FRANCO CARDINI
NEOFASCISMO E NEOANTIFASCISMO: ANCORA POLEMICHE TELEVISIVE
Tromsǿ, Circolo Polare Artico (Norvegia)
In vacanza non si va mai. Mi ero illuso di allontanarmi un po’ dal quotidiano, assillante lavoro, per quanto avessi con me il computer e una buona quantità di carta stampata. Invece sono stato raggiunto e invitato a prender parte a un dibattito dal mio vecchio amico Gerardo Greco, sul programma Metropolis del 2 agosto 2023, ore 18,30.
Il programma, che seguivo in Zoom, si è avviato bene ma purtroppo la linea era molto disturbata. Ho dovuto desistere. E me ne è dispiaciuto, anche perché Greco è uno dei non troppi conduttori televisivi che sa quello che dice, si comporta con equilibrio, rispetta le idee dei suoi interlocutori anche se e quando non le condivide. Sono pochi quelli dei quali si può dire altrettanto.
Desidero quindi mettere a parte chi segue i “Minima Cardiniana”, adesso in riposo fino al 3 settembre p.v., di quanto avrei voluto e potuto dire in quella sede.
Gli argomenti erano nella vera sostanza addirittura 4, evidentemente collegati: 1. Perché Giorgia Meloni esita ad affrontare l’argomento fascismo-antifascismo dichiarandosi esplicitamente antifascista? 2. Si può ormai dire che il tema di che cosa sia il neofascismo sia chiaro, specie dopo le varie sentenze giudiziarie che attribuiscono alla “matrice neofascista” delitti quali la strage di Bologna del 2 agosto 1980? 3. I termini del problema fascismo/neofascismo-antifascismo/neoantifascismo sono molto dibattuti, ma non v’è ancora alcuna chiarezza: anzi, sembra si tenda a coltivare una notevole confusione, con vantaggio di chi pesca nel torbido. Avviamo un chiarimento. 4. Permanenze e residui del fascismo, possibili “revivals”: di chi la responsabilità? Un corretto esercizio della libertà civica consiglia la repressione pregiudiziale e sistematica o il pacato confronto d’idee privo di alibi liberticidi?
Il mio parere al riguardo, che avrei voluto esprimere e a proposito del quale mi dichiaro ad ogni modo esplicitamente responsabile è il seguente:
1. Giorgia Meloni ha dichiarato più volte la sua lontananza, anzi estraneità rispetto a qualunque ideologia “totalitaria”, esplicitamente includendovi il fascismo. Ci sarebbe molto da discutere se il fascismo, quanto meno quello italiano, sia considerabile come “totalitarismo” (per quanto il termine sia stato coniato in quell’àmbito). Ci sarebbe da discutere anche sul “neofascismo” delle formazioni politiche alle quali la Meloni si è rifatta finora. Sono o erano neofasciste? Ma esiste una definizione giuridica precisa di neofascismo, a parte quella generica e fenomenologica contenuta nella cosiddetta “Legge Scelba”? Alla luce della Costituzione, peraltro in una “Disposizione transitoria e finale” (definizione alquanto ambigua), di illegittimità dell’adesione a movimenti fascisti o della scelta di un’ideologia fascista non si parla: ci si limita a vietare la ricostituzione del Partito Nazionale Fascista. Nessun partito o movimento politico italiano è stato mai sciolto alla luce della “Legge Scelba” o del dettato costituzionale: in particolare MSI, AN e ora FdI hanno sempre avuto rappresentanti regolarmente e ufficialmente eletti in parlamento. Perché non si sono adottati nei loro confronti i procedimenti previsti da Costituzione e Legge Scelba? Perché non erano giuridicamente riconosciuti neofascisti? O perché facevano comodo a qualcuno? Rebus sic stantibus, la reticenza della presidente Meloni a proposito dell’argomento antifascismo appare giustificata: ma su tale argomento torneremo nei punti 3 e 4, dopo aver affrontato il punto 2.
2. A proposito della strage di Bologna, si è parlato di matrice neofascista degli esecutori; quali mandanti, si sono identificati la loggia massonica P2 e Licio Gelli. Tali soggetti sono definibili a loro volta come neofascisti, e nel caso della P2 il neofascismo è soltanto suo o dell’intera organizzazione massonica? D’altronde, né Licio Gelli né la P2 sono in realtà identificabili come mandanti, ma a loro volta come esecutori o come organizzatori di esecutori: si tratta di personaggi e di organizzazioni che hanno lavorato alla stregua del caporalato nell’assunzione dei braccianti abusivi durante la raccolta dei pomodori. La matrice fascista della strage del 2 agosto 1980 è abbastanza chiara quanto agli esecutori, ma dei mandanti continuiamo a non saper nulla di preciso: come in altri gravi attentati verificatisi in Italia e nel mondo, dall’assassinio di Kennedy a quelli di Falcone e di Borsellino alla strage di Ustica. In tutti questi casi i mandanti restano ignoti o sono stati identificati in maniera insufficiente e pretestuosa. D’altronde, a livello generale ed emisferico, il meccanismo “mandante formalmente rispettabile e insospettabile-esecutore fascista” sembra ben collaudato. Pensiamo a casi di colpi di stato che hanno portato a tanti regimi di gorilas in Asia, Africa e America latina; al fallito golpe della baia dei Porci a Cuba; a quello riuscito della Grecia dei “colonnelli”; a quelli contro l’Argentina di Perón o il Brasile di Vargas; a quelli contro il Venezuela di Chavez; al terrorismo in grande stile nei confronti della Serbia nel 1998, dell’Afghanistan nel 2001, dell’Iraq nel 2003. Lì, addirittura, ci sono stati due soggetti criminali a livello internazionale ad agire: il governo statunitense e gli alti comandi della NATO; e praticamente non hanno nemmeno sentito il bisogno di crearsi l’alibi di una “copertura” per mezzo di mandanti neofascisti. Chi sono oggi i terroristi internazionali? La risposta sembra chiarissima. E direi che il fascismo, almeno quello storico, non c’entra. E nemmeno il neofascismo, se si eccettua una frangia lunatica di bandoleros dalla idee molto violente ma anche molto confuse, come il neonazista-neotemplare svedese Anders Behring Breivik.
