Fede e coraggio in Iraq – La fede, cari miei, è più forte del fanatismo e della violenza. Ho visto, pubblicate su vari giornali, le foto dei quasi 18 milioni di pellegrini sciiti che giovedì 11 dicembre scorso hanno raggiunto la città santa di Kerbala per la festa dell’Arbai, che segna la fine della quarantena di lutto per la morte dell’imam Hussein, nipote di Muhammad, santo e martire sciita fatto uccidere da un califfo sunnita damasceno nel VII secolo.
Si è trattato di un’affluenza record, che ha sfidato i sunniti jihadisti del califfo al-Baghdadi nel bel mezzo dei territori da loro controllati. Stesse immagini nell’altra città santa, Najaf, dove ragazze in chador sono sfilate ostentando fieramente i ritratti dell’imam Khomeini e di Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah libanesi: tanto l’Iran che gli Hezbollah e il presidente siriano Assad sostengono la lotta contro gli jihadisti dell’IS pur rifiutandosi di partecipare alla coalizione guidata dagli Stati Uniti che ha come scopo ultimo non già la lotta contro al-Baghdadi, ma l’installazione di basi militari occidentali il più vicine possibili al confine iraniano.
Italia: odor di scioperi “gialli” – Ma che razza di sindacati abbiamo, nel nostro paese? Venerdì 12 dicembre, ennesimo sciopero organizzato dalla CGIL. Mai che gli scioperi si facessero di mercoledì: sempre di venerdì, alla vigilia del week end; e, siccome a pensar male si fa peccato ma ci s’indovina, non è facile sfuggire al sospetto che i fieri scioperanti si organizzino per fare in questo modo un week-end lungo. Una volta s’insegnava a chiunque scioperasse l’aurea regola veterosindacalista: gli scioperi debbono procurare il minimo di disagio ai lavoratori in maniera da facilitare al massimo la loro solidarietà con gli scioperanti, e debbono colpire duro i ceti privilegiati. Esempio: perché non scioperare nelle ferrovie facendo andare i treni regolarmente ma senza staccare né controllare i biglietti? Quello sì che sarebbe un danno per l’azienda gestrice. E perché non colpire le Frecce (Rosse, Argento o Bianche che siano), treni per privilegiati che nei giorni di sciopero viaggiano regolarmente “garantiti”, mentre a fermarsi sono i treni per i lavoratori pendolari e per gli studenti? Da quando in qua uno sciopero favorisce i ceti forti per colpire quelli fragili? Ai bei tempi, un sindacato che agisse così si sarebbe definito “giallo”, cioè venduto al padronato.
Schegge d’aggiornamento islamologico – E’ ormai divenuto difficilissimo tenersi aggiornati, con quel che succede nel mondo musulmano. Ragione di più per star attenti alle novità nel campo dei companions, che sono sempre più numerosi. Questa settimana possiamo ad esempio segnalare l’eccellente agile libretto di Antoine Sfeir, L’Islam contre l’Islam, L’interminable guerre des sunnites et des chiites (Paris, Grasset, 2014, pp. 190, 6 euri), che ripercorre la fitna, la guerra civile-religiosa tra le due principali confessioni del mondo musulmano, dalla morte del profeta a oggi. Dopo averlo letto, il ginepraio vicino-orientale vi apparirà sotto una luce del tutto diversa. Ancora, Géopolitique des islamismesdi Anne-Clémentine Larroque, nella mitica collezione “Que sais-je?” delle PUF (Paris 2014, pp. 126, euri 6,80). Dai Fratelli Musulmani alla nebulosa salafita all’islamismo sciita rivoluzionario fino all’illusione di una “internazionale islamista”. Mette conto ricordare che l’islamismo non è l’Islam. La seconda è una religione; il primo ne è la caricatura politica, l’abuso ideologico. Un “ismo”, appunto.
