Minima Cardiniana 271/2

Domenica 1 marzo 2020, I Domenica di Quaresima

LA SIRIA: CHI AGGREDISCE E CHI È AGGREDITO, CHI ATTACCA E CHI SI DIFENDE
TANTO PER CHIARIRE. LA CRISI SIRIANA NEGLI ULTIMI CINQUE MESI
Ai primi di ottobre del 2019 arrivò – incredibile e indecorosa perfino per tempi come questi – la notizia dell’accordo fra gli Stati Uniti di Trump e la Turchia di Erdoğan: il primo abbandonava gli alleati (fino a quel momento) curdi nell’area settentrionale della Siria alle truppe turche e ai suoi mercenari, notoriamente decisi a schiacciare l’autonomismo curdo (i leaders del quale si erano incautamente spinti, nelle settimane precedenti, a sperare che USA e Israele li avrebbero aiutati nel realizzare il sogno dell’autonomia, in ringraziamento di quanto essi avevano fatto per sconfiggere le forze di Daesh) e alleati di fatto con il peggior islamismo radicale, quello sostenuto dall’Arabia Saudita (e quindi, se due più due fanno quattro, amici obiettivi degli amerikani).
Ma allora, e sono passati soltanto cinque mesi, media e opinione pubblica s’indignarono e invocarono misure contro quella barbarie. I curdi, si diceva, erano stati alleati del mondo occidentale con i terroristi di Daesh: ma ora, per evitare che al confine con la Turchia si formasse un’enclave autonoma curda, si lasciava mano libera al ‘dittatore’ Erdoğan (com’è noto egli per i media occidentali è un tiranno nei giorni dispari e un presidente alleato in quelli pari, a seconda delle convenienze) per fare piazza pulita dei suoi avversari. L’incursione turca c’è stata, gli amerikani si sono ritirati dall’area con l’eccezione dei pozzi di petrolio in territorio nazionale siriano che ancora presidiano, e lungo il confine è stata creata una zona cuscinetto controllata dalla Turchia.
Siamo a febbraio e lo scenario è mutato. Il destino dei curdi evidentemente non interessa più nessuno, magari complice l’isteria da Coronavirus: e apprendiamo che un raid siriano (o russo-siriano) nei pressi di Idlib, a Boulian, ha ucciso una trentina di soldati turchi, con conseguenti proteste della NATO e minacce di Erdoğan, in caso l’appoggio NATO non fosse sufficientemente sostenuto, di aprire il confine con la Grecia e lasciar passare decine di migliaia di profughi disperati. Cosa che ha già cominciato a fare, con numeri ancora modesti, circa 20mila persone, tanto per dare un assaggio di quello che potrebbe succedere (da notare che i profughi siriani, contrariamente a quanto continuano da noi a ripeter alcuni media, non sono folle politicizzate che vogliono sfuggire alla tirannia di Assad, bensì masse di disgraziati che scappano dalla guerra, dalla fame, da condizioni di vita divenute impossibili).
A quanto pare, come dicevamo, il bombardamento ben mirato su Idlib è stato condotto non direttamente dai siriani, ma dai russi, che nel frattempo hanno aumentato la loro presenza nel Mediterraneo tanto per far sentire il fiato sul collo a Erdoğan e compagni e per tutelare i loro nuovi interessi sui bacini petroliferi sottomarini di recente scoperti nello specchio di mare tra Turchia, Cipro, Siria, Israele ed Egitto. Lo fanno tutti: perché non loro?
