Minima Cardiniana 182/2

DOMENICA 1 OTTOBRE 2017 – Santa Teresa di Gesù

I DOMENICA DI OTTOBRE, DEDICATA A NOSTRA SIGNORA DEL ROSARIO

GESU’, LA FALCE, IL MARTELLO

Si è svolto nei giorni scorsi a Firenze, con straordinario e fortunato dispiegamento di mezzi e con gran concorso di pubblico, il Festival delle Religioni al quale ha preso parte lo stesso Dalai Lama. L’atmosfera era quella dell’incontro ecumenico, dell’abbraccio tra poteri politici e società civile, del dialogo tra le religioni e il resto del mondo, atei e agnostici compresi: non a caso, tra gli ospiti illustri, figuravano Odifreddi e Sgarbi oltre a prestigiosi intellettuali e studiosi con un passato “di sinistra” che hanno adesso scoperto (e non possiamo se non rallegrarcene) i valori dello spirito.

Molti mi hanno scritto o telefonato, meravigliandosi di non avermi trovato tra i relatori di quel prestigioso evento. Ho loro risposto con un liturgico Domine non sum dignus: non mi stimavo né mi stimo  culturalmente all’altezza di figurare in un tanto prestigioso parquet.

Ma, dal momento che tra gli organizzatori dell’evento v’erano anche miei conoscenti ed amici, persone addirittura che in altre circostanze mi hanno talora chiesto parere ed appoggio per questioni di loro interesse, aggiungo che ben opportunamente essi hanno scelto in questa circostanza di tenermi alla larga. Non ho in effetti mai amato le manifestazioni di pensiero maggioritario e di politically correct: quel meraviglioso dispiegarsi di buone intenzioni sullo sfondo prestigioso di un accordo cosmico verso il quale convergono tutti gli uomini, le donne, le lobbies e le corporations di buona volontà, quel mirabile concerto di virtuosi spiriti, mi mette a disagio. Penso alle gente che continua a sbarcare in Sicilia e altrove, sempre più accolta da ostilità e malevolenza. Penso ai quotidiani raids di aerei delle democratiche potenze occidentali alla guida dei quali stanno bravi ragazzi strapagati che ormai da anni arano i campi e le colline siriane, le gole dell’Afghanistan e le valli dell’Iraq ammazzando degli innocenti senza risolvere il problema del Daesh. Penso alle ultime agghiaccianti statistiche sulla distribuzione della ricchezza nel mondo che ci pongono dinanzi al desolante spettacolo d’una concentrazione mai vista a fronte di un generale impoverimento e del trend di proletarizzazione del ceto medio a livello mondiale, mentre nonostante il maquillage delle cifre percentuali è evidente che sta crescendo la quantità di gente che dall’Africa all’America latina tira avanti al di sotto della soglia economica di sopravvivenza. In tale contesto, far parte del coro di chi nei giorni scorsi ha osannato le mirabili sorti e progressive del dialogo religioso nel mondo, ovviamente smussando gli angoli e addolcendo le contraddizioni, mi avrebbe fatto sentir fuori luogo. Mi dicono che l’anno prossimo i medesimi organizzatori proporranno, come tema generale, l’Islam: mi aspetto di venir ancora una volta, et pour cause, evitato. Aspetterò con serena pazienza che, se e quando avranno ancora bisogno di me come in passato, mi onorino di nuovo quando sembrerà loro opportuno con amichevoli e perfino lusinganti e lusinghiere telefonate.

