Efemeridi & Spigolature 9

Il caso Fiori, ovvero la tristezza del fallimento. Non mi va di commentare l’ennesima vicenda di malcostume, d’incertezza del diritto e di ulteriore affossamento del livello morale del nostro paese costituito dall’intera squallidissima vicenda del sito archeologico di Pompei. Oserei dire che poco m’interessa anche sapere se davvero un alto pubblico funzionario che percepisce il non trascurabile stipendio di 5600 euri al mese sia riuscito a trafugare con destrezza quasi sei milioni di euri e a ridistribuirli sotto varie forme a parenti, amici o altri manutengoli: nel contesto di un sito che, a causa d’incidenti vari, avrebbe dovuto essere tenuto da mesi sotto strettissimo controllo. Pompei è una gloria e una ricchezza inuguagliabile del nostro paese, un luogo che spira dolore e splendore unico al mondo: l’endemico malcostume nel quale il nostro disgraziato paese affonda lo ha trasformato da tempo in una ragione di vergogna nazionale.

Lo dico chiaro: non m’interessa che Fiori sia o no colpevole. Mi offende e m’indigna il fatto stesso che si difenda rumorosamente, com’è ormai inveterato costume di politici e di amministratori della sventurata Italia. A un pubblico funzionario accusato di qualcosa, anche minima, si richiede che immediatamente si dimetta dal suo incarico finché luce piana non sia stata fatta riguardo agli addebiti mossigli e che contestualmente acceda in dignitoso riserbo alla preparazione della sacrosanta difesa della sua immagine e dei suoi diritti. Così si sarebbe agito fino ad alcuni decenni fa, come si continua ad agire così nel mondo civile. Da noi, ormai questo non è più possibile. Mi offende e m’indigna inoltre la questione inerente alle eventuali complicità e connivenze: quante e quali può averne, un pubblico funzionario, per agire come Fiori ha presumibilmente agito? In quanti altri, e quanto, ci hanno divorato, masticato, mangiucchiato? A 74 anni suonati, dopo averne trascorsi circa i due terzi nel pubblico impiego, mi sorprendo a chiedermi: in quale razza di lurida cloaca, in compagnia di quale razza di lurida ciurmaglia, mi è stato dato in sorte di passare la vita? Che cosa ho mai fatto di male per meritare un’onta del genere, una simile infamia, una tale vergogna? Dio, che schifo; e che mestizia…

Viva le Donne. Non sono un fan dell’Otto Marzo e del ramoscello di mimosa: li trovo rituali conformistici e un po’ sciocchi. Ma un bel Viva le Donne, come quello cantato anni fa dall’indimenticabile Nino Manfredi, davvero ci vuole. Mi limito a due casi. Primo. Viva le Donne di Mersin, nella Turchia meridionale, che in un momento di forte pressione pietistica islamica hanno sfidato la tradizione imponendo al loro imam di consentir loro di portare a spalla la bara di una ragazza morta in seguito a uno stupro. Il rituale funebre musulmano vuole che siano gli uomini a compiere tale rito e che le donne seguano a distanza. Ma le donne si sono imposte. La questione è delicata, la strada è lunga. Ma c’era un gesto da compiere, un omaggio alla dignità della condizione femminile. Nella vecchia tradizione cristiana si sarebbe detto ”Com’è stata al martirio, così stia alla gloria”. Secondo. Omaggio ad Amira Hass che da Ramallah ha denunziato in termini espliciti (cfr. “Internazionale”, 1091, 17.2.2015, p. 27) il fatto che le autorità israeliane in Palestina applichino arbitrariamente il diritto d’imporre il divieto di espatrio contro chiunque ritengano opportuno e per quanto tempo lo desiderino. “Oggi Gaza è la più grande prigione del mondo”, conclude Amira. Una situazione intollerabile al cospetto di Dio. Che noi tolleriamo tuttavia perfettamente.

Il Duello della Stupidità. Scemo più scemo. Chi è più stupido fra due stupidi? Poco nobile, ma in fondo divertente gara. A Bologna undici docenti hanno fatto ricorso al TAR contro la cerimonia dell’Acqua Benedetta nelle scuole. Non ne so molto al riguardo: ma non mi meraviglierebbe se avessero tirato fuori la vecchia storiella delle eventuali sensibilità musulmane offese (a Natale in molte parti della penisola sono dovuto intervenire gli imam per spiegare ai loro protettori laicisti che il presepio non urtava affatto la loro coscienza di credenti). La solita battagliola di bigotteria laicista travestita da rigore civico. Ma non è finita qui. Contro la faziosa scempiaggine, plana da “Il Giornale” del 6.3., una bellicosa penna teocon si è con fine sensibilità istituzionale chiesta perché chi non crede nel Cristo non vada a scuola per Pasqua (trascurando il fatto che a Pasqua in Italia le scuole sono sempre e comunque chiuse, anche perché la Pasqua cade di domenica, e che in un qualunque paese le feste vanno rispettate da tutti al di là delle private opzioni: altrimenti, i fascisti dovrebbero andare al lavoro o a scuola il 25 aprile, i monarchici il 2 giugno e così via…). Non solo: il pugnace quotidiano che (ohimè…) fu già di Montanelli titola (ben a ragione) “Delirio laicista”, ma aggiunge “La sinistra che tifa per l’ISIS: “illegali le benedizioni di Pasqua”. Ora, è certo che l’ardente desiderio di far d’ogni erba un fascio possa portare anche molto lontano, però onestamente il paragonare il fanatismo jihadista a quello laicista pare veramente azzardato. Salutari i paradossi, d’accordo: ma giungere a ipotizzare che una posizione laicista comporti anche solo indirettamente e per lambiccata analogia una qualche prossimità al jhadismo mette alla prova ésprit de géometrie ed ésprit de finesse. A meno che non sia legittimo il baroccamente affermare, col cavalier Marino, che “è del ‘Giornale’ il fin la maraviglia”. Ché, se così fosse, chapeau.