Ma qual è la stata reazione dei media rispetto a questo nuovo scenario? Nessuno si chiede cosa ci facciano soldati turchi che pure sono in effetti una truppa d’occupazione in quell’area istituzionalmente e ufficialmente siriana, l’ultima in mano a Daesh; anzi, neppure si parla più di Daesh, ma di un’area controllata da generici “ribelli”. Ci si dimentica che la Turchia, insieme all’Arabia Saudita, è stata lo sponsor maggiore dell’ISIS in Siria, e che lungo il confine transitava di contrabbando a buon prezzo il petrolio rubato alla Siria, con buoni guadagni una parte dei quali finiva in un modo o nell’altro anche direttamente nelle tasche del presidente-sultano di Ankara. Per anni contro Assad è stata montata una propaganda mostruosa, sostenuta dagli “Elmetti Bianchi” premiati in Europa e negli USA, pronti a denunciare di continuo attacchi siriani a base di armi chimiche sempre smentiti poi dalle inchieste successive (ma le notizie false arrivavano da noi a gran voce e a colpi di grancassa mediatica, mentre le successive smentite si perdevano confinate in poche righe d’agenzia cui nessuno badava: questa è l’informazione democratica, babies – come direbbe Humphrey Bogart –, e voi non potete farci proprio niente).
Con l’aiuto della Russia (Sancte Vladimire, ora pro nobis…), Assad ha liberato la Siria dall’ISIS e dalla presenza straniera: però nessuno ha fatto vedere in televisione o sulle prime pagine dei grandi media occidentali il Natale festeggiato insieme da musulmani e dalle diverse comunità cristiane per le strade di Damasco e Aleppo che tornano alla vita dopo anni di massacri. Grazie all’esercito di Assad e all’aiuto russo.
Quanto a Idlib, esso non è un bastione di resistenza, non ci sono ribelli: ci sono truppe di invasori turchi (e chissà di quali altri paesi, occidentali e contractors e mujahiddin islamisti inclusi) che sostengono quel che resta di Daesh. È chiaro che a fare le spese dei combattimenti e dei bombardamenti è in primo luogo la popolazione civile, come in tutti conflitti dalla Seconda Guerra Mondiale in poi: ma qui abbiamo da una parte un esercito regolare che cerca di riunire e liberare una nazione, dall’altra il terrorismo a sponsorizzazione internazionale con la complicità di noi europei.
È questo che ci dobbiamo ricordare; ed è questo che dovremmo ricordare ai politici che si schierano a favore dell’asse Erdoğan-Trump. Invocando l’articolo 5 del patto NATO da una parte (quello che costringerebbe gli alleati a intervenire), dall’altra minacciando di aprire le frontiere come già aveva fatto nel 2015 (quando l’impennata delle migrazioni verso l’Europa ha causato una crisi maggiore della quale sentiamo le conseguenze politiche ancora oggi), la Turchia spera oggi di portare dalla propria parte l’Unione Europea e le forti spinte antirusse che, almeno in parte, l’attraversano; nel frattempo gli Stati Uniti stanno a guardare perché hanno ogni convenienza a vedere come riusciamo a nuocerci da soli. Non è certo la prima volta che succede, è una politica che conosciamo, ma evidentemente ancora funziona, complice un sistema mediatico manovrabile e un’opinione pubblica che, ormai, è priva di opinioni e segue ogni sollecitazione senza riflettere su qual è il suo interesse.
Franco Cardini – Marina Montesano