E ora, peiora canamus. Di recente, un eletto tiaso di autorevoli prelati, di finanzieri in vena di exploits teologici e d’illustri teologi della domenica – poco esperti, forse, nelle distinzioni fra teologia e diritto canonico e in quelle fra dottrina e pastorale – ha perfino fatto circolare un divertente documento nel quale si accusa il papa di un certo numero di eresie. Non sarò certo io, medievista, a  meravigliarmene e tantomeno a scandalizzarmene: lo avevano già fatto i prelati al servizio dell’imperatore Enrico IV nell’XI secolo, e non senza alcune ragioni; lo avevano fatto i regalisti francesi ispirati da Filippo IV il Bello re di Francia nientemeno che contro papa Bonifacio VIII; e nel 1478, in una Firenze sconvolta all’indomani della congiura dei Pazzi, il pio vescovo di Arezzo Gentile Becchi s’immaginava la convocazione di un’immaginaria Florentina synodus in cui il clero cittadino avrebbe condannato Sisto IV, istigatore dei congiurati, come eretico e simoniaco. Ma tutto ciò mi fa riflettere una volta di più sul fatto che ognuno ha le debolezze e le sensibilità che si merita: e, se i musulmani fondamentalisti possono uccidere addirittura nel nome di Dio, certi bravi cattolici non esitano ad attaccare il papa quando si sentono minacciati nei loro interessi di potere o di danaro. Che si bestemmi il Nome di Dio poco male, bisogna esser tolleranti che diamine: ma guai se qualcuno c’insidia il portafogli. Allora ci si appella perfino al concilio di Trento (magari fingendo d’ignorare che poi ce ne sono stati altri…) per accusare il papa di eresia.

Per questo, negli ultimi mesi, mi è capitato di riflettere sempre più a lungo sull’esperienza di papa Francesco e sui valori che essa sottintende. La “rivoluzione della Misericordia” del vecchio gesuita argentino asceso sul soglio di Pietro (sarà lui il Petrus Romanus della Profezia di Malachia?) ha profondamente inciso sulla mia coscienza di cattolico tradizionalista che d’altronde, e non da ieri, denunzia l’insostenibilità, l’intollerabilità e  l’inconciliabilità tra una serena vita personale e collettiva cristiana e l’ignobile spettacolo della miseria, della fame, della sofferenza e dell’ingiustizia nel mondo. Ciò rende urgente, indilazionabile, immediata la questione di un riequilibrio socieconomico del mondo, di una drastica ridistribuzione delle ricchezze. Questa, insieme col tema dell’agonìa di un pianeta soggetto a sfruttamento e a inquinamento intensivo, è la grande questione dei giorni nostri.

Medito su ciò da molti anni. Ho cambiato idea, nell’arco di una sessantina di anni, da quando ero uno studentello iscritto alla “Giovane Italia”, a oggi? Giammai. I miei scritti lo testimoniano. Ero, e resto come allora, Cattolico, socialista ed europeista. E qui continuo a dimostrarlo.

Oggi, grazie anche all’entusiastico sostegno di un amico viareggino, David Nieri, promotore di una piccola casa editrice denominata “La Vela”, ho edito un libretto di articoli e di piccoli saggi (poco più di 200 pagine): una trentina di scritti distribuiti in un arco dal 2004 al 2017. Vi si parla di tre pontefici – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco –, della questione orientale, dei migranti, della Modernità, della crisi “schizofrenica” di una Chiesa lacerata tra istanze di rinnovamento e pericolo di perdita d’identità. Vi si discute di Michael Novak, di Ernesto Balducci, di Lorenzo Milani, di sesso e gender, di Gheddafi, di Fidel Castro, di Andrea Gallo, di turbocapitalismo e di socialismo. Vi si ricorda il vangelo della prima domenica di ottobre (Matteo, 21, 28-32): chi è a fare la volontà del Padre, quello che dice “no” ma poi obbedisce o quello che dice “sì” ma poi se ne frega?  Vi si afferma la giustizia sociale non come esigenza sociopolitica o socioeconomica, ma come necessità spirituale, come realizzazione delle Beatitudini e anticamera del Regno dei Cieli. Il titolo di questo libretto è Gesù, la falce, il martello: ed è ispirato a un episodio riguardante la visita di papa Francesco in Bolivia nel 2015. Non vuole meravigliare, né provocare, né infastidire, né scandalizzare nessuno. E’ solo un invito alla riflessione partendo dal paradosso. Lo facevano anche Socrate e i maestri Zen. Lo faceva anche Gesù. FC