Minima Cardiniana 117

Domenica 10 aprile 2016 – Terza domenica di Pasqua

APPELLO

Domenica prossima, 17 aprile, c’è il referendum a proposito delle trivellazioni. Non esitate, non fatevi ricattare dalle menzogne e dalle false informazioni. Ricordatevi anzitutto che alla conferenza dell’ONU sul clima (Parigi, dicembre 2015) l’Italia è stata uno dei 195 paesi firmatari dell’impegno a “contenere la febbre della terra”, cioè a perseguire il progressivo abbandono dell’utilizzazione delle fonti fossili. Non cedete al ricatto di chi tira in ballo le necessità dello sviluppo e i posti di lavoro: lo sviluppo è per troppi versi una tragica superstizione, l’economia si gestisce usando gli strumenti della riconversione, i modelli di sviluppo energetico pulito fondato sulle energie rinnovabili esistono e sono concretamente realizzabili.

I rischi d’inquinamento dei nostri mari in seguito alle trivellazioni di petrolio e di gas sono altissimi, a fronte di una prospettiva di vantaggi ridicola; le tecniche di trivellazione sono di per sé inquinanti e disastrose per la fauna marina anche senza bisogno che si verifichino incidenti come quello della piattaforma Deepwater Horizon del Golfo del Messico (2010) che provocò un gigantesco inquinamento marino. Nel Mediterraneo, “mare chiuso”, non ci sono nemmeno correnti che in qualche modo potrebbero diluire e disperdere gli effetti del disastro. Non vi bastano i rischi che già Stati Uniti, Russia e Israele (nonché forse Francia e Inghilterra) ci fanno correre con i loro sottomarini a propulsione nucleare, che in caso di avaria impesterebbero irrimediabilmente le nostre acque? Il petrolio del Mediterraneo, senza dubbio, è un grosso affare e un’imperdibile opportunità. Ma soltanto per i petrolieri. Per noi è un pessimo affare e un altissimo rischio. Se estraessimo tutto il petrolio presente sotto i fondali delle nostre acque territoriali otterremmo riserve utili a coprire il nostro fabbisogno per sole 7 settimane, cioè meno di 2 mesi. Una saggia politica di risparmio energetico e di gestione delle energie pulite alternative può “risarcire” immediatamente le mancate trivellazioni.

Tenete infine presente il solito trucco dei referendum “abrogativi” in Italia, pensati sempre in modo da confondere le idee. Non si tratta di autorizzare nuove trivellazioni, ma di fermare quelle in atto. Quindi, se NON volete che le trivellazioni continuino, dovete votare SI’ (intendendo che pretendete che cessino). E’ una cosa cretina: ma non fatevi fregare.

UN RAGAZZACCIO A PALAZZO CHIGI

Giorni fa un quotidiano mi ha chiesto un’opinione su quella che è ancora presto per definire una crisi del governo Renzi, ma che potrebbe diventarlo. L’articolo ha fatto un piccolo giro in alcune testate e anche su alcuni blogs. Altri giornali mi hanno chiesto di riprenderlo, ovviamente in versione volta per volta riveduta e corretta. Ora però mi sembra che, per questa settimana, le riedizioni con “correzioni d’autore” possano bastare: e ve lo passo così com’è, in edizione – diciamo così – definitiva.

Matteo Renzi sostiene che esiste un’offensiva mediatica contro di lui e il suo governo. Può darsi che esageri: ma aspettiamo, prima di dargli del visionario. Nel Bel Paese, quando le opposizioni non ce la fanno entrano regolarmente in ballo i media, i siluri scandalistici e la magistratura. E’ un gioco vecchio: la sinistra lo conosce e, saremmo tentati di aggiungere, chi di spada ferisce di spada perisce. Sempre che ci sia ancora, la sinistra.

