Minima Cardiniana 199/2

Domenica 4 febbraio – San Gilberto

ASPETTANDO IL 4 MARZO

E ADESSO, POVER’UOMO?

Prendo a prestito il titolo interrogante di un’opera di Hans Fallada per presentare la mia personale situazione alla vigilia del 4 marzo 2018.

Chi segue abitualmente queste pagine sa che mi sono impegnato a fianco degli Amici della “Lista del Popolo”, pur avendo chiarito subito che non mi sarei comunque presentato come candidato. Ho ricevuto in queste settimane alcune sollecitazioni a candidarmi in altre formazioni: alcune di esse erano, o avrebbero potuto essere, interessanti dal punto di vista delle prospettive elettorali. Ma io sono all’antica, ho una parola sola: ho cortesemente declinato quegli inviti in quanto mi ero impegnato appunto con la “Lista del Popolo”. A sostenere il suo programma e la sua battaglia. 

Ho acquisito però in queste settimane la crescente sicurezza che la “Lista del Popolo” non ce l’avrebbe fatta a presentarsi (anche se mi dicono che in qualche collegio ci è riuscita): ma ciò non mi ha minimamente dissuaso dalla necessità di combattere la “buona battaglia” del suo programma, da trasformare in progetto politico. Il 4 marzo, a mio avviso, non era, non è, non sarà un punto d’arrivo (e lì il non certo casuale ma in cambio corale e impenetrabile silenzio dei media ha posto a tacere una formazione dalle scarse risorse, principalmente frutto di autofinanziamento), bensì un punto di partenza. Come una volta si diceva, ce n’était qu’un début – continuons le combat. Se poi la situazione in futuro cambierà, se sorgeranno altri credibili soggetti politici, se qualche leader si rivelerà credibile, ben vengano le novità. Arrivederci a fra qualche mese, alla prossima competizione elettorale (a meno che da questa non esca l’inciucio neocentrista o un altro improbabile e imprevedibile inciucio pentastellato in grado di sopravvivere un po’, cosa delle quale personalmente dubito).

Non andrò nemmeno io a votare. Il 4 marzo sarò all’estero, in una condizione che mi renderà impossibile esercitare il mio diritto. Al quale non m’interessa granché rinunziare. Il fatto è che fin da ragazzo sono stato allevato nel principio che il votare fosse anzitutto e soprattutto un dovere. Non nascondo che ciò mi crea uno spiacevole disagio. Ai diritti si può anche rinunziare, ma i doveri vanno assolti.

Frattanto, non ci dimentichiamo a che punto è la notte. Si veda al paragrafo successivo.

L’ABOMINAZIONE DELLA DESOLAZIONE

L’incontro dei “padroni del mondo” tenutosi alla fine di gennaio a Davos in Svizzera e  intitolato pomposamente “Quarantottesima Edizione del Meeting World Economic Forum”, ha visto sfilare ben 3000 invitati – in pratica quasi tutti i potenti della terra o i loro immediati vicari, collaboratori e prestanome -, cui hanno fatto degna corona alcuni che si erano “autoinvitati a pagamento” (parecchi migliaia di euri a testa) per godere della bella festa e fingere di esserne a loro volta parte effettiva.

Abbiamo assistito così alla sfilata del club della globalizzazione capitalista al suo top: amministratori delegati delle multinazionali, speculatori finanziari, grandi banchieri, autorevoli imprenditori, stretti tutti intorno al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, alla  WTO (World Trade Organization), alla NATO – ciascuno con i loro altri dirigenti – e ai rappresentanti di una quantità di soggetti funzionali a tali organismi. Purtroppo c’era anche il presidente dell’ONU, peraltro ovviamente in rappresentanza del sodalizio che egli presiede, l’unione dei “comitati d’affari” che appunto da FMI, da BM, da WTO & Co. dipendono. Si è parlato di “futuro condiviso in un mondo fratturato”: vale a dire, fuor di metafora, prosecuzione del “libero mercato” nel nome del profitto e sviluppo che continui a “garantire la crescita” calpestando la solidarietà e umiliando il lavoro. Nella pratica, il trionfo del trumpismo da noi prontamente fatto proprio dai neocentristi: tagli ulteriori della spesa pubblica (la prima vittima è e sarà la sanità), riduzione delle tasse ai capitalisti, sistematico impoverimento dei ceti medi, concentrazione della ricchezza (sempre meno arciricchi, sempre più ricchi e sempre più poveri: con qualche dato statistico truccato sulla “diminuzione dei poverissimi”, quelli sotto la fascia dei due euri al giorno pro capite). Ricette vecchie e pervicaci. Rubare ai poveri per dare ai ricchi.

