Minima Cardiniana 149

Domenica 20 novembre 2016. Cristo Re

GIUBILEO DELLA MISERICORDIA. UN CONSUNTIVO

Il Giubileo è finito. Ieri, in tutte le Chiesa del mondo cattolico, i sacerdoti indossavano i trionfali paramenti candidi delle grandi feste: era l’ultima domenica dell’anno liturgico, la festa del Cristo Re dell’Universo. Alla fine della messa, si canta in quell’occasione un antico inno legionario, il Christus vincit – Christus regnat – Christus imperat: e la Chiesa romana ritrova un riflesso della sua gloria imperiale, quella che i papi del medioevo hanno conquistato anche con qualche falso documentario – la “Donazione di Costantino” – e al quale papa Francesco ha definitivamente rinunziato deponendo il rosso della mozzetta e l’oro dell’Anello del Pescatore.

Papa Francesco ha chiuso alle 10 del mattino, dinanzi a una folla straripante di fedeli, la prima e l’ultima porta del Giubileo, quella della sua basilica di   San Pietro. Le altre porte, in tutte le principali chiese del mondo, erano già state chiuse. Ora comincia il tempo della penitenza e dell’attesa: i paramenti sacerdotali sono di austero violetto (quel colore che fa tanta paura alla gente di teatro) e si dovrebbe digiunare e meditare in attesa che il Salvatore rinasca come fa ogni anno, nell’Eterno Ritorno circolare dell’anno liturgico.

Saranno stati in molti a pensare che c’era parecchio di folkloristico, e magari di demagogico, nella liturgia “inventata” da papa Bergoglio e dai suoi stretti collaboratori. Quei tavoli d’accoglienza  volutamente “modesti” e “familiari”, quella messa e quei canti in tutte le lingue del mondo, talune ignote e decisamente minoritarie. Eppure, l’universalità della Chiesa stava, sta, proprio in questo. Francesco ha voluto ricordare che il Cristo, Re dell’Universo, è anzitutto e soprattutto un povero tra i poveri: come nelle sculture dei portali romanici e gotici, che tante volte Lo presentano giudicante, in maestà, assiso sì sul trono, ma vestito solo del sudario della Resurrezione e  in atto di ostentare i suoi segni del potere: che non sono lo scettro e la spada ma le piaghe delle mani e dei piedi. Mani e piedi piagati, come quelli dei tanti che arrivano sulle nostre spiagge dopo viaggi da schiavi, dopo aver evitato per miracolo il naufragio.

Forse non tutti se ne sono accorti, ma questo Giubileo della Misericordia è stato un trionfo. Non si contano le case d’accoglienza e gli ospedali aperti, i bambini e le donne accolti e salvati dai pericoli della strada, i vecchi e gli ammalati strappati a una fine squallida e crudele, i poveri salvati dall’abiezione: perché la povertà è una condizione, ma la miseria è disonore e vergogna, è perdita di dignità. Misericordia significa ricondurre l’essere umano a quel rispetto che è un suo diritto. E di lavoro da fare ce m’è tanto, in un mondo nel quale il 90% degli abitanti dispone, per sopravvivere, solo del 10% delle ricchezze globali del mondo.

Da qui l’attesa: quando lo indirà, il papa, il Giubileo della Giustizia? Perché la Giustizia è l’altra faccia della Misericordia, e l’una non può stare senza l’altra; se il mondo ha bisogno dell’una, ha bisogno anche dell’altra. Giustizia per i poveri, per i disoccupati, per gli ammalati, per i deboli, per i rifugiati, per le vittime di guerre volte da quanti su di esse si arricchiscono, per i migranti e per chi    non ha di che vivere nemmeno nel suo paese. Il lavoro è molto e gli operai sono pochi. Eppure li abbiamo visti all’opera quest’anno: preti, frati, suore, medici, volontari d’ogni tipo: spesso anche gente che non ci saremmo mai aspettati di vadere al servizio del prossimo. Sono loro il sale della terra.