Il “pasticciaccio bbrutto” dei cosiddetti “Panama Papers” è come le idi di marzo di cesariana e skakespeariana memoria: è giunto, ma non è trascorso. Vedrete (è questione di giorni, se non di ore) che da qualche parte spunterà un elenco o un dossier che includerà, più o meno in bella vista, qualche nome vicino al presidente. Sappiamo come vanno certe cose, nel Bel Paese; le conosciamo, le sceneggiate a metà strada tra il complotto e l’intrigo, tra lo scandalo e la pochade; e assisteremo così al consueto défilé delle dichiarazioni dei politici, dei magistrati, dei mezzibusti e dei saltinbanchi che gestiscono i media. Dopo la faccenda delle banche toscane che ha lambito papà Renzi e papà Boschi, dopo lo spettacolo di Federica Guidi che in poche ore abbandona una poltrona ministeriale e da sospetta passa a tempo di record a “persona al corrente dei fatti” e quindi a “parte lesa” giocandosi il convivente (ma stando a quel che abbiamo visto e sentito, la poverina, se rompe con quello là, perde davvero poco…), dopo Graziano Del Rio – ma si scriverà così? – già allontanato un pochino da Palazzo Chigi e spedito in una sede ministeriale periferica (sono lontani, ormai, i tempi della crozziana giaculatoria “Grazie-Graziano!”: del resto, Crozza è ormai passato al rosa-semiporno) per scoprirsi poi fotografato e schedato, è come se una rete a maglie per il momento abbastanza larghe avesse già cominciato ad avvolgere il pesciolone d’Arno che sono ormai in troppi ad augurarsi finisca presto in padella.

Ma il pesciolone è energico, beffardo, indispettito e scafato. L’Arno, tra Rignano e Pontassieve, è ricco d’anfratti e di gorghi: e Pescematteo agli ami non abbocca, dalle reti sguscia via. Uno che ha il fegato (e lo stomaco?) di guizzare perfino sotto il naso dei Verdini, che volete che gli facciano i Fassina, i Prodi, i Bersani? A parte D’Alema, che non si stanca di accusare sprezzante e sdegnato il cielo, la terra e il mondo intero colpevoli della sua débacle: lui infallibile, e gli altri miopi, stupidi, incapaci, colpevoli di non averlo capito e sostenuto. Ma andiamo…

Invece, Renzi tira dritto. Fa rabbia per questo. Nemmeno gli eroici furori di alcune firme illustri, di alcuni autorevoli elzeviristi con tanto di ermellino accademico o di Grandi Firme alla moda sembrano toccarlo più di tanto. D’accordo, è un presidente del consiglio mai passato attraverso il bagno del consenso elettorale: ma chi con scarsa considerazione per istituzioni e costituzione glielo rimprovera, dovrebbe pur sapere che in Italia i premiers li designa per incarico il presidente della repubblica, non li eleggono né il parlamento né il popolo sovrano. D’altronde, certi fini ma attempati osservatori danno l’impressione di non aver capito che oggi le tribune dei comizi e i duelli televisivi non vanno nemmeno più di moda (figurarsi i fatidici balconi…): ormai è tempo di twitter e di facebook. L’Italia in pensione o quasi è piena di grandi e piccoli commis d’état che i precedenti governi avevano abituato a sentirsi di diritto intramontabili Consiglieri del Principe, gente che riteneva suo diritto non scritto ma inalienabile il salire e lo scendere i gradini di palazzo Chigi magari come riverita – e talora strapagata – titolare di consulenze, spesso armata di misteriose conferenze per autocertificazione e autoreferenzialità, e ora non la cerca più nessuno. Uomini-che-non-dovevano-chiedere-mai, e che ora invece vorrebbero chiedere ma non sanno più come fare: si sentono messi in corner e sono inviperiti.

E poi, che razza d’animale è questo ragazzaccio con la cravatta allentata che si fa vedere di continuo in TV ma che poi non fa un briciolo di vita mondana, non va mai o quasi a una “prima” di quelle che contano, uno che vive blindato tra i suoi amici di scuola e i suoi compagnucci di parrocchietta scout e che pure avverte poi, come ha fatto a proposito della Guidi, che “con noi chi sbaglia va a casa” e che “fra due anni, con le elezioni, ognuno farà le sue scelte”, ma intanto lui è lì “per fare le cose”: e le fa.

