Domenica 7 gennaio – Battesimo del Signore
ESISTE UNA QUESTIONE IRANIANA?
Dal 1979, l’Iran è al centro dell’attenzione internazionale: ma al riguardo le false notizie e i pregiudizi superano di gran lunga la corretta informazione. Eppure, da illustri studiosi come Biancamaria Scarcia Amoretti a giornalisti attenti e informati come Alberto Negri, voci libere e attendibili non mancano. Peccato che molto raramente arrivino ai nostri media, in linea di massima conformisti e non sempre attenti e scrupolosi; e che la nostra diplomazia sia palesemente troppo condizionata dallo schieramento internazionale (la NATO) del quale purtroppo ci troviamo ancora complici e succubi. Al riguardo, ecco alcune osservazioni che mi è capitato di esprimere durante un’intervista con il giornalista Gennaro Grimolizzi del quotidiano “Il Dubbio”, che autorizzo a pubblicare dove, quando e come gli sembrerà più opportuno (fermo restando il diritto di chiunque a diffonderlo):
INTERVISTA AL PROFESSOR FRANCO CARDINI
di Gennaro Grimolizzi
- Professor Cardini, le recenti proteste scoppiate in Iran hanno una regia straniera?
Diffido degli argomenti fondati su qualunque forma di pregiudizio, di complottismo e di “dietrologia”. Ciò premesso, visti anche l’atteggiamento (e gli “argomenti”) della signora Nikki Haley, ambasciatrice degli USA all’ONU (la medesima che, poco diplomaticamente, ha minacciato i membri delle Nazioni Unite in coincidenza con il voto relativo alla questione di Gerusalemme affermando che il suo pase avrebbe tenuto conto del voto di quanti avrebbero espresso un parere diverso da quello da esso auspicato, o il miscuglio di menzogne e di minacce con il quale si esprime di solito un personaggio come il senatore statunitense Tom Cotton (leggere per credere: A foreign policy for “Jacksonian America”, “The Wall Street Journal”, 9-10.12.2017) ritengo altamente probabile che pressioni e strumenti di propaganda sia statunitensi sia israeliani siano intervenuti a condizionare manifestazioni che in origine erano in grandissima parte spontanee, autorizzate dal governo iraniano, del tutto legali e legittime, e che riguardavano sia le condizioni abbastanza dure nelle quali il popolo dell’Iran è obbligato a vivere soprattutto a causa di un irragionevole e iniquo embargo economico che su iniziativa del presidente Obama si stava alleggerendo in attesa di eliminarlo del tutto e che invece l’attuale presidente Trump e il governo israeliano del presidente Nethanyahu pretendono di mantenere e aggravare, sia alcune misure governative di tipo restrittivo rispetto alla libera informazione (alludo anzitutto alla vicenda di social networks quali Instagram (una rete di persone connesse su una piattaforma tra le più stupide che mai si siano viste) o Telegram. Su tali misure di tipo restrittivo, la loro provvisorietà e il loro carattere relativo, si è responsabilmente espresso il 3 gennaio u.s., sulla TV statale iraniana, il ministro iraniano delle comunicazioni Azari Jahromi, precisando che tali organi d’informazione si erano irresponsabilmente dedicati, nelle settimane precedenti, a una istigazione alla violenza che non ha rapporto con la libera espressione del dissenso o del disagio. Nessuno ha finora contestato la veridicità e al correttezza delle dichiarazioni del ministro Jaromi. Ho personalmente chiesto ad alcuni organi di stampa e/o di diffusione telematica di notizie di farlo, e mi è stato risposto con un no comment. Ho chiesto ai responsabili di tale no comment di autorizzarmi a pubblicare i nomi delle loro testate e il carattere delle loro risposte e sono stato formalmente diffidato dal farlo.
- L’ex presidente iraniano Ahmadinejad ha interesse a destabilizzare il suo Paese?
Ahmedinejad ha interesse a guadagnare consensi per contrastare le forze che appoggiano il presidente Rohani e riceve l’appoggio di alcuni membri del “Consiglio dei Savi” ch’è il massimo organo di controllo teologico-giuridico del governo iraniano e della vita politica del paese. Ahmedinejad gode della simpatia – ovviamente implicita e occulta – di personaggi quali Trump e Nethanyahu i quali, auspicando un peggioramento della posizione internazionale dell’Iran nonostante l’equilibrio e l’apertura dimostrate dal presidente Rohani, auspicherebbero un ritorno al potere dei gruppi più estremisti dei quali Ahmedinejad è espressione: in tal modo, le loro calunnie acquisterebbero una più consistente parvenza di veridicità.
