Notre-Dame…

Parigi, 16 aprile 2019

Da qui, sulla Place du Châtelet, dove mi trovo bloccato a piedi, vedo distintamente la grande flèche di Notre Dame in fiamme: brucia, e io mi chiedo come quella grande guglia possa ardere letteralmente come un immenso fiammifero gotico puntato verso il cielo. Una preghiera, potrei dire.

Se fossi ebreo, oserei quasi interpretarla come un dito indice puntato contro Dio onnipotente che ha voluto un orrore del genere. Una tragedia senza fine. Ne parlo da parigino ormai quasi abituale, ne parlo da medievista: mentre racconto, lingue enormi di fuoco si stanno levando da dietro le due torri della facciata. Li conosco centimetro per centimetro, quei posti. È la navata centrale che sta andando a fuoco. Io non ci credo e una mano di ferro mi stringe all’altezza dell’esofago. Sono trent’anni che non piango, ma ora non riesco a trattenere le lacrime. I quais sono pieni di folla attonita, le strade intasate. C’è qualche imbecille che approfitta per farsi un selfie e mi verrebbe voglia di scaraventarlo nella Senna. Sta bruciando il corpo centrale di Notre Dame e la sciagura è immane.

Dico Notre Dame de Paris e immediatamente tutti pensano a Victor Hugo, a Esmeralda, a Quasimodo. Questo per dire fino a che punto un monumento del genere ci sia entrato nell’anima e nel sangue. Non credevamo di amarla tanto. Entri per uno dei tre grandi portali e ti trovi immerso nella storia. La nostra storia, non solo quella del Medio Evo. Quella dell’Europa che stiamo in questi giorni dimostrando di amare così poco. Ho accolto questo orribile spettacolo come un presagio funesto, a poche settimane dalla competizione elettorale europea. Forse qualcosa di analogo devo averlo provato, quando è crollato il grande transetto della basilica superiore di San Francesco ad Assisi. Allora pensammo ai mali e alle tragedie della Chiesa cattolica. Adesso, di fronte a questa colonna di fumo paurosa e imponente che oscura il cielo di Parigi, mi trovo, vecchio europeista, solo, davanti ai miei quasi 80 anni, alle mie paure, alla mia ormai sempre più debole speranza di vedere unita finalmente la patria che amo.

In questo istante sta crollando la grande guglia centrale di Notre Dame: cede, gigante di cemento e legno, di fronte alla furia di quella cosa che pensiamo di poter dominare. La natura. Eppure siamo nel cuore della grande e potente Europa. Alla tv francese, il presidente Macron si diceva sicuro di poter parlare al suo popolo e cambiare in speranza la protesta. Dio non voglia che questa sia, dall’alto, una risposta a quelle parole imprudentemente ottimistiche.

Notre Dame è lì da quasi otto secoli. È nata per volontà di uno dei più grandi personaggi della storia europea, San Luigi IX, anche se prima della riorganizzazione duecentesca una cattedrale c’era già. Ma non era quella meraviglia, quel colosso, che è diventata più tardi. Ha visto Francesco I, Enrico IV, il Re Sole. Luigi XIV, appunto, la volle riammodernata in veste barocca. È così che la vide Napoleone I quando volle diventare Imperatore cristiano ed essere benedetto da un Papa che era quasi suo prigioniero. Ne ha viste di belle e di brutte, la vecchia chiesa che, in pieno 800, fu completamente restaurata e forse reinventata nelle forme gotiche che ci sono care da Eugène Viollet-le-Duc. Lucien Febvre diceva che l’uomo non ricorda mai, ricostruisce di continuo.

Anche per le chiese, le città, la storia è la stessa cosa. Parigi come Assisi, come San Gimignano, come Venezia. Noi ci illudiamo di vedere il passato così come era, ma in realtà assistiamo di continuo a ricostruzioni. Ma, in fondo, questa falsificazione è la prova più profonda del nostro amore per la storia. La reinventiamo perché non possiamo perderla. Sarà così per Notre Dame, tra qualche anno la rivedremo più bella di prima. E la gente si dimenticherà di questo maledetto 15 aprile. Ne ha visti, anche di momenti terribili, la storia della cattedrale. Qui, in un giorno di giugno del 1940, giunse il vincitore del momento, Adolf Hitler. Di fronte alla torre Eiffel si fece ritrarre in una superba fotografia da conquistatore. Davanti alla tomba di Napoleone accennò a un deferente inchino. Ma arrivato a Notre Dame qualcosa nel suo vecchio cuore austriaco gli suggerì un gesto. Sostò un istante, si tolse il berretto militare e se lo passò sotto l’avambraccio sinistro. Poi avanzò deciso.
Ne ha viste di cose la nostra Notre Dame, ha visto l’ingresso di Hitler e oggi vede le fiamme levarsi alte dal suo corpo. È sopravvissuta al Fuhrer. Sopravviverà all’incendio. Dio è con lei.