Minima Cardiniana 151

Domenica 4 dicembre – II Domenica d’Avvento

E ORA?

Ovviamente, non posso far la politica dello struzzo. Nella mia nota di domenica scorsa, 27.11., avvertivo lealmente quanti seguono il mio blog che oggi non mi sarebbe stato possibile votare, ma ribadivo – sia pure con molte riserve – la mia convinzione che per il paese la vittoria del Sì sarebbe stata date le circostanze la soluzione migliore: diciamo pure, in analogia con le espressioni che si sono usate durante le recenti elezioni statunitensi, che quello sarebbe stato il male minore. Ora, non posso voltarmi dall’altra parte. Di solito, cerco di non ritardare il momento di licenziare il testo dei miei appuntamenti settimanali: le 24 della domenica.
La vittoria del No è netta: arrotondando, parrebbe (scrivo “a caldo”, mentre ancora stanno arrivando le notizie) 60% versus 40%, spiccioli a parte. Fulminee le reazioni. Salvini: Renzi a casa. Brunetta: abbiamo sconfitto il rischio di una dittatura. Grillo: è partito il trenino. De Magistris: Renzi stalker autoritario è stato respinto. Meloni (finalmente due parole che somigliano alla politica): Messaggio per Mattarella, basta governicchi. Un twitter comunque di Renzi, a mezzanotte, ringraziava tutti con un “Viva l’Italia!” e un “arrivo, arrivo…”. Poi ha parlato Riccardo Nencini, segretario del partito Socialista: politico “di lungo corso” e alleato autorevole di Renzi. Nencini, con molta chiarezza, ha auspicato un rapido confronto tra presidente della repubblica e presidente del consiglio. Fuor di metafora e fuori dai denti, il governo Renzi è finito. Aveva fatto appello alla “maggioranza silenziosa” del paese, che difatti ha risposto. Anzitutto, ha votato il 70% degli aventi diritto, cioè oltre il 30% (la metà dei Sì) non è andata a votare: un dato che nelle democrazie di una volta sarebbe stato pauroso, e a proposito del quale i “sinceri democratici” hanno esultato come se si trattasse di una grande vittoria (ma l’alibi è sempre pronto: in fondo era un Referendum…il che è vero fino a un certo punto, perché di fatto si trattava piuttosto di un Plebiscito).
Verso la mezzanotte, si stava delineando una specie di assedio “spontaneo” a Palazzo Chigi (persone dell’Unione Sindacale di Base, al grido di “A casa!”, “A casa!”, con tanto di precipitoso intervento delle forze di polizia).
E’ da parte mia evidente che oggi non avrei potuto certo parlare del Vicino Oriente, o della Chiesa, o di storia, o di qualcun altro dei miei temi abituali.
Quasi unanime il commento relativo all’errore del presidente del consiglio: l’aver politicizzato e personalizzato il voto. Difatti, le Breaking News mondiali parlano di “sconfitta di Renzi”. Le destre sembrano aver trovato una loro prima chiave interpretativa in chiave sovranista, sulla base di una suggestione di Marine Le Pen.
Renzi ha poi parlato, annunziando le sue dimissioni: e cominciando col dire che il Referendum è stata comunque una festa della democrazia. Si è detto fiero di un paese che ha saputo scegliere, si è congratulato con i vincitori, quelli del fronte di No, si è assunto tutte le responsabilità della sconfitta, ha ribadito che le intenzioni dei sostenitori del Sì erano buone. “Si può perdere un referendum ma non si deve perdere il referendum”; “Io ho perso…e quando uno perde non può far finta di nulla”; “l’esperienza del mio governo finisce qui”; “avrei voluto tagliare molte poltrone, invece la poltrona che salta è la mia”; “domani salirò al Quirinale dove presenterò al presidente della repubblica le mie dimissioni”. Era teso, ma è stato molto dignitoso e ha detto cose inequivocabili.
Lo hanno immediatamente criticato: hanno detto che si è trattato di un discorso acido e recriminatorio: il che non mi è sembrato. Che ha tentato di scaricare su quelli del No le responsabilità di quanto è accaduto e di quanto accadrà: il che francamente mi sembra lapalissiano, almeno per la seconda parte dell’affermazione. Se è vero – e lo è in gran parte – che questo è stato nella conferma un referendum pro e contro Renzi che egli stesso ha voluto, il risultato è sotto gli occhi di tutti: il 40% degli italiani in un modo o nell’altro gli ha confermato la fiducia, il 60% gli è andato contro. Ma questa non è la verità: questo è solo un fatto: che va interpretato. La realtà è che il quadro si presenta scomposto e frastagliato in modo allarmante. I “renziani”, nel senso di quelli che gli hanno detto in un modo o nell’altro Sì, vanno dagli entusiasti acritici ai fatalisti disperati (quelli che glielo hanno detto per paura delle conseguenze del No). Quanto al fronte “antirenziano”, esso risulta composto, fatto di forze eterogenee e incompatibili fra loro. Hanno puntato sulla sola cosa sulla quale erano d’accordo, e hanno vinto. Quali saranno gli altri obiettivi sui quali riusciranno a trovare una maggioranza interna al loro fronte? E tale maggioranza sarà sempre comunque più forte di quanto resterà in piedi del 40% “renziano”? E sulla base di quali progetti, di quali programmi, di quali obiettivi, di quali scopi potrebbe costituirsi e – diciamo così – governare? E’ quanto vorremmo tanto capire. L’in cauda venenum del discorso d’addio di Renzi era proprio questo: la campanella