- La pressione degli Stati Uniti sull’Iran deriva dall’esigenza di recuperare il terreno perso in Medio Oriente e controbilanciare la presenza russa in quell’area?
Anche. Ma soprattutto serve come argomento di consenso a livello di politica interna: si agita lo spauracchio iraniano per distogliere gli americani dal peggioramento del loro livello medio di vita ed evitare che essi prendano coscienza che ciò deriva non solo, ma anche dal malgoverno al quale sono oggi sottoposti. Va poi tenuto conto che ormai da quasi quarant’anni – vale a dire dal 1979 – l’opinione pubblica statunitense, specie ai livelli socioculturali più bassi, è letteralmente drogata da una propaganda anti-iraniana di pessima qualità e della massima violenza. Più le condizioni di vita della società statunitense si fanno dure, più il debito internazionale minaccia la stabilità della vita socioeconomica del paese, più l’impoverimento cresce, più si fa forte la necessità di parole d’ordine demagogiche, atte a distogliere sia le “maggioranze silenziose”, sia gli schiamazzanti esponenti del “White Trash”, sia gli utenti dei predicatori televisivi del Bible Belt, dai loro veri e pesanti problemi (in un paese dove il Welfare è stato praticamente azzerato). La campagna anti-iraniana è uno strumento ideale di gestione di queste forze socialmente e culturalmente sottoproletarie: le stesse che alla fine del 2002 e all’inizio del 2003 presero per oro colato le dichiarazioni di Powell alle Nazioni Unite sulla detenzione da parte del regime irakeno di Saddam Hussein delle famose “armi di distruzione di massa” inventate, come si è saputo per confessione dello stesso Tony Blair, dai governi statunitense e britannico del tempo. I risultati si sono visti. Va ricordato che, allora, in quella trappola mediatica caddero anche il nostro governo e i nostri ornai d’informazione. Denunziai a suo tempo al cosa nei due libri La paura e l’arroganza e Astrea e i Titani, entrambi editi nientemeno che da Laterza e la diffusione dei quali fu ostacolata da iniziative prese in alto loco e nemmeno troppo ufficiose o prudenti. Questa è la situazione della nostra effettiva e concreta libertà, nel “libero Occidente”. A questo punto è la notte.
- L’immagine della giovane iraniana che si toglie l’hijab, come segno di sfida, ha fatto il giro del mondo. Si vuole far passare l’idea di uno Stato retrogrado ed oppressivo. È l’immagine corretta dell’Iran del moderato Rohani?
Nemmeno per sogno. Nessuno nega che la repubblica islamica dell’Iran sia un paese nel quale sussistono gravi elementi di limitazione delle libertà individuali e di violazione dei “diritti dell’uomo”. In questo senso i risultati e in molti casi le istituzioni residuali del “momento rivoluzionario” vissuto dopo il 1979 sono ancora pesanti e l’azione delle forze che si rifanno a Kathami e a Rohani non è ancora riuscita a giungere a un livello di sufficiente accettabilità. Ma i progressi fatti in materia sono molti, nonostante la persistenza di un uso pesante della detenzione e della condanna capitale e anche i molti casi segnalati di tortura. Da notare comunque che tale situazione è purtroppo comune a molti altri paesi, a proposito dei quali invece i media internazionale tacciono. Per non parlare di autentiche “vergogne democratiche”, ormai comunemente accettate a cuor leggero. L’istituzionalizzazione di vergogne come il carcere di Guantanamo o il “muro” tra Israele e i territori palestinesi, con tutto il relativo apparato repressivo (per tacere i molti paesi dove l’oppressione e la violenza sono quotidiani, ma i governi dei quali – dall’America latina all’Africa all’Asia – sono schierati “dalla parte giusta”), sono accettati ormai come un dato normale e naturale. Che credibilità ha chi accetta tutto ciò quando poi protesta contro le violenze in Iran?
Quanto all’Iran e alla Sua domanda, mi consenta quattro precisazioni: tre importanti, una secondaria.
