ACCADE IN IRAN, E VIENE DENUNZIATO…
La Repubblica Islamica dell’Iran è in questo momento sotto il tiro incrociato dei media interessati a far fallire il processo di distensione in atto con l’ONU e a ostacolare quel paese nel conseguimento della produzione di energia nucleare a scopi civili, com’è invece nel suo diritto in quanto firmatario del Trattato di Non Proliferazione. Tuttavia, è essenziale che il governo iraniano, pur mantenendo i capisaldi del suo progetto civile, riveda con urgenza quegli aspetti di esso che obiettivamente ostacolano il dialogo con il resto del mondo. Amnesty International – che pure non sempre è ineccepibile nella sua attività – segnala il caso di Atena Farghadani, ventinovenne, illustratrice satirica, arrestata nel 2014 e dall’agosto scorso rinchiusa nel carcere di Evin con una condanna a 12 anni e 9 mesi per “oltraggio”, “attentato alla sicurezza nazionale”, “diffusione di propaganda ostile alle istituzioni”. Atena rischia una nuova condanna, ora, semplicemente per avere stretto in carcere al mano al suo avvocato: per tale “reato sessuale” è stata sottoposta forzatamente a un test di verginità (forma di violenza esplicitamente interdetta dal patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici cui ufficialmente aderisce il governo iraniano). Chi auspica un futuro pieno rientro dell’Iran nel consesso internazionale ad assumere un importante ruolo nel quale esso ha diritto si augura che questi aspetti del suo assetto civile e penale vengano al più presto radicalmente rivisti. La grande tradizione musulmana sciita non ha certo bisogno di tutelarsi con misure vessatorie del genere.
…MENTRE A DUBAI SI VA A FAR BELLE VACANZE
E’ bene tenere la guardia più alta possibile nei confronti di eccessi e violenze, specie quelle perpetrate ai danni dei diritti umani e soprattutto della libertà e della dignità delle donne. Su ciò l’attenzione dei nostri media è viva, soprattutto quando si tratta ad esempio dei migranti. Certo, ci si chiede come mai ad esempio certi quotidiani, così solleciti a difender le donne quando si parla dell’Iran, di alcuni paesi musulmani africani, degli abusi perpetrati da musulmani che vivono tra noi, tacciano poi a proposito delle pesanti discriminazioni che ad esempio le donne subiscono in Arabia Saudita e in molti emirati della penisola arabica. In questi giorni, si celebrano i “Design Days Dubai” e tutti stanno celebrando i sontuosi alberghi, i bei ristoranti, l’ammiratissimo progetto del “Quartiere D 3”, il Burj Khalifa (grattacelo di 828 metri a 116 piani di cui 11 occupati dall’Armani Hotel), l’isola artificiale The Palm ispirata al mito di Atlantide. A Dubai nel 2017 s’inaugurerà il Museo del Futuro; nel 2020 si terrà l’Expo: sono attesi 17 milioni di visitatori stranieri; vi sorgerà l’Apple Store più grande del mondo. Inutile presentare il reticolo di scambi incrociati: business occidentale in Dubai, business sceiccale da noi. Gli emiri della penisola arabica di stanno comprando letteralmente l’Occidente: imprese, industrie, cliniche di lusso, università, ateliers, squadre di calcio.
Andate nella bella Dubai, andate a visitare il futuro del mondo. Ma la peraltro scarsa popolazione locale, specie quella femminile, non la vedrete mai. Hanno diritti le donne, a Dubai? Se unmarito le picchia e le violenta, arriva sollecita Amnesty International? Boh…
ALLEGRIA. IL MONDO E’ MENO POVERO: LO DICE LA BANCA MONDIALE
Siamo a cavallo. Il Global Monitoring Report della Banca Mondiale ci ha assicurato a metà ottobre scorso che quest’anno la popolazione del mondo affetta da “estrema povertà” (vale a dire sotto il livello dei 2 dollari giornalieri) scenderà ad appena 702 milioni di abitanti: vale a dire che il 10% del mondo è fatto di gente che vive con una sessantina di dollari al mese. Sotto i 2 dollari al giorno, si fa la fame nera, anzi si muore di fame. Entro il 2030, assicurano banca Centrale e Fondo Monetario Internazionale, la fame sarà sconfitta: staremo tutti noi, oltre 7 miliardi di persone, sopra la media dei 60 dollari mensili.
Peccato che altri dati restino in ombra. Quanti sono ad esempio i semipoverissimi, quelli che vivono per esempio con 5 dollari al giorno, pari a ben 150 dollari al mese (un decimo di quello che, da noi, è uno stipendio quasi da fame)? Di che livello è al qualità del cibo con al quale si sfamano i quasi poverissimi? E in che rapporto sta con al loro speranza di vita? L’UNICEF sostiene che ogni anno 360.000 bambini nigeriani (1000 al giorno) muoiono per malnutrizione: ce la facciamo a sostenere una vergogna del genere? E come stiamo con il rapporto tra i molto poveri e i molto ricchi e con il livello di concentrazione della ricchezza (che equivale a quello dell’impoverimento relativo generale), vale a dire con la lotta per il conseguimento di un minimo accettabile di equità? O questa è una domanda che solo dei pericolosi comunisti possono rivolgere a lorsignori? La Fondazione Mo Ibrahim, ad esempio, sostiene che in Africa la governance sta degradandosi. Il còmputo basato sull’unità monetaria non è tutto: nel “pacchetto” di seria valutazione della condizione socioeconomica di tutti e di ciascuno andrebbero inseriti altresì la sicurezza, la tutale della salute, il diritto all’istruzione, lo sviluppo economico sostenibile. Si punta sull’aumento del PIL: ma la sua crescita è abbastanza inclusiva da permettere una sufficiente creazione di lavoro? Quanti anni ci vorranno prima che le migliorate condizioni consentano agli africani di franare la fuga dal loro continente, poiché è chiaro che tutti – se possono – stano meglio a casa propria? E infine: quanti sono i super-ricchi? Sta aumentando o regredendo il processo di concentrazione della ricchezza? Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale c’informino anche di questo. Quante piscine olimpioniche private esistono al mondo? E quante sono le comunità che non hanno acqua potabile?