La volgarità del populismo – Nella politica italiana, si è sempre alla vigilia delle elezioni: e quasi non c’è parola dei nostri politici che non sia esplicita o implicita propaganda elettorale. Il che è del resto del tutto normale visto che il nostro ceto politico vive tutto di speranza di essere eletto e di paura di non venir confermato. Prendete le “necessarie riforme”: prima fra tutte quella elettorale. A chi servono da noi le riforme, se non a consolidare e perpetuare un’egemonia? Quelle proposte e sostenute dal premier Renzi sono tutte subordinate a una sua ipotesi (a mio avviso giusta): che cioè il suo potere non sarà mai sicuro se e finché egli, che governa senza aver mai ricevuto un mandato elettorale, non avrà stravinto una competizione elettorale. Per questo gli servirebbero due cose: che la minoranza del PD si facesse saltare i nervi e procedesse alla scissione che egli ardentemente auspica ma che non può né confessare né auspicare. Se egli riuscirà a obbligare la sinistra ad assumersi la colpa della scissione sollevandolo da tale responsabilità politica, con gli scissionisti se ne andrà la “zavorra” di sinistra lasciando lui libero di trasformare il PD in una grande forza di centro grazie all’apporto degli ex berlusconiani che, nella loro maggioranza, non aspettano altro. Per questo Berlusconi dovrà andarsene: ed è quello che forse aspetta, in quanto ha già scelto Renzi come suo naturale erede politico (quanti berlusconiani riusciranno poi a salvarsi e a sopravvivere politicamente a quello tzunami, è un altro discorso). Ma lo tiene sulla corda con il ricatto dell’accordo sulla scelta del nuovo presidente della repubblica: o Renzi accetta di farlo partecipare a tale scelta, o non arriva alla riforma elettorale necessaria a legittimare e consolidare la sua leadership alla testa di una nuova DC, quella che gli italiani si meritano per il secondo (o il terzo) decennio del XXI secolo.
Qualcuno dice che Renzi sia l’ultima spiaggia: se fallisce lui, è il caos. Certo, la sua vittoria sarà la pietra tombale su qualunque politica di sinistra: sarà il trionfo dell’iperliberismo, dell’occidentalismo, dell’evoluzione in senso sempre più strettamente oligarchico della “democrazia”, della progressiva demobilitazione dell’opinione pubblica, del regime sostenuto dalle tecniche mediatiche di consenso. Che poi questa strada sia o meno in linea con il futuro sviluppo del mondo, o non conduca invece verso un’implosione di quel che fino ad oggi siamo stati abituati a considerare la leadership“occidentale”, sarà la storia a dircelo.
Certo, a giudicare da quelle che oggi sono le forze in presenza, viene da convenire che a parte Renzi siamo circondati dalla palude dalla quale emerge ogni tanto qualche residuo, qualche Grande Vecchio (Rodotà, Violante, Prodi), mentre i nuovi o seminuovi leaders, da Grillo a certi “astri” (?!) nascenti degli schieramenti populisti e xenofobi, farebbero ridere se non ci fosse da piangere per ignoranza e grossolanità. Il guaio è che essi sono uno specchio di che cosa (e come) pensa una parte dell’opinione pubblica del Bel Paese.
Il punto più basso al quale siamo per ora arrivati, il livello del fondo che abbiamo per ora toccato nel nostro ceto politico e parlamentare, è stato per ora il dibattito al senato del giorno 16 stesso: a Matteo Renzi, che stava parlando della strage in Pakistan, alcuni scalmanati del M5S che i loro elettori hanno il torto e la vergogna di aver portato a posare le chiappe sugli scranni di palazzo madama hanno gridato “Ma pensa ai bambini italiani!”. Indignata, e giustificata, e nobilissima, l’indignazione del premier: “Ma come potete davanti a una strage simile? Abbiate rispetto almeno per i bambini! Ma come si fa?”. Renzi ha fatto una splendida figura e si è guadagnato gratuitamente, e a buon diritto, simpatìa e rispetto da parte di un sacco di persone per bene molte delle quali, magari, in generale non lo approvano. Sugli energumeni che lo hanno interrotto, solo una domanda: possibile che non vi siano strumenti per espellerli ipso facto, per indegnità, dal consesso senatoriale? Possibile che il presidente Napolitano abbia taciuto dinanzi a questo sconcio ributtante?
Stati Uniti e Cuba: prospettive e retroscena di un disgelo – Giustamente Raoul Castro, nella sua allocuzione televisiva ai cubani, ha espresso “riconoscimento” nei confronti di Obama e gratitudine in quelli di Bergoglio. Il papa venuto dall’America latina sa bene con quanta violenza e quanta durezza gli Stati Uniti abbiano perseguito, negli ultimi due secoli circa, il programma di egemonia continentale enunziato dal presidente Monroe nel 1823. Che la Cuba socialista sia sopravvissuta per oltre mezzo secolo alla pressione statunitense, nonostante gli stenti e la ristrettezza che un embargo durissimo, unilaterale e illegittimo sotto il profilo del diritto internazionale le imponevano, non è affatto una prova del “fallimento del comunismo”, come blatera gran parte della nostra stampa: è, al contrario, una prova dell’eroismo del popolo cubano e del consenso che – nonostante il regime di repressione e in qualche momento di terrore che il castrismo ha senza dubbio instaurato – esso ha nella sua maggioranza accordato a Fidel e a coloro che ne stanno continuando l’opera adesso che le sue condizioni di salute non gli consentono più di portarne il peso. Non dobbiamo certo dimenticare gli orrori, la giustizia sommaria, le torture, la lotta contro la Chiesa cattolica, la repressione politica. Tutto ciò fa parte del castrismo, come ne fa parte il fenomeno – ben noto a molti turisti, che ci andavano apposta sfruttando il bisogno e la miseria – della prostituzione in cambio di qualche soldo in valuta o di qualche agognato bene di consumo. Ma chi giudicava il regime comunista cubano solo alla luce di questo dimenticava la straordinaria dignità, la fierezza di un popolo che ha saputo liberarsi da una dittatura militare infame e bestiale che davvero aveva ridotto La Habana al rango di grande bordello e di grande bisca per i viziosi americani e di ogni altro continente, che ha saputo resistere al gigante statunitense battendolo e umiliandolo alla Baia dei Porci e che ha creato una società nella quale istruzione scolastica e universitaria e assistenza medica erano e restano ai primissimi posti rispetto al resto del mondo.