Primo: l’Iran ha aderito al programma di non-proliferazione del nucleare militare, come tutti i paesi del mondo esclusi India, Pakistan e Israele, e durante il recente meeting di Vienna il presidente Rohani, assumendosi la responsabilità di una decisione impopolare nel suo paese che l’ha giudicata poco dignitosa, ha autorizzato l’Agenzia Internazionale di Controllo Antinucleare (AIEA) a qualunque tipo d’ispezione su qualunque installazione nucleare del suo paese: nonostante ciò, l’embargo è rimasto (da notare che, avendo aderito al programma di non proliferazione, l’Iran ha diritto di sviluppare come gli altri paesi un programma di sviluppo del nucleare a scopi civili e pacifici.
Secondo: si continua a dire che l’Iran “vuole la distruzione d’Israele”: il che, a livello di opinione pubblica, s’intende nel senso che esso auspichi lo scioglimento dello stato ebraico e magari la soppressione o la cacciata dal territorio che adesso occupa di oltre sei milioni di cittadini israeliani ebrei. Le cose non stanno così. L’Iran non riconosce lo stato d’Israele in quanto non ne riconosce la legittimità sino dalla fondazione nel 1948: ne chiede quindi l’isolamento da parte dell’ONU e l’attuazione di misure internazionali atte al ritorno alla legalità. Si tratta di una posizione ormai priva di rapporti con la realtà obiettiva: relativamente a ciò è auspicabile un mutamento radicale di atteggiamento, che prenda atto della realtà delle cose e accetti di contribuire a fondare un futuro internazionale più pacifico e sicuro sulla base del pieno ed esplicito riconoscimento del diritto di esistenza d’Israele e dell’attuazione dei mezzi internazionali atti a consentire che lo stato ebraico permetta a sua volta una libera e piena espressione civile e politica della vita dei cittadini palestinesi (oltre tre milioni) e dei residenti non-ebrei della città di Gerusalemme. Per tutto ciò i “rapporti bilaterali” israeliano-palestinesi, come vorrebbe il governo Nethanyahu, si sono rivelati inefficaci se non inesistenti: è necessaria la mediazione internazionale, come per lo statuto della città di Gerusalemme. E’ la posizione del Vaticano, che ritengo corretta.
Terzo: l’Iran non è un paese a struttura civile totalitaria, non è monopartitico, vi esiste una larga libertà d’informazione attiva e passiva e la stampa è diffusissima (anche perché si tratta di uno dei paesi a densità d’istruzione elevata più alta al mondo, insieme con Cuba). In pratica, si tratta di un paese che ricorda molto la vita dell’Unione Sovietica nel periodo precedente alla dittatura stalinista: un sistema di “consigli” professionali retto da un organo di controllo ideologicamente forte e autorevole, ma tutt’altro che caratterizzato da quei caratteri che abitualmente si riscontrano nei cosiddetti sistemi totalitari. La discussione politica e culturale vi è intensa e vivissima, salvo alcuni limiti a carattere teologico-etico.
Quarto: a proposito del più popolare di essi, la copertura totale del corpo femminile salvo il volto, le mani e i piedi (il chador; non il hijab, che invece è un semplice velo o foulard che copre capelli e collo e che è in crescente diffusione nel mondo musulmano anche nei paesi occidentali). Si tratta di un simbolo della rivoluzione islamica: va notato che l’Iran è un paese formalmente “confessionale”, caratterizzato cioè da una religione che viene considerata il fondamento anche civile e culturale della vita associativa, esattamente come Israele: anche se, tanto in Israele quanto in Iran, gli altri culti religiosi che non contrastano la legge sono ammessi e anche rappresentati nelle assemblee legislative
- Sorprende ancora una volta la posizione poco decisa, quasi assente, sull’Iran da parte dell’Europa…
L’Unione Europea non è un’organizzazione politica, bensì economico-finanziario-tecnologica di coordinamento dei governi che ad essa hanno aderito. Sul piano politico, pur essendo irrilevante e in pratica illegittimo il parere dei suoi organi su qualunque tipo di argomento, tali organi agiscono de facto secondo un sistematico asservimento agli USA e alla NATO, organismo quest’ultimo politico-militare de facto egemonizzato dagli USA, la linea strategica del quale risulta incontrollabile da qualunque forza politica internazionale e l’affiliazione al quale è assurdamente obbligatoria per tutti i paesi aderenti all’ONU. Da ciò derivano due verità: primo, l’UE sta diventando un organismo di pressione economico-finanziaria in mano a privati (anche la banca che emette l’euro è privata) che dev’essere ridimensionato e riformato se non dissolto tout court, mentre quel ch’è necessario è la costruzione di un’autentica unità politica, federale o confederale che sia, di tutti i paesi europei che saranno d’accordo di cedere una parte della sovranità dei loro rispettivi governi a un organo superiore, appunto, di tipo federale o confederale. Per la costruzione di tale necessario soggetto politico internazionale, anni fa – quando venne fondata l’UE – eravamo all’Anno Zero; oggi siamo Sottozero, in quanto per troppi anni troppa gente ha pensato che l’UE fosse appunto, o si apprestasse a divenire, quella Grande Patria Comune Europea di cui abbiamo bisogno, nella quale molti di noi hanno creduto e sperato, e della quale ancora non c’è traccia. Stando così le cose, l’UE più che inutile è un intralcio alla vita dell’Europa e, quanto alla NATO, è uno strumento di tirannia internazionale da abbandonare al più presto (anche se sarebbe meglio abolirla: ma purtroppo ciò è al di là delle nostre forze e possibilità).
