Domenica 13 marzo – Quinta domenica di Quaresima
FISCHIETTARE SUL BORDO DEL VULCANO
Parola mia, sembra di sognare. L’Imperatore Riluttante, che vorrebbe tanto rinunziare alla leadership mondiale ma non può, convoca nella Nuova Roma d’Oltreatlantico il giovane sceicco rignanese dei suoi ascari italici (quelli che poco più di un secolo prima cantavano “Tripoli, bel suol d’amore”) e gli ordina di riscattare l’onore del Bel Paese sfregiato dalla perfida Sorella Latina (la Francia che, dice Obama, “scrocca” le guerre…) tornando finalmente come protagonista in Libia a ristabilir quell’ordine che il tiranno Gheddafi aveva perfidamente stravolto e che la Strana Coppia Hollande-Cameron (“va’ avanti tu che mi scappa da ridere…”) ha sconvolto quattro anni fa, con risultati che ci stiamo ancora godendo e che ci godremo a lungo. Il giovane sceicco ascaro torna pettoruto da noi, annunziando un baldo e saldo contingente tricolore di soldati, dai tre ai settemila: così, come fossero bruscolini. L’ambasciatore statunitense a Roma, ancor più baldo e saldo, valuta a cinquemila il numero ideale di armati italici da impiegare e, come hanno sempre fatto i Gauleiter, fornisce solleciti consigli che in realtà sono ordini perentori. E cretini.
Difatti, si fa presto a dir cinquemila: ma è, appunto, una parola. I nostri generali – da Jean a Mini a Tricarico – obiettano che non è cosa, che non si fa in questo modo, che la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai politici (figurarsi ai diplomatici): e poi cinquemila soldati pronti manco ce li abbiamo. A questo punto lo sceicco ascaro da duro e puro Signore della Guerra si ricicla senza batter ciglio, così, in poche ore, in fiero e altero Signore della Pace, e annunzia irrevocabile, con la medesima grinta con la quale due giorni prima aveva proclamato l’opposto, che finché c’è lui al governo di guerra non se ne parla nemmeno, che questa guerra non s’ha da fare né domani né (forse) mai. Sconcerto in tutti i Bar dello Sport politici e mediatici – dal Senato a “Striscia la Notizia” – nei quali abitualmente si decidono le sorti del Bel Paese. Baffuti e barbuti militaristi padani e bionde borgatare romane insorgono chiedendo la guerra, qualunque guerra, una buona guerra una volta per tutte: ma ohimè, per far la guerra ci vogliono tre cose, vale a dire sovranità nazionale, un esercito e un nemico, e noi non ne abbiamo nessuna delle tre. La prima si è perduta tra il Cermis, Camp Derby e Val Molin; il secondo c’è e non c’è, oscilla tra speranze di avanzamento e regole d’ingaggio; il terzo è incerto, perché non si capisce se sta a Tripoli o sta a Tobruk, è l’ISIS o qualcuna del centinaio di tribù cirenaiche e tripolitane l’una contro l’altra armate, se è appoggiato dal Cairo o da Ryad o da Istanbul. Quel ch’è sicuro è che a Misurata l’ENI ha un metanodotto che arriva in Sicilia e che ci serve: almeno quello, dovremmo pur tutelarlo, ma come?
Frattanto, da Parigi, finalmente uno scintillante raggio di sole. La bella e brava Sophie Marceau, alla quale il presidente Hollande aveva offerto la Legion d’Honneur, rifiuta la prestigiosa stella a cinque punte bifide ch’essa avrebbe dovuto ricevere assieme a Muhammad ben Nayef, principe ereditario e primo ministro dell’Arabia saudita, responsabile nel suo paese delle 154 esecuzioni capitali dello scorso anno. Questa la ragione esplicita: che sarebbe da sola più che sufficiente. Ma c’è di più. La signora Marceau, anche se non lo ha detto, in realtà ha protestato – e Dio la benedica per questo – per il fatto che il capo dello stato francese, concedendo al principe saudita l’alta onorificenza, ne ha in realtà premiato la fedeltà di cliente: in effetti l’Arabia saudita è la prima acquirente al mondo di armi e la Francia una delle sue principali fornitrici. Ricchi premi e cotillons a chi saprà individuare a chi mai vadano tutte quelle armi acquistate dalla monarchia petrodollaresca, che per il suo ben equipaggiato ed efficiente ma piccolo esercito non ne ha certo bisogno. Del resto, accorto piazzista dei suoi prodotti made in France, Hollande sa essere anche riconoscente ai suoi datori di lavoro. Ricorderete spero tutti i suoi eroici furori contro l’Iran, roba da far invidia perfino a Nethanyahu: ebbene, noterete che essi sembrano acquietati da quando, nel quadro del disgelo e dell’attenuarsi dell’embargo contro la repubblica di Rohani, quest’ultima ha gratificato la Francia della sostanziosa ordinazione di alcuni aerobus, tanti da far ripartire un settore alquanto depresso della sua industria.