Ma le fa sul serio? Certo, quando parla con la solita sicurezza del fatto che lui e i suoi credono nel primato e nell’autonomia della politica, è un po’ come quando ritira in ballo la faccenda degli 80 euri in busta: fa sorridere. A proposito di autonomia (se non di primato) della politica, se n’era già accorto il vecchio Marx – per quanto al suo tempo non fosse ancora del tutto vero – che nelle democrazie parlamentari i politici sono dei “comitati d’affari” di capitalisti e di finanziari. Ma nessuno gli rimprovera quest’ingenuità o questa balla. E’ in troppo buona compagnia. Semmai, molti hanno criticato la brutalità del suo entrare a gamba tesa nelle faccende di Napoli-Bagnoli, emarginando ed esautorando l’amministrazione comunale: la quale, dicono in tanti, stava proprio ora per risolvere le annose questioni all’ombra del Vesuvio. Appunto: erano decenni che si stava lì per sistemare tutto, e guarda caso proprio ora è arrivato lo sfasciacarrozze. Ma lui insiste, e rilancia: quella storia della piattaforma di cemento a Bagnoli, per esempio, da quanto tempo è lì e parlano di rimuoverla (era già un tormentone nel ’66, quando ero allievo ufficiale d’Aeronautica nella dolce, cara Pozzuoli…)? Ma farla sparire, è una parola: sai la ridda di appalti che ciò scatenerebbe, sai le grandi manovre della camorra… eppure potrebb’esserci qualcosa di nuovo perché lui, alla faccia del suo stesso fin troppo sbandierato liberismo, in questo caso parla d’intervento diretto dello stato: ed è una boccata d’aria fresca per noialtri vecchi reazionari statalisti. Erano anni che un linguaggio del genere non si sentiva più! Il presidente del consiglio sembra finalmente essersi ricreduto sulla questione del ruolo di quanto è pubblico e pubblico deve rimanere. Ma farà davvero quel che dice? Vorrà farlo, saprà farlo, lasceranno che lo faccia? Staremo a vedere: gli altri capi di governo promettevano anzi assicuravano, ma nessuno si giocava la faccia. Lui se la gioca. Se non altro ci permette, pokeristicamente parlando, di “vedere”. Gli altri, a chieder loro di darci una data di scadenza per la verifica delle promesse, s’indignavano: lui non abbandona il tavolo. Vi pare poco?

E il ragazzaccio insiste, alza la posta. Entro il 2020, dice, avremo la “banda larga”: ecco un’altra promessa impegnativa e imprudente, perché al 2020 quasi ci siamo. Le decisioni comunque le prende, quel che pensa lo dice: e non si tira indietro. Per esempio: piaccia o no (a me non piace; e voterò all’opposto delle sue indicazioni) un’indicazione chiara a proposito del referendum di domenica prossima 17 aprile sulle trivellazioni nelle acque territoriali l’ha data, né “popolare” né politically correct. Sulla questione egiziana ha l’aria di voler tirare dritto a costo di mettere le nostre esportazioni a repentaglio e magari perfino di creare una crisi diplomatica internazionale, e gli stessi che lo hanno rimproverato per non aver riportato a casa dall’India “i nostri marò” adesso gli rimproverano di fare il duro e gli rinfacciano di inimicarsi al-Sisi, “uno scudo contro l’ISIS” (ma quando mai, se lui e gli arabo-sauditi invece del califfo bombardano gli sciiti yemeniti?). Ancora: gli avversari di Renzi fanno di tutto per distrarlo con il “grande” problema dei migranti, ma lui sa molto bene che i rischi più gravi li stiamo correndo perché nel paese non c’è lavoro e, se le previsioni di Draghi a proposito della tenuta dell’euro non sono arbitrariamente catastrofiche, entro pochi mesi potremmo trovarci sul serio dinanzi a una crisi di quelle mai più viste dopo il ’29: anche per questo sui migranti non tratta, non cede al ricatto dei populisti miopi che non hanno ancora capito che qui siamo davanti a una situazione di portata mondiale e che dobbiamo affrontarla con energia e generosità, pronti anche ad alcuni sacrifici, perché chiudersi nel proprio guscio non serve e comunque non è possibile.