Calomniez, calomniez, quelque chose en restera…- Un altro libro sulla “menzogna” e sull’”equivoco” della leggenda indoeuropea. Stavolta ecco il corposo Mais où sont passés les Indo-européens. Le mythe d’origine de l’Occident di Jean-Paul Demoule (Paris, seuil, 2014, pp. 739, euri 27). Un bel libro, molto informato e aggiornato, con i rituali attacchi contro pangermanesimo ariano, nazismo eccetera: e fin qui… L’autore è professore di protostoria europea all’Università di Parigi I (Sorbonne-Panthéon) e specialista di problemi storico-archeologici dell’età neolitica e del ferro con al suo attivo una bibliografia imponente. Insomma, uno studioso con tutte le carte in regola. E’ quindi con un certo fastidio che, da una personalità come lui, si accettano capitoli come quelli sulla “Nuova” Destra, su Konrad Lorenz, su Georges Dumézil, su Mircea Eliade, che qua e là sembrano rasentare la delazione e l’invito al linciaggio culturale. Il tutto si tollera tanto peggio, in realtà, in quanto condotto sempre sul filo del rasoio di un linguaggio molto sorvegliato e di un’informazione sempre attenta. In altri termini, di studiosi come Demoule si amerebbe potersi sempre e comunque fidare: ciascuno ha poi diritto alle sue idee e magari anche alle sue idiosincrasie, ma chi gode a ragione di una fama di rigore scientifico e intellettuale ha anche responsabilità alle quali non può mai venir meno. Mai abbassare la guardia, se non si vuol cadere nella corruptio optimi pessima.
Ecco perché, proprio nel nome del rispetto e dell’ammirazione per la sua immagine di studioso, non posso perdonare a Demoule la superficialità con la quale egli scrive un paragrafo come questo: “En Italie, la Nuova Destra est fondée en 1977 par des membres de différents groups de jeunesse néofascistes. Comme sa grande soeur et modèle français, elle publie la revue Elementi et se revendique anticapitaliste, antidémocratique, biologisante, antiégalitaire et admiratrice de Julius Evola. On remarque dans cette mouvance les noms de Claudio Mutti, ancien député néofasciste, traducteur de plusieurs écrits négationnistes et du faux antisémite Les protocols des sages de Sion; de Mario Tarchi et des revues Diorama letterario et Trasgressioni; ou encore d’Alessandro Campi et sa revue Futur Presente, calque de Nouvelle École” (p. 301).
Ecco: se un periodo del genere l’avesse scritto un qualunque tanghero di pubblicista o di pennivendolo, imprecisioni e appiattimenti, sviste e tirate delazionatrici-demonizzatrici sarebbero passate perfino inosservate. Ma se viene da uno come Demoule, allora no; a uno come lui non si possono perdonare le inesattezze, le accuse affastellate con evidente intenzione intimidatrice, l’irrispettosa nonchalance con la quale si fa di Claudio Mutti un “ancien député néofasciste” (sic), la frettolosa disinformazione con la quale Marco Tarchi, di cui evidentemente Demoule non si è informato, viene ribattezzato Mario, l’avvicinamento di Tarchi a Campi e di Diorama a Futuro (non Futur) Presente. Dietro cadute di stile e di metodo come queste, nel contesto dello scritto di uno che di metodo e di stile ne ha da vendere, si possono intendere solo con l’intollerabile e anche un po’ vigliacca spocchia di chi spara nel mucchio convinto di essersi imbattuto in una canaille corvéable et bâtonnable à merci, gente che non conta nulla e che quindi non è in grado di difendersi e sulla quale si può impunemente tirare a raffica. Questi atteggiamenti dispiacciono e sono imperdonabili in quanto indegni di uno studioso serio: il sottolinearli è prova di rispetto e di considerazione nei suoi confronti. Di certe cose, si può anche non parlare: ma quando se ne parla, non basta affidarsi a un lavoro di Franco Ferrarotti vecchio di trent’anni e a chissà quali forme di “sentito dire”.