Ma torniamo all’Arabia saudita, al paese il cui governo piace tanto al presidente Hollande e tanto poco a madame Marceau. Si tratta del quarto paese al mondo in termini assoluti per spese militari, dopo Stati Uniti, Cina e Russia, ma del primo sia per spesa militare pro capite (circa 3000 dollari a persona nel 2014), sia per quota percentuale di tali spese nel bilancio governativo (più del 25% delle uscite). Se accanto all’Arabia saudita consideriamo gli Emirati Arabi Uniti (Bahrain, Qatar, Kuwait), arriviamo a una spesa che, per le sole armi convenzionali, supera di parecchio nell’ultimo lustro i 20 miliardi di dollari: vale a dire quattro miliardi all’anno.
Chi sono i fornitori di una così vasta e fedele clientela? Anzitutto gli Stati Uniti (55%), quindi la Gran Bretagna (17%), poi la Francia (6,2%: allez-y, Monsieur Hollande!), quindi gli spagnoli (4,2%); seguono ben distanziati gli italiani e i tedeschi (2,4%: oh Matteo, ma la ‘un s’ha da aumentare, la produzione? Tu l’ha detto anche te! O icché la fa la Oto Mellara?) e infine i turchi, che però – stiamo in campana – stanno quasi per raggiungerci (2%). Questo lo “stato dell’arte” della produzione ed esportazione dei paesi occidentali, notoriamente fautori della pace.
Sembra che questi dati abbiano preoccupato lo stesso Parlamento Europeo, nel quale nelle ultime settimane sono affiorate istanze di moderazione e di regolamentazione; esiste d’altronde fino dal 2104 un trattato ONU sul commercio delle armi che dovrebbe limitare se non proibire le esportazioni di armi verso paesi responsabili di violazioni di diritti umani e di crimini di guerra. Una giungla giuridica internazionale intricatissima: che per ordine, semplicità ed efficacia ricorda molto da vicino le “Gride” di manzoniana memoria che evidentemente i Chief Executive Officiers che lavorano ben pagati tanto a Bruxelles quanto a Strasburgo e la cui funzione è il procacciare affari e il “convincere” gli eurodeputati della bontà dei prodotti da loro propagandati. Tanto per fare il solito esempio, alla luce della recente normativa l’Arabia saudita dev’essere considerato un paese di specchiate virtù civili, nel quale i diritti umani – pensi quel che le pare Madame Marceau – sono limpidamente onorati, dal momento che fra il ’14 e il ‘15 le sue importazioni di armi sono aumentate di quasi il 15% (nulla, del resto, rispetto ai paesi fratelli: il 76% degli Emirati, addirittura il 100% del Qatar).
Il recente massacro delle quattro religiose missionarie della Carità trucidate nello Yemen si è verificato nel contesto della guerra guidata in quel paese da Arabia saudita e da Egitto non già contro le forze fiancheggiatrici dell’ISIS bensì contro gli sciiti Houthi “ribelli” al governo di Abdrabbuh Mansur Hadi; una guerra cui validamente contribuiscono varie milizie jihadiste sunnite il santo impegno guerriero delle quali è evidentemente disturbato dalle umili pratiche di misericordia delle suore cattoliche E’ evidentemente così che i nostri alleati arabo-sunniti contrastano il califfo al-Baghdadi: massacrando eroicamente le suore cattoliche e bombardando coraggiosamente le popolazioni sciite.
Tutto ciò mentre da noi giornali e telegiornali insistono in questi giorni sulla lotta al terrorismo trascrivendo e mandando ossessivamente in onda il dialogo telefonico intercettato fra due sedicenti volontari jihadisti – Scemo più Scemo – i quali tra un inshallah e l’altro (non paiono sapere alcuna altra parola in arabo) chiacchierano allegramente di auto piene di esplosivo e di futuri attentati: un episodio che ha mobilitato tutti i nostri studiosi autoreferenziali di geopolitica, strategia e intelligence facenti capo a fantomatiche università informatiche e sistematicamente interpellati (a pagamento?) dai nostri media.
Bene, bravi, andate avanti così. E mi raccomando, fly emirates. C’è scritto anche sulle magliette “firmate” di note squadre calcistiche, quindi dev’esser giusto.
Franco Cardini