Bene. Aveva ragione il vecchio Carl Schmitt: governare significa assumere delle decisioni, prendersi delle responsabilità, dominare le emergenze. Per molto tempo i leaders del Bel Paese hanno dato l’impressione di sperare con tutte le loro forze che non toccasse a loro stare al timone in tempi di tempesta. E Renzi ha ben il diritto di rispondere che chi lo accusa di guidare un “governo delle lobbies” sta in realtà raccontando “una barzelletta”, dal momento che egli sta invece progressivamente acquistando piena coscienza della sua solitudine. Attorno a lui, fra i suoi colleboratori e i suoi alleati “di governo”, sono in troppi a fare i furbi e a pensare ai loro affari o ai loro giochetti. Lo sappiamo: e lo sa anche lui. Ma non ha alternative. C’era una squadra di governo migliore? Era chiaramente individuabile, seriamente disponibile? E’ individuabile adesso? Se sì, forza: fuori i nomi. Altrimenti lasciategli la libertà di provare e, se sbaglia, di correggersi.

All’indomani della squallida avventura berlusconiana, questo paese era distrutto, con una sinistra a pezzi e delle destre tanto irresponsabili e disorientate da saper esprimere soltanto degli squallidi slogans xenofobi mentre il paese allo sbando affonda in quella corruzione della quale la Malasanità diffusa è prova suprema e modello esemplare al tempo stesso. Da mesi, alternative al ragazzaccio di Pontassieve non ce ne sono: ed è sbagliato prima che ingeneroso chiamarlo responsabile di guai ch’erano ben precedenti al sua gestione e non possono essere risolti in pochi mesi; ed è retorica la denunzia del “renzismo”come responsabile di aver fatto scivolare la sinistra verso i lidi del neoliberismo. La deriva era cominciata da molto prima. Ora, la verità è che i mali sono così evidenti che è diventato difficilissimo ma anche inevitabile affrontarli. Renzi potrà ben fallire: ma nessun altro si è dimostrato finora in grado di accettare la prova. L’aver raccolto la sfida è stato, di per sé, già un successo.

Eppure qualcuno, specie nella sinistra che sta cercando di rinnovarsi e magari di creare “nuovi soggetti politici”, ha pronta la finissima analisi degna di quel sapiente alchimista che scoprì l’acqua calda. Si fa notare che “da sempre” in Italia (cioè dal 1860 circa) si pratica il giochetto di cambiar tutto perché tutto resti come prima. La storia ci mostra come nei momenti di crisi americani, inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi, russi e molti altri si spaccano in due e magari se le danno di santa ragione. Noi no. Noaialtri, “Furbetti della Politichina”, quando c’è aria di crisi serriamo al centro, usiamo una quantità di variabili della tattica trasformistica che consiste nello smussare le reciproche differenze e adottare la nobile tattica nota come “trasformismo”. Lo abbiamo fatto con il re di Sardegna nel 1859-60, con Giolitti nel ’12, con Mussolini fra ’24 e ’25, con De Gasperi nel ’48, quindi più o meno anche con Craxi e con Berlusconi. Nei casi più seri ci mettiamo a scrutare all’orizzonte per vedere se arriva l’Uomo della Provvidenza: e, come diceva Montanelli, corriamo tutti coraggiosamente in aiuto al vincitore. Tra un “centrodestra storico” neoliberista e un “centrosinistra storico” postsocialista a sua volta convertito al neoliberismo – ormai è solo il povero Passera a predicare la necessità delle privatizzazioni convinto di essere un’antoconformista vox clamantis in deserto, senza accorgersi che ormai sono trent’anni che non facciamo altro e con risultati sempre più fallimentari -, l’opinione pubblica italiana (o almeno quelli che vanno ancora a votare) vive praticamente in un regime di partito unico temperato da una pluralità di segreterie che designano il ceto dirigente politico attentissime a scegliere yes men scartando il più possibile i colti, gli intelligenti e gli onesti che sono delle palle al piede quando si tratta di far passare i provvedimenti necessari alle lobbies affaristiche le quali finanziano sì la politica, ma pretendono di vedere i risultati. Risultati riassumibili in un punto solo: l’equilibrio socioeconomico non deve mutare, le riforme non debbono toccare la questione della ridistribuzione della ricchezza e delle dinamiche di progressiva concentrazione di essa, dunque d’impoverimento e di proletarizzazione dei ceti subalterni.