Ci si meraviglia se aumenta la schiera di quelli che guardano con crescente simpatìa alla “Convenzione di Shanghai”?

NUDI ALLA MÈTA, CIOE’ DISINFORMATI ALLE ELEZIONI

Non ci fosse altro motivo per essere pessimisti sull’esito delle elezioni del 4 marzo, a parte l’altissimo numero di chi a votare non andrà (un indice difficile a leggersi, ma alla base del quale c’è un cocktail micidiale di disinteresse, mancanza di senso civico, protesta e cinismo), ci sono i dati statistici a proposito della disinformazione. La maggior parte degli italiani non sa in che mondo vive.

Diffido della statistica, scienza della quale bene ha parlato il grande Trilussa (la scienza secondo la quale se io mangio un pollo intero e tu nulla, abbiamo mangiato mezzo pollo a testa). Prendiamo la xenofobia appoggiata alla convinzione che i migranti ci stiano invadendo e che questa sia una delle cause di un generale impoverimento dei ceti medi e di quelli più fragili che, in realtà, si fonda sul trasferimento di reddito dai rapporti di lavoro a quelli finanziari. E’ logico che così si fomenti la guerra dei semipoveri contro i poveri mentre prospera lo strapotere della finanza sulla politica e impazza il mercato senza regole: con i risultati – ben noti e denunziati da personaggi non certo “di sinistra”, come Jospeh Stieglitz – della recessione e dell’allargarsi dei milioni di persone che stanno sotto la soglia della povertà, realtà negata da statistiche truccate (come quelle secondo la quale la disoccupazione è diminuita perché uno che trova un lavoretto precario di tre mesi a due ore al giorno e pagato una miseria è considerato dai “competenti” uffici non più disoccupato).

Il tanto tragico da apparire quasi comico è che, intanto, altre statistiche – serie e sicure, quelle – vengono nascoste dai media e ignorate dall’opinione pubblica. Il “trentesimo rapporto Eurispes”, pubblicato il 30 gennaio scorso, rivela che più la metà degli italiani (stando ai campioni intervistati, naturalmente) ignora la realtà sulla presenza quantitativa dei migranti nel nostro paese e porge quindi orecchio alla propaganda xenofoba. Non dovrebbero essere sistematicamente informati? I comunicati in TV della presidenza del consiglio, che sovente sono nei casi migliori superflui, non potrebbero fornire questi dati?

Comunque le cifre sicure che conosciamo (o che dovremmo conoscere) parlano di circa 5 milioni di stranieri residenti in Italia sulla base della legittima regolarità; se vi aggiungiamo quelli che secondo la “Bossi-Fini” sono clandestini, non più di 800.000, arriviamo al massimo (arrotondando per eccesso) a 6 milioni: meno del 10% della popolazione italiana totale. Quanto alle immigrazioni, anche a causa delle misure restrittive dell’attuale Ministero degli Affari interni, nell’ultimo decennio esse si sono ridotte di oltre il 40%: da più di 50.000 nel 2007 e circa 30.000 nel 2016.

Ma gli interrogati dall’Eurispes danno i numeri: il 25% di loro sostiene che ormai anche il 25% o addirittura il 30% dei residenti nella penisola sarebbe fatto di stranieri: quindi non già 6 milioni al massimo, bensì circa 12 milioni e mezzo se non addirittura 21. Sono meno di un terzo gli interpellati i quali danno risposte più plausibili. Che gli stranieri di religione musulmana presenti in Italia siano circa il 3% è ignoto alla maggioranza; idem per i migranti d’origine africana, in realtà nemmeno il 2% rispetto alla popolazione dei residenti. Quanto ai richiedenti asilo, il dato più recente per ora a disposizione, quello del 2016, parla di 123.600 richieste d’asilo, respinte per il 60%. Combinato con l’avanzare del concentramento della ricchezza e dell’impoverirsi progressivo dei ceti più fragili, il risultato è agghiacciante: siamo un paese nel quale i penultimi odiano gli ultimi. Questa disinformazione, quest’ignoranza, influiranno pesantemente sul risultato delle elezioni.

Tutto ciò risulta, in estrema sintesi dal “Rapporto Diritti Globali 2017” curato da Sergio Segio, dal quale emerge che l’Italia è il paese nel quale il tasso d’ignoranza della reale situazione a proposito dei migranti è il più alto d’Europa.

FB