Minima Cardiniana 271/1

Domenica 1 marzo 2020, I Domenica di Quaresima

EDITORIALE
DE OMNIBUS REBUS ET DE QUIBUSDAM ALIIS
Ci sono, nella storia di tutti noi e in quella comunitaria, e anche nella storia dei giornali e dei blogs, momenti più e momenti meno densi. In questo momento siamo a un punto nodale: uno di quelli in cui, avrebbe detto Fernand Braudel, l’emergenza si scontra con la “media” o la “lunga” durata.
Il Coronavirus continua a imperversare o forse no, e ci troviamo immersi nell’incertezza e nella malainformazione: troppi i politici che vi vedono non già un problema nazionale e internazionale da gestire con prudenza, bensì un’occasione per accaparrar nuovi voti o un pericolo di perderne.
Il fronte vicino-orientale ricomincia a farsi caldo, con aberrazioni e menzogne intollerabili. Alcuni soldati turchi sono caduti in battaglia: sono appunto dei caduti, e a loro spetta l’onore e il rispetto di tutti. Non sono delle vittime: e i siriani che hanno sparato su di loro sono a loro volta dei combattenti. Non è lecito sostenere che i militari turchi siano stati “uccisi”, sottintendendo quasi che fossero lì per caso e a buon diritto. Appartenevano a un esercito invasore in suolo siriano, e i loro nemici stavano facendo il loro dovere e difendendo la loro terra. Quanto ai poveri profughi, essi non fuggono “dalla dittatura di Assad”, come hanno sostenuto alcuni disonesti e alcuni imbecilli. Vanno accolti e assistiti, non debbono diventare oggetto di ricatti come invece il governo turco minaccia di aver intenzione di fare.
Infine, oportet ut scandala eveniant. Non si creda che noialtri stiamo sottovalutando quando accaduto alcuni giorni fa in una scuola di Civitanova Marche. Non siano affatto in presenza di una semplice baruffa politica di provincia: qui è in gioco uno degli infiniti “casi” che formano l’allarmante mosaico della crisi dell’intelligenza e della libertà. Non basta parlare di “intolleranza”: c’è qualcosa di più grave, di più malato, di più marcio, di più ottuso. C’è l’incapacità di comprendere le ragioni dell’Altro, l’insofferenza di chi sentendosi minacciato da argomenti migliori dei suoi ricorre all’arma dell’intimidazione, di chi preferisce urlare slogan e pretendere che le sue ragioni siano riconosciute senza la verifica di un dibattito anziché accettare un franco confronto. Non è la prepotenza, in questi casi, a sorprendere: è l’ottusità a far cadere le braccia.
Noi qui ricostruiremo fedelmente, in questo numero e se è necessario nei prossimi, l’increscioso incidente di Civitanova e le sue conseguenze. Proporremo un franco e leale dibattito; se non sarà accettato, denunzieremo la defezione di chi si sarà dimostrato incapace di ragionare e difendere il suo punto di vista con argomentazioni chiare e pacate.
Sono abbastanza vecchio per conoscere chi ha vissuto da protagonista il dramma della guerra civile italiana del ’43-’45, combattuta da un pugno di militanti dell’una e dell’altra parte (o delle molte parti che in qualche modo si erano collegate o affrontate fra loro) mentre la maggioranza degli italiani stava dubbiosa a guardare e a capire da che parte convenisse schierarsi all’ultimo istante per correre in aiuto del vincitore. Queste cose le ho vissute sulla pelle della mia famiglia, che a suo tempo si era spaccata in due. Ma ho vissuto anche la sincera speranza e la coraggiosa buona volontà di molti che, dall’una e dall’altra parte (o dalle une e dalle altre parti, fatte spesso di semialleati), esprimevano un franco desiderio di reciproca comprensione e di riconciliazione. Ho sentito con le mie orecchie il professor Carlo Francovich, presidente “storico” del Comitato di Liberazione Nazionale della Toscana, dichiarare che dall’altra parte, “insieme con la feccia dei criminali e alla schiuma dei fanatici, c’erano tante persone in buona fede convinte di fare il proprio dovere”; ero presente nel 1962 a una dichiarazione di Giorgio Almirante, in un teatro fiorentino, quando egli ebbe a testimoniare (e ne avrebbe anche scritto) che in quei convulsi giorni di metà settembre del ’43 “alcuni di noi si erano trovati quasi per caso nell’esercito di Badoglio, o in quello di Graziani, o spinti in montagna, e nessuno di noi sapeva bene che cosa fare, e tutti avevamo solo un maledetto desiderio di tornare a casa”; ricordo bene le nobili parole di Luciano Violante quando in parlamento perorò la causa di un’autentica riconciliazione nazionale, riconoscendo pari dignità a quanti – lontano dai crimini, dal fanatismo e dal tornaconto personale – avevano combattuto chi per la “libertà”, chi per “l’onore”, tutti comunque per l’Italia; rammento Umberto Eco, che ricordava con affetto commosso i partigiani delle Langhe eppure parlava anche di “quei bravi ragazzi della San Marco”. E so bene, sappiamo tutti bene, che anche tra i partigiani e tra quelli della San Marco c’erano gli assassini e i mestatori: ma, come sempre, un grammo di bene vale molto di più di una tonnellata di male. Dissero le stesse cose, in tempi e modi diversi, Cesare Pavese e Carlo Mazzantini.