Ora, il gioco passa agli Stati Uniti. I repubblicani faranno di tutto, in sede parlamentare, per eliminare o ridimensionare e procrastinare i risultati dell’apertura dimostrata da Obama: chiederanno garanzie, anzitutto quella di un “ritorno del popolo cubano alla libertà”. Che non sarà tanto la progressiva introduzione di un sistema pluripartitico, la liberalizzazione dell’accesso a internet e via discorrendo, quanto un ritorno quanto meno parziale nell’isola di buona parte dei gangsters travestiti da perseguitati e da rifugiati politici che ormai da decenni (insieme, e non va dimenticato, con perseguitati e rifugiati autentici) popolano al Florida in fervida attesa che, nel quadro di una futura macdonaldizzazione del paese, si permetta alle città cubane di riaprire bische e bordelli. A scapito magari di molte scuole, di molte università, di molte cliniche mediche le quali magari verranno chiuse in quanto “troppo dispendiose” e “poco remunerative”.
Intanto – nella lieta speranza (non oso dire consapevolezza) che il ”disgelo” del somos todos americanos permetta di alleviare le dure condizioni socioeconomiche nelle quali i cubani sono stati fino ad oggi costretti a vivere per colpa della prepotenza statunitense -, almeno due domande vanno poste nell’immediato a chi con tanto ottimismo ha salutato il passo di Obama, sulla cui personale buona fede non ho motivo di dubitare.
Primo: che ne sarà, nel nuovo clima di distensione, della vergogna del carcere di Guantanamo? Non sarebbe nell’interesse della dignità del popolo cubano che sta tornando ai fasti della democrazia il liberarlo dalla vergogna di ospitare sulla sua isola (sia pure in un regime di extraterritorialità) quella sentina di detenzione illegale e di tortura che offende e umilia il genere umano? Oppure il perpetuare dell’infamia sarà parte del “pacchetto” di rospi da inghiottire che il governo di Washington, condizionato dai fieri anticomunisti che siedono in Senato e nel Congresso, proporrà a Raoul Castro?
Secondo: siamo sicuri che la “caduta del muro” tra Stati Uniti e Cuba, o comunque l’inizio di essa, coincida con la fine degli ultimi residui della guerra fredda? E se fosse invece parte di una nuova politica degli Stati Uniti che, preoccupati al contrario dello sviluppo della “nuova guerra fredda” nei confronti della Russia di Putin, vogliono impedire ai russi e ai loro alleati di pensare a qualunque prospettiva di sbarco politico-diplomatico nel continente americano e vogliono assicurarsi, tramite il ponte lanciato verso Cuba, un nuovo e diverso accesso anche alla volta di Venezuela, di Perù, di Brasile e via dicendo? Le “quinte colonne” statunitensi nel subcontinente latinoamericano stanno da anni facendo uno splendido lavoro usando strumenti quali la United Fruits, la CIA e le sette protestanti che hanno in certe aree (penso ad esempio al Nicaragua) soppiantato largamente la Chiesa cattolica (Bergoglio queste cose le sa benissimo).
La scenneggiata dei marò – Come vedete, nei media chiodo scaccia chiodo e la regola della memoria corta trionfa. Ma qui si esagera. La strage dei poveri piccoli pakistani avrebbe dovuto restar in eterno incisa nella nostra memoria e nei nostri sentimenti: poi sono arrivati Benigni, il terremoto in Toscana, i marò in India e tutto il resto, e la gente dei bambini ammazzati se n’è dimenticata. Che tristezza. Quanto ai due fucilieri di marina, con la speranza che il problema si risolva (ed è ormai evidentemente un problema da arbitrato internazionale), la questione di fondo resta: ma che cosa ci facevano due soldati dell’esercito italiano a far da scorta ad un natante che non aveva nulla a che fare con il pubblico servizio. Da quando in qua si consente che i nostri soldati siano noleggiati come contractors? Chi ha consentito questa infamia? Chi ne è responsabile?
Addio, Principessa – Dire che Virna Lisi era bellissima, splendida, rifulgente significa darne un’immagine riduttiva. Ed era anche, come attrice, una professionista serissima e rigorosa, una che non ha mai considerato la sua bellezza un bene commerciale. Era una moglie e una madre esemplare. Era una donna onesta, generosa, che preferì una carriera vissuta più in disparte di quanto avrebbe potuto ai compromessi che le avrebbero assicurate fama e ricchezza maggiori ma a un prezzo morale che essa non era disposta a pagare. Virna Lisi non era bellissima: era una prova dell’esistenza di Dio. Nella mia generazione, i migliori non avrebbero mai osato concepire nei suoi confronti se non pensieri di amore castissimo e cavallerescamente devoto: era la bella Principessa nel cui nome si muore.
Addio, principessa. Che un volo d’angeli ti accompagni fino ai piedi del trono di Dio. E’ il solo set che davvero ti meriti.