Domenica 11 ottobre, XXVIII domenica del Tempo Ordinario
BOMBARDAMENTI IN IRAQ
Negli ultimi minuti giunge notizia che l’aviazione irachena avrebbe colpito il convoglio del leader dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi in Iraq, nella provincia occidentale di Anbar, vicino al confine con la Siria, e la sua sorte è sconosciuta; questo secondo i comunicati dell’esercito iracheno. Si può certo sperare che il leader dell’ISIS sia stato così eliminato, ma nella consapevolezza che questo non risolverà la crisi regionale e non porrà fine al conflitto, ch’è cosa complessa e non dipende sicuramente dalla volontà di un solo individuo.
Proprio la complessità della situazione dovrebbe indurre alla prudenza. Pochi giorni orsono, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha incontrato il segretario di Stato alla Difesa Usa Ashton Carter per circa due ore. Al termine dell’incontro, incentrato sul Mediterraneo e le missioni Mare Sicuro e EuNavForMed, si è ventilata l’ipotesi di un appoggio italiano ai bombardamenti in Iraq contro l’ISIS. Pinotti ha dichiarato che tra Italia e USA vi è piena condivisione di vedute e di prospettive; per questo l’Italia starebbe «valutando eventuali nuove necessità che possano venire dalla coalizione o dal governo iracheno», sebbene «nessuna decisione sarà presa senza il coinvolgimento del Parlamento».
A favore della necessità di coinvolgere il Parlamento, in Italia si sono levate diverse voci. Una decisione del genere deve o meno passare dal Parlamento, o può bastare una decisione del governo? Sono polemiche, peraltro sopitesi assai rapidamente, che danno il quadro di come, se questa operazione dovesse cominciare, lo si farà in un quadro di spaccatura politica profonda. Ma c’è di più, dal momento che, stando al Corriere della Sera, favorevole all’intervento, si legge: «La decisione iniziale di partecipare alla coalizione è di poco meno di un anno fa. Quattro Tornado del Sesto stormo di Ghedi furono inviati in una base aerea sita in Kuwait, al pari di un aereo-cisterna KC767 e di alcuni droni Predator privi di armamento. Tra piloti e personale di supporto l’impegno fu allora di 140 uomini, ma non erano soltanto le missioni di ricognizione aerea a caratterizzare il ruolo italiano. Una consistente quantità di armi fu fornita ai Peshmerga curdi che dopo la caduta di Mosul e la proclamazione del Califfato erano state le uniche forze di terra ad affrontare efficacemente l’Isis, e partì un programma di addestramento molto apprezzato e tuttora in corso. La decisione iniziale di partecipare alla coalizione è di poco meno di un anno fa. Quattro Tornado del Sesto stormo di Ghedi furono inviati in una base aerea sita in Kuwait, al pari di un aereo-cisterna KC767 e di alcuni droni Predator privi di armamento. Tra piloti e personale di supporto l’impegno fu allora di 140 uomini, ma non erano soltanto le missioni di ricognizione aerea a caratterizzare il ruolo italiano. Una consistente quantità di armi fu fornita ai Peshmerga curdi che dopo la caduta di Mosul e la proclamazione del Califfato erano state le uniche forze di terra ad affrontare efficacemente l’Isis, e partì un programma di addestramento molto apprezzato e tuttora in corso. La portata della partecipazione italiana cambia ora radicalmente con il via ai bombardamenti. I Tornado, configurati inizialmente per la ricognizione e la «illuminazione» degli obbiettivi, assumeranno le loro piene caratteristiche di cacciabombardieri e dunque colpiranno direttamente i bersagli individuati in base alle nuove regole di ingaggio. Come fanno peraltro, in Iraq, gli aerei di Paesi ben più piccoli del nostro» (Franco Venturini, 5 ottobre 2015).
Sembra insomma che l’intervento dell’Italia sia ormai cosa certa; può darsi, come ha affermato il Generale Mini al Fatto Quotidiano (6 ottobre 2015), che ci limiteremo a gettare qualche bomba nel deserto e che l’azione ha un risvolto puramente interno alla scena politica italiana, avendo come fine l’evitare tagli alla difesa. Ma ciò non toglie che il dibattito politico dovrebbe essere più serio e non limitarsi ad accontentare l’ “amico americano” possibilmente con il minimo dell’impegno, o con una finzione d’impegno.
La situazione del Vicino Oriente richiederebbe una politica estera più chiara. E non certo per favorire i bombardamenti in Iraq o, peggio ancora, in Siria (quest’ultima un’ipotesi peraltro esclusa). Ci sono infatti fin troppi bombardamenti in atto nella regione, e non è chiaro a cosa mirino. Non è soltanto in ballo il problema dei possibili “danni collaterali”; un problema che comunque esiste ed è fondamentale, come ha dimostrato il recente bombardamento degli USA sull’ospedale di Kunduz in Afghanistan. Fra Iraq e Siria abbiamo visto cadere le bombe americane, contro obiettivi ISIS non troppo ben definiti, e finora del tutto ininfluenti; la Turchia ha inviato aerei in Siria per bombardare l’ISIS, ma in realtà ha colpito i curdi che contro l’ISIS, quasi da soli, combattono sul terreno; mentre la Russia ha bombardato le forza anti-Assad, sollevando le proteste della NATO e provocando le dichiarazioni del senatore repubblicano statunitense McCain sul fatto che i colpiti appartenessero ai gruppi di combattenti anti-Assad finanziati dall’America – il che conferma ciò che tutti sanno, ma che non si dice apertamente, cioè che la guerra contro il legittimo presidente siriano, paese con seggio all’ONU, è stata ed è finanziata dagli americani (ai quali si possono aggiungere almeno inglesi e francesi).
Però il gruppo al quale si riferisce McCain, il Free Syrian Army, secondo osservatori occidentali (a partire da Robert Fisk dell’Indipendent), il realtà è solo una sigla sotto la quale si raggruppano fazioni di diversa appartenenza e che serve a far convogliare i finanziamenti esteri verso il fronte anti-Assad. E magari verso l’ISIS stessa, che dai partner islamici degli occidentali (Qatar, Emirati, Arabia Saudita, la Turchia) i finanziamenti li hanno presi e continuano a prenderli.
Insomma, il problema di fondo, per gli eventuali bombardamenti italiani e in generale nella guerra contro l’ISIS, è che nulla in questa situazione è trasparente. Chi sono i nemici? Chi gli alleati? Chi i terroristi, e con quali appoggi? Qualche migliaio di combattenti, in parte fanatici, in parte mercenari, che compongono lo Stato Islamico, si potrebbero sbaragliare tagliando loro i fondi e contrastandoli sul terreno, o aiutando quelli che sinora si sono opposti alla loro azione criminale sul terreno: l’Iran, Assad, gli sciiti, i curdi; e adesso, a quanto pare, la Russia. Ma l’Occidente, e in esso l’Italia, da che parte sta?
Franco Cardini