All’inizio degli Anni Sessanta ogni tanto ci scazzottavamo, noialtri – io militavo allora nel MSI – e i nostri coetanei, colleghi d’Università e avversari del PCI e dello PSIUP: ma occupavamo anche insieme le Facoltà, come sarebbe accaduto più tardi a Valle Giulia, e discutevamo, e studiavamo insieme. C’erano delle idee, dietro le botte che ci capitava di darci: e poi andavamo insieme all’osteria.
Dove sono finiti quei giorni, quei ragazzi? Poi sono arrivati gli Anni di Piombo, poi il Riflusso e la corruzione, poi la mafia e gli attentati, poi la fine dell’Unione Sovietica che qualcuno di noi salutò forse sul momento con gioia (che Dio lo perdoni), ma anche con apprensione rivelatasi poi ampiamente giustificata…
E ora? Quando vedo i “popoli” di Casapound o dei Centri sociali ormai sempre più afasici, sempre più impotenti ad esprimere idee e posizioni articolate, capaci solo di urlare slogans poverissimi di senso e miserabili di significato, di ridurre vecchie logori simboli e gesti politici solo a sguaiate manifestazioni di teppismo, mi chiedo se davvero quelli là sono i nipoti dei ragazzi che sognavano di andar a combattere con gli insorti ungheresi o con il “Che” Guevara, che si affrontavano a colpi di Lenin e di Drieu La Rochelle, di Mao e di José Antonio. Nei pur duri Anni Sessanta, al di là delle finzioni dell’“arco costituzionale” che costituzionale non era affatto perché si contrapponeva a quello parlamentare riconosciuto dalla Costituzione, c’era pur un diffuso desiderio di comprensione reciproca. Quando sento parlare i giovincelli dell’ANPI o quelli di Casapound, “partigiani” o “repubblichini” immaginari che il sapore acre della vera guerra civile non l’hanno per loro fortuna mai conosciuto e che pure sanno parlare solo il linguaggio dell’odio, mi cadono le braccia.
Eppure non è colpa loro. Siamo noi, i bravi ragazzi che nei loro anni verdi studiavano e discutevano, gli appartenenti a una generazione che ha fallito; e hanno fallito anche i nostri figli sessantottini e “pantere”; e i teppistelli afasici che adesso si affrontano in scontri sbracati sulle piazze, i nostri nipotini, sono le vittime del nostro fallimento. Di tutti, naturalmente: di noialtri “apocalittici” che sognavamo rivoluzioni e rigenerazioni e dei nostri coetanei “integrati” che badavano a far soldi e ad accaparrar poltrone in parlamento: e che sono ben più colpevoli di noi perché ci hanno condotto fino a questo ingestibile garbuglio d’ingiustizia e di disordine che è lo stato attuale della globalizzazione.
Ecco perché a questo punto è necessario far chiarezza: i ragazzi di oggi, che saranno costretti a subire chissà quali e quante prove nei prossimi decenni, magari per ora non lo esigono ma ne hanno comunque diritto. Spettacoli come quello di Civitanova Marche, dove ci si rifiuta al confronto delle idee, nuocciono loro molto più di mille Coronavirus.
E consentitemi adesso, in chiusura di questo sfogo, una dichiarazione sulla quale non intendo più tornare perché l’ho ripetuta mille volte. Alla “destra” e alla “sinistra” non ci credo più da anni e non m’interessano; che io sia un “fascista” o un “comunista” è un interessante quesito la soluzione del quale lascio alle signore di Forza Italia; sono cattolico e “bergoglista” convinto, e me ne vanto; a chi sussurra che mi sono convertito segretamente all’Islam rispondo suggerendogli di studiare, perché all’Islam ci si può convertire solo pubblicamente dinanzi a testimoni (del resto io, come il mio Maestro Giulio Basetti Sani, sono in effetti muslim, nel senso etimologico del termine, cioè sottomesso serenamente alla volontà di Dio).
A sventare dubbi e perplessità residui, per l’ennesima e definitiva volta esplicito la mia professione politica: io sono cattolico, socialista ed europeista (rigorosamente in quest’ordine). Non ho bisogno di altre etichette, non mi servono, non le merito.
E ora, al lavoro. Nell’ordine: la Siria, il Coronavirus, il “pasticciaccio bbrutto” di Civitanova.