3. Il problema del fascismo e quello del neofascismo sono strettamente collegati, ma lo statuto del secondo è largamente ambiguo; così come ambigua, al di là della retorica e del tentativo di farlo passare come oggetto di un procedimento teologico-politico, è la definizione di antifascismo, la quale copre soggetti politici e motivazioni troppo ampie e onnicomprensive fino ad apparire contraddittorie. Ad esempio, l’antifascismo socialista e comunista e quello liberale confliggono tra loro fino ad apparire reciprocamente opposti e alternativi.
A tutt’oggi, tutto quel che si può dire è che l’antifascismo, mai chiaramente definito ma sempre duramente ed emozionalmente evocato, sia l’ideologia portante della classe politica italiana e dell’organizzazione mediatica che la sostiene che ne è sostenuta: insomma del “paese legale”, totalmente e rigorosamente antifascista per autocertificazione. Senonché, ciò non è obiettivamente affatto vero per quanto riguarda il “paese reale”, quello al quale appartiene fra l’altro la fascia sempre più ampia di aventi diritto al voto che volontariamente rinunzia di esercitarlo – con un atteggiamento che in molti casi denota immaturità, ignoranza, irresponsabilità e qualunquismo –, ma in molti altri suona viceversa esplicita anche se non analiticamente dichiarata e giustificata la condanna del “paese legale”, vale a dire della classe politica e del sistema mediatico che ad essa è funzionale. Ma ammetiamo pure che in una parte degli stessi elettori, quanto si voglia minoritaria, e in molti di quelli che a votare non vanno, sia in modo differente e a diversi livelli di coscienza politica vivo un atteggiamento di non totale condanna del fascismo, o addirittura di sua parziale o totale assoluzione, o ancora un vero e proprio movimento magari non organizzato di simpatizzanti per il fascismo e per le tesi storiche “revisioniste” che secondo alcuni intenderebbero illegittimamente riabilitarlo ma che, secondo altri, sono libera e legittima espressione di contenuti storici degni di essere discussi e magari confutati, ma ch’è appunto legittimo esprimere non alla luce di un aprioristico “revisionismo” astrattamente e acriticamente condannato, bensì di una revisione della storia in sé intrinsecamente legittima in quanto la storia è, fra l’altro, revisione critica continua delle posizioni storiche precedenti.
Al di là di ciò, v’è da domandarsi da dove, e perché, provengano le “nostalgie” e le “istanze apologetiche” del fascismo, fino a episodi ricorrenti che scandalizzano molti come i pellegrinaggi a Predappio. I rappresentanti della politica del “paese reale” e i loro fiancheggiatori dei mass media, che hanno avuto a disposizione tre quarti di secolo durante i quali hanno potuto adottare tutti i mezzi per indurre la società civile italiana ad abbandonare qualunque posizione favorevole al fascismo (a cominciare dalle aule scolastiche) non sono riusciti a farlo: i primi imputati di ciò sono essi stessi, non già i veri o supposti neofascisti. È di questo fondamentale aspetto della questione che si dovrebbe cominciar a parlare liberamente e al tempo stesso rigorosamente, abbandonando gli apriorismi dogmatici e gli atteggiamenti intimidatorii e persecutorii. Finché politici ed esponenti dei media non avranno il coraggio e l’onestà di affrontare il problema senza pretendere un vantaggio pregiudiziale al quale non hanno diritto e senza trattare i loro avversari secondo metodi inquisitoriali e atteggiamenti dialettici improntati a slealtà e a disonestà, il problema resterà irrisolto. Quanto a Giorgia Meloni, non le si possono chiedere – allo stato attuale delle cose e visto l’atteggiamento di una parte almeno dell’opinione pubblica – passi suscettibili di essere per lei autolesionistici: se ad esempio ipotizziamo che una gran parte dei membri dei FdI o dei loro simpatizzanti, e magari anche ambienti di cittadini non necessariamente schierati in senso partitico, sia dell’avviso che il vecchio simbolo del MSI sia mantenuto nel sistema simbolico attuale dei FdI, con che diritto chi a quegli ambienti non appartiene pretende di dettare la conduzione dell’agenda altrui? I sostenitori dell’antifascismo in servizio permanente effettivo debbono rinunziare a vincere senza convincere: otterranno il primo risultato solo dopo aver conseguito pienamente il secondo. Altrimenti, non possono accusare nessun altro che se stessi della propria incapacità. Chi ha in mano tutte le potenziali carte per vincere una partita, fa di tutto per vincerla contro un nemico privo di forze e di risorse materiali e culturali: eppure non riesce a vincere, è un perdente per antonomasia e della peggiore specie. Lo tenga presente, chi si sbraccia a fornirgli argomenti e non riesce nemmeno ad abbattere la ridicola staccionata dei banali luoghi comuni. Inutile, cari miei, far dell’inviperita e sprezzante ironia contro i maestri di Vigevano e le casalinghe di Voghera i quali affermano che “il fascismo fece anche cose buone”. Perché? Ma perché è così: perché il fascismo fece anche cose buone. Siete voi che perdete la partita sostenendo anche cose indifendibili e facendolo con una boria che, prima di rendervi insopportabili, vi rende ridicoli.