- Nella crisi in Siria possiamo definire il presidente russo Putin il vero vincitore?
Diciamo che l’azione equilibratrice di Putin è stata saggia, opportuna, sostanzialmente corretta anche se egli, a capo di un paese che è tornato ad essere una grande potenza internazionale, mira soprattutto com’è suo diritto e dovere agli interessi di esso.
- L’Isis continua ad essere una minaccia per il “progredito” e “saggio” Occidente?
I finanziatori e i “patroni/padrini” dell’ISIS l’hanno ormai abbandonata a se stessa: avrebbe dovuto destabilizzare il Vicino Oriente fino a disintegrare Siria e Iraq riducendoli, da “stati nazionali”, a una costellazione di “stati etno-religiosi”, ma ha fallito. Ora gli ex gestori dell’ISIS, che probabilmente continuerà a vivacchiare o si disintegrerà in un numero imprecisabile di cellule terroristiche più o meno autonome, stanno portando avanti con altri mezzi quello ch’è ormai da quarant’anni almeno, ma più intensamente dall’inizio del secolo e più intensamente ancora dalle cosiddette “primavere arabe”, il loro scopo: la fitna sunnita, voluta e portata avanti dai gruppi salafiti e wahhabiti, cioè la lotta politico-civile tendente a lottare con ogni mezzo possibile contro le comunità sciite. Purtroppo l’attuale governo israeliano è convinto che tale fitna sia utile alla sicurezza d’Israele e tende ad appoggiarla a livello internazionale. E’ auspicabile che la parte migliore della società israeliana, che esiste e che sta facendo un lavoro ammirevole, guadagni la maggioranza politica nel paese; com’è auspicabile che la società ebraica “della diaspora” receda del tutto – come in molti dei suoi ambienti sta facendo – da un atteggiamento di appoggio a qualunque posizione o mossa del governo attuale d’Israele, che non è il migliore dei governi israeliani possibili.
Quanto al “terrorismo islamico”, come a qualunque altra forma di terrorismo: è evidente che si tratta di qualcosa di assolutamente condannabile e di molto pericoloso. Ma è anche evidente ch’è a sua volta un effetto, non una causa. Effetto dell’ignoranza e del fanatismo, surrogati della coscienza etica e civica e della cultura, ma il cui dilagare è anche (non solo), da noi in Occidente, l’esito di una lunga diseducazione fondata sulla ricerca della felicità individuale attraverso l’arbitrio e dell’abbondanza dei beni di consumo. E’ il materialismo della “società del benessere” e dei suoi falsi miti che, causando nihilismo interiore e dunque disperazione, porta alcuni (specie giovani) all’abulìa esistenziale con tutti i suoi risultati (dalla ricerca dei “paradisi artificiali” all’analfabetismo pratico), mentre altri scelgono la via della violenza indiscriminata, a sua volta falsamente “redentrice”. Se non si reagisce seriamente e coscientemente al fallimento della “società del benessere” e “dei consumi”, se non ci si ribella alla tirannia dei detentori internazionali della finanza e della produzione dei beni, se ci si ostina a non vedere come questa società sia fondata anzitutto sul cinismo e l’edonismo dei pochi e sull’impoverimento morale e culturale delle multitudini e a reagire al dominio internazionale delle lobbies della finanza e della produzione die beni che, riducendo la politica a parvenza di governo gestito da “comitati d’affari” e a Chief Executive Officiers delle lobbies stesse, siamo condannati.