Minima Cardiniana 271/0

Domenica 1 marzo 2020, I Domenica di Quaresima

“Il serpente era il più astuto tra gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna:
– Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?
Rispose la donna al serpente:
– Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non dovete toccarlo, altrimenti morrete.
Ma il serpente disse alla donna:
– Non morrete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Genesi, 3,1-5).

La lettura che apre la “Liturgia della Parola” di questa prima domenica di Quaresima, quattro giorni dopo che noialtri poveri cristiani ricevendo le Ceneri ci siamo ricordati del dovere dell’Umiltà, va dedicata a tutti coloro che sono convinti di avere la verità in tasca e di distinguere perfettamente il Bene e il Male nelle opere dell’uomo, e spingono la loro superbia fino a dichiararsi convinti di sapere che cosa sia il Male assoluto. Costoro non meritano di esser detti “Figli del Serpente”, ch’è un nobilissimo animale: al massimo, ne sono dei miserabili lacchè di quint’ordine.

ULTIMISSIME URGENTISSIME! IL CONTAGIO DEL COGLIONAVIRUS È IN AGGUATO!
Attenzione! A dirla col vecchio Marx, uno spettro si aggira per l’Europa: e per l’Italia in special modo. È il terribile COGLIONAVIRUS, che colpisce soprattutto quelli che le bevono tutte. Diffidate delle bevande offertevi sotto forma di notizie da alcune emittenti TV, da alcuni organi di stampa e da quasi tutti i vari blogs gestiti da chissacchì. Prima della peste informatico-telematica, certi veleni circolavano quasi esclusivamente nei discorsi ai vari Bar dello Sport sparsi per tutta la sventurata penisola: ma ormai qualunque imbecille dotato di pc è davvero in grado di nuocere alla salute pubblica specie degli sprovveduti, dei disinformati, degli analfabeti (soprattutto quelli “di ritorno”): vale a dire del popolo italiano.
Varrebbe la pena davvero di rifondare la prezzoliniana “Società degli Àpoti”, cioè di Quelli che Non La Bevono. Oppure d’isolare gli affetti dal Coglionavirus proibendo loro l’uso attivo e passivo di blog, smart, facebook e altre diavolerie tossiche. Ma è impossibile. Quindi state in campana e difendetevi da soli. La premiata ditta Minima Cardiniana offre gratis ottimi antidoti intellettuali e mascherine spirituali.

INDICE
1. EDITORIALE
2. LA SIRIA: CHI AGGREDISCE E CHI È AGGREDITO, CHI ATTACCA E CHI SI DIFENDE
3. IL CORONAVIRUS: NUOVA PESTE O TIGRE INFORMATICA, FLAGELLO BIOLOGICO O PROPAGANDISTICO?
4. IL “PASTICCIACCIO BBRUTTO” DI CIVITANOVA MARCHE

NOTA PER I LETTORI: In questo numero, avrei voluto parlare di alcuni libri recenti per aggiornarVi a proposito di alcune mie letture che ho ragione di ritenere V’interessino. Rimando il tutto ai prossimi numeri.