Con la solita coda velenosa. I quattro cardinali che sventolano i loro dubia a proposito della lettera Amoris laetitia e tirano come al solito le orecchie al loro bersaglio consueto, il loro collega Kasper, accusato del delitto di aver caldeggiato la concessione dell’eucarestia ai divorziati risposati. Il mondo va in frantumi, si spara sugli innocenti, si riducono in miseria e alla fame popoli interi pur di assicurare ricchi dividendi alle lobbies multinazionali eppure eccole là, le loro Eminenze Reverendissime, a inondarci del loro sapere teologico per dimostrare che quei miserabili peccatori sono condannati per sempre da tutti i cànoni e che quindi Nostro Signore, rispettoso com’è della teologia e del diritto canonico, non si degnerà mai di scendere nelle loro repellenti vittime. Per fortuna, come dicono i musulmani, Dio ne sa di più…

                                                                          Franco Cardini

I GENOCIDI NON SONO MAI PERFETTI

Presentiamo un sillogismo, secondo l’ineccepibile tradizione aristotelico-tomistica:

Premissa maior: Il delitto perfetto non esiste;

Premissa minor: Il genocidio è un delitto;

Ergo: Il genocidio perfetto non esiste.

Lo sa bene chiunque ci abbia provato: con gli ebrei, con gli armeni, con gli aborigeni australiani, con i native Americans eccetera. Eh, sì: mi dispiace per molti sostenitori del presidente Trump, ma con i native Americans i buoni americani WASP (White, Anglo-Saxon, Protestant) hanno lavorato proprio male: con  sciatteria e approssimazione. E’ loro riuscito bene almeno l’etnocidio, vale a dire la distruzione della cultura e della memoria comunitaria? Non pare nemmeno questo. Li hanno obbligati a richiudersi in riserve, ad alcoolizzarsi, ad abbrutirsi, tutto quel che volete. Eppure, maledizione!, eccoli ancora là, magari perfino con i loro diademi di piume: e non è detto che li indossino solo per far piacere ai turisti. Comunque, rassicuriamoci: per continuar a perseguitarli, continuano. Democraticamente, beninteso. E sentite questa (ma non chiedetemi chi sia questa Madame Janus, nom de plume a cavallo fra la mâitresse di casa di tolleranza Anni Venti e la chiromante tipo Madame de Thèbe):

LA PROTESTA DEI NATIVI AMERICANI

Un fatto grave sta avvenendo in Nord Dakota: i nativi americani della riserva Sioux di Standing Rock, supportati da associazioni ambientaliste, si stanno fisicamente opponendo alla costruzione di un oleodotto sotterraneo di circa 2000 km che dovrà trasportare l’equivalente di mezzo milione di barili di petrolio al giorno fino al Illinois, attraversando anche il fiume Missouri, un progetto governativo da 3,8 miliardi di dollari. Oltre un centinaio di etnie native americane hanno inviato dei loro rappresentanti per assistere i Sioux, occupando il territorio distante circa 1 km e mezzo dal confine della riserva dove sono in corso gli scavi per l’oleodotto; al momento attuale si contano migliaia di persone sul territorio, in quello che è divenuto un grande accampamento orante e pacifico formato da coloro che si definiscono “protettori dell’acqua”. Oltre la distruzione di siti funerari dei loro antenati, luoghi comprensibilmente considerati sacri dagli aborigeni, la maggior preoccupazione è rivolta al fatto che l’oleodotto dovrebbe essere costruito in prossimità della principale riserva d’acqua su cui si basa la sopravvivenza dei Sioux. Dal 2010 ad oggi sono occorsi molti incidenti, oltre 200 versamenti di petrolio dagli oleodotti che attraversano il Nord America e che hanno causato serie problematiche ambientali, eppure la società incaricata della costruzione, la Energy Transfer Partners di cui è investitore anche il nuovo Presidente USA Donald Trump, continua ad affermare che il trasporto del petrolio via oleodotto è comunque più sicuro di quello ferroviario o di quello automobilistico. Nel frattempo il governatore del Dakota ha decretato l’emergenza della situazione, inviando sul luogo un ingente numero di poliziotti armati che hanno sparato contro individui disarmati pallottole di gomma, utilizzati spray urticanti, cannoni sonori ad onde d’urto e cani d’assalto; oltre due dozzine delle persone che protestavano contro la costruzione dell’oleodotto sono state arrestate. I nativi americani hanno dichiarato l’intenzione di persistere nella protesta pacifica, che per altro va avanti da alcuni mesi, fino a quando una diversa soluzione rispetto al progetto attuale dell’oleodotto non sarà trovata.Tra i candidati alle ultime presidenziali americane, solo il candidato alle primarie del partito democratico Bernie Sanders ha voluto pronunciarsi in merito a quanto sta accadendo, sottolineando che i diritti dei nativi americani non possono essere calpestati ancora una volta. Trascrivo il link del video del discorso per tutti coloro che conoscano la lingua inglese:

Il genocidio coscientemente perpetrato dagli europei che raggiunsero “il nuovo mondo”, e quello indiretto causato dalle nuove malattie che l’uomo bianco portò con sé, causarono oltre 70 milioni di vittime tra gli aborigeni americani. E’ il genocidio di più vaste proporzioni nella storia dell’umanità. La rivolta attuale in Nord Dakota non è certo la prima contro la dominazione bianca tra quelle avvenute nei secoli, sebbene avvenga oggi con modalità differenti. Voglio ricordare brevemente in proposito i fatti che, in altre regioni del Nord America, accaddero nel XVII secolo.

Dopo l’invasione e la conquista del New Mexico da parte di Juan de Onate, le autorità spagnole soggiogarono sistematicamente le popolazioni aborigene dei Pueblo (di varie etnie, Hopi, Zuni, Towa, Keres, Acoma, ecc). Popolazioni da sempre pacifiche, che vivevano in armonia con la natura e con i suoi ritmi, non nomadi bensì stanziali e legate all’agricoltura, in particolare del mais. I nativi nord americani furono forzati ad abbandonare le loro religioni ed a convertirsi al cattolicesimo, i luoghi sacri, le Kivas, furono distrutte insieme ad un grande numero di oggetti sacramentali e rituali, come le Kachina, raffigurazioni di entità sovrasensibili che venivano utilizzate da società iniziatiche. La resistenza agli spagnoli ed ai religiosi cattolici era punita con incarcerazioni, torture di vario genere che arrivavano anche ad amputazioni corporali. Particolarmente efferata fu l’azione condotta contro l’etnia Acoma, in cui furono uccise e messe in schiavitù centinaia di persone, e fu amputato il piede destro a 24 individui.

Dopo tre generazioni di oppressione, nell’estate del 1680, le civiltà aborigene dei Pueblo si rivoltarono: vennero bruciati gli insediamenti coloniali, ed uccisi oltre 400 soldati spagnoli nonché 21 dei 33 francescani presenti nella regione, mentre centinaia di altre persone furono allontanate fino ad El Paso. La rivolta fu senza dubbio sanguinaria, ma non bisogna dimenticare che con la scusa di cristianizzare dei pagani, si perpetrarono per decenni omicidi, abusi e malvagità, perpetrati con l’insensatezza di una pretesa supremazia culturale, nel tentativo di annichilire le sofisticate religioni native trait d’union delle civiltà aborigene; religioni che sono da sempre basate sulla Trascendenza, origine delle forme e della vita manifesta e chiamata differentemente nelle differenti lingue delle varie etnie. Se si può aver confuso i nativi americani per pagani è perché i rituali aborigeni erano difficilmente decifrabili agli occhi europei, e spesso confusi con la “stregoneria”; vi è anche da considerare che taluni rituali erano, ed in qualche caso lo sono ancora oggi, rivolti a tutte quelle forze cosmiche intermedie tra il mondo materiale e quello divino: gli spiriti che risiedono nei venti, nella pioggia, nel fulmine, negli alberi e in verità in tutte le cose, essendo il mondo intero teofania. In questo senso la religione era un modo di vivere, che penetrava ogni attività quotidiana, oltre ad essere un insieme di riti in concomitanza con particolari eventi annuali, un ordinario orientamento al Sacro nel quale si riconosceva il rispetto dovuto alla natura madre, ed in cui gli anziani erano i depositari della sapienza senza tempo delle tradizioni autoctone.

La rivolta dei Pueblo durò fino al 1692 e quando la dominazione europea fu imposta nuovamente con la forza, l’autorità spagnola decise di agire diversamente, con tolleranza verso le religioni indigene in cambio dei tributi sui raccolti e sulla manifattura.

Ma quale tolleranza e comprensione ha davvero mostrato nei secoli l’uomo europeo nel “nuovo mondo”, modificando incessantemente e sfruttando le risorse naturali, desacralizzando il creato per piegarlo  al profitto ed all’avarizia, fino ad arrivare alla suggestione, che in misure differenti tutti noi subiamo, dei nuovi “bisogni” della società consumistica moderna?

Madame Janus

Ecco: ora sapete qualcosa di più del mondo nel quale viviamo. Chiunque legga questo appello deve copiarlo e spedirlo all’ambasciata degli Stati Uniti d’America insieme con la sua protesta.