simbolo dell’autorità di capo di governo ch’egli cederà al suo successore è un “atto dovuto”, ma anche un dono avvelenato. Poi, per lui, si aprirà ben presto un nuovo capitolo: dopo la poltrona di presidente del consiglio dei ministri, dovrà abbandonare anche lo scranno della segreteria del PD. O preverrà i suoi avversari interni rassegnando le dimissioni, o lo costringeranno a rassegnarle sfiduciandolo. Ma sembra che la “base” del PD abbia votato per oltre i tre quarti Sì. E se ce la facesse, e avesse voglia, di restare alla guida del partito? Allora dovrebbe affrontare le elezioni, ormai comunque prossime. Sarebbe in qualche modo “rimandato a ottobre”. E poi? Quella potrebb’essere la sua rivincita. Altrimenti si schiuderebbero altri orizzonti. Un periodo di riflessione? Un “umile e disciplinato” proseguimento di attività politica, come “capocorrente”, ricominciando dall’umiliazione e magari risalendo col tempo la china (oggi pare impossibile: ma chissà…)? Un “ritorno a Pontassieve”, cioè un addio definitivo alla politica, salvo ritorni imprevedibili (e a tutt’oggi improbabili: ma domani l’oggi sarà ieri…) alla Cincinnato? Un deciso e completo “riciclaggio”, che sfruttasse magari le numerose connections allacciate nei suoi Mille Giorni di governo?
Ora, dicono tutti, tocca al “motore di riserva” della repubblica: la parola va al capo dello stato. Qualcuno si chiede se “Mattarella riuscirà a risolvere eccetera”: toppe? Impacchi? Governicchi? Nuovo governo anche solo “per approvare la legge di bilancio”? Via, non scherziamo. E sono chiacchiere anche quelle sulla legge elettorale: Italicum abrogato? Mattarellum modificato? Ritorno al proporzionale? “Non possiamo permetterci vuoti di potere”: e allora?
Il fatto è che non è impossibile la prosecuzione del governo Renzi: è impossibile la prosecuzione di questa legislatura, ed è inutile ricorrere alla Costituzione secondo la quale un governo è legittimo se c’è la maggioranza in parlamento. E’ proprio il parlamento che va cambiato. il dato obiettivamente e formalmente emergente di questo voto (che, pure, come voto politico, è stato un voto contro Renzi) è quello che avevo già segnalato nel Minimum Cardinianum della settimana scorsa: il popolo italiano ha votato, per il 60% dei suoi votanti, PER LA SFIDUCIA ALL’ATTUALE PARLAMENTO. Questo è il dato emergente con durezza e indilazionabile, e non ci sono chiacchiere che tengano, nemmeno quelle sulla legge elettorale o sul bilancio. Se poi molti di centrodestra o di centrosinistra ipotizzavano possibile un No seguito da una prosecuzione di questa legislatura – compresa la presenza in parlamento di quelli che in tale sede hanno votato Sì alla legge poi sottoposta al Referendum e quindi hanno fatto propaganda referendaria per il No (come il buon Bersani) -, si sbagliavano. Intanto, siamo davvero alla “comica finale”: la notizia che Padoan non vada all’Eurogruppo (per una discussione che dovrebbe comunque parlare dell’Italia) è demenziale: un governo anche sconfitto in competizione elettorale resta in carica per l’ordinaria amministrazione, e non ci sono obiezioni sull’eventuale ruolo politico di Padoan che tengano. Certo, ci sono i “tempi tecnici”: si parla di circa otto mesi, il che (agosto escluso) significa l’autunno. Mattarella nominerà un “traghettatore” fino alle elezioni? E’ probabile, anzi, non si vede che cos’altro potrebbe fare. Intanto, si rifarà la legge elettorale. E la farà, con un nuovo presidente del consiglio e un nuovo governo (un governo-ponte) un parlamento sfiduciato dal popolo? A meno che non decida di sciogliere le camere, come sarebbe sua prerogativa e suo dovere in quanto rispetto della volontà obiettivamente espressa dal popolo italiano, cioè dal 60% del 70% degli aventi diritto, la percentuale che ha votato.
Quanto a me, la settimana scorsa avevo avvertito: attenti, la vittoria del No sarebbe stata un salto nel vuoto e nel buio. Spero di aver torto e di venir contraddetto al più presto e nel modo più categorico. Intanto, comunque, isolerei un dato che mi sembra importante. I “populisti” (un termine che francamente non mi ha mai convinto) hanno forse ormai trovato un’etichetta nobilitante e altisonante, che potrebbe far colpo e aver fortuna: qualcuno di loro ha già cominciato a definirsi “sovranista”. Una parola forte, che fa colpo. Ma allora, cari sovranisti, siete tali soltanto per quel che riguarda la sovranità monetaria, quindi contro l’UE? Non volete essere sovranisti davvero, sul serio, a trecentosessanta gradi? Quello sì che sarebbe un “sovranismo per la sovranità”, e ci starei anch’io, a costo di abbandonare almeno per il momento (e con la riserva di recuperarle con maggior energia) le mie vecchie illusioni europeiste, che al momento non hanno alcuna base popolare in alcun paese. Ma “sovranità” significa quattro cose: la “bandiera”, cioè l’autorità politica”; la “toga”, cioè l’autorità giurisdizionale; la “moneta”, cioè l’autorità finanziaria e monetaria; la “spada”, cioè l’autorità militare che sottintende la politica estera. Cominciamo da quest’ultima: qui c’è uno scoglio, l’occupazione militare USA-NATO del paese. Qui come la mettiamo, amici sovranisti? Un’altra bella prova di politica dello struzzo? FC