza della quale erano i pellegrini, ma lungo la quale transitavano prelati, principi, crociati, mercanti (soprattutto mercanti), “marginali” e poveri d’ogni specie. L’arteria che attraversava Berceto, oggi famosa stazione climatica nota per i suoi funghi, era celebre e soprattutto è celebre oggi col nome di Via Francigena (o Romea). Per questo oggi Berceto è candidata a divenire un “Comune UNESCO” ed è oggetto di molta attenzione in un momento come questo, che assiste a un ampio e diffuso revival del fenomeno del pellegrinaggio. Continua a leggere “Minima Cardiniana 242”