Renzi è il prodotto di querste volontà, di questa situazione. Era il delfino designato di Berlusconi alcuni mesi fa, quand’egli era ben disposto a cedergli al sua eredità elettorale e politica: solo che lui lo ha prevenuto e se l’è presa. Ora sta pilotando il suo PD che è riuscito a incanalare sui binari adatti a farlo diventare un remaking della DC, ch’era a sua volta un remaking del PNF, che fra ’25 e ’43 fu a sua volta (a parte gli speciali poteri di Mussolini) un remaking dell’Ammucchiata dei Moderati che aveva governato l’Italietta con alcuni occasionali mal di pancia dal 1860 al 1925. Solo che ormai il tempo comincia a scarseggiare: e Renzi ha capito anche questo. All’orizzonte potrebbero esserci un aggravarsi della “terza guerra mondiale” già in atto, la crisi dell’euro ipotizzata (o prevista?) da Draghi, di conseguenza una definitiva crisi dell’Unione Europea che peraltro – come sta dimostrando con la faccenda dei migranti e anche lasciando sola l’Italia davanti alla crisi egiziana – è già più che alle corde.

Ci sono delle alternative a Renzi? Lui ha lanciato la sfida, secondo il suo solito, in modo chiaro: “Fra due anni ciascuno farà quel che vorrà”. Nel 2018 ci sono le elezioni: siamo vicini. Fatevi avanti, allora, per sostituire il ragazzaccio a Palazzo Chigi: fuori gli uomini, fuori i programmi, fuori le idee. Ci sono da sconfiggere il malcostume, la corruzione, l’evasione fiscale; c’è da fermare l’emorragia dei giovani che scoraggiati vanno all’estero perché da noi non trovano lavoro; c’è da puntare sulle nostre autentiche ricchezze, valorizzare il nostro vero petrolio (bellezze artistiche e naturali, turismo, produzione artigiana di qualità specie nell’agroalimentare e in certi settori della tecnologia di precisione, prodotti dell’ingegno come la moda e il cinema, riqualificazione industriale, energie alternative: altro che rovinare le coste del Mezzogiorno con le trivellazioni). C’è da riposizionarsi all’interno delle alleanze internazionali rinegoziando un ruolo attivo e dignitoso nei confronti degli Alti Comandi della NATO e della basi militari statunitensi sul nostro suolo. Ci sono un’istruzione e una scuola pubblica da rilanciare a tutti i livelli, dalle primarie all’Università: bisogna ridargli un’anima, e la “buona scuola” non ce l’ha.

Caro Matteo, siamo di nuovo al 1946, di nuovo a settant’anni fa. Allora, avevamo perduto una guerra; oggi abbiamo perduto una troppo lunga pace che ci siamo giocati male: peggio per noi. Può anche darsi che all’orizzonte ci sia di meglio rispetto a te. E forse sei tu il primo a sperare che nel ’18 arrivi quello che ti rispedisce a Pontassieve. In fondo, egoisticamente, io me lo auguro: sto a Bagno a Ripoli, due chilometri in linea d’aria da casa tua. Se Dio vuole – lo dico perché comincio ad avvicinarmi agli Ottanta –, allora andremo insieme a farci una bistecca e una bottiglia di Ruffino o di Melini al Girarrosto. Ma fino ad allora non puoi passare il testimone a nessuno: perché non c’è nessuno. Stringi i denti e tira avanti. Non ci son Leopolde che tengano: non hai scelta. E non ce l’abbiamo neanche noi.

Franco Cardini