Domenica 15 aprile – Sant’Annibale
A PROPOSITO DI PUNTALITA’
Carissimi tutti,
amerei sinceramente pubblicare queste note ogni domenica sera, al massimo il lunedì di buon mattino. Ciò non è sempre possibile. Nella fattispecie, ho voluto aspettare tutta la mattinata di lunedì 16.1., dovendo parlare delle questioni della formazione del prossimo governo e della faccenda siriana, in attesa di qualche ulteriore notizia. Dal momento che fino a questo momento niente di nuovo sembra affacciarsi all’orizzonte (e ringrazio l’amico Alessandro Bedini per avermi aiutato a raccogliere le notizie a tutt’ora più aggiornate), mi decido: la regola che mi sono posto è di non tollerare per questa rubrica un ritardo che vada oltre la mezza giornata. Scusatemi e buona lettura – FC
EFFEMERIDI DELLA SOPRAFFAZIONE
DOVEROSO OMAGGIO A UN POLITICO “AVVERSARIO”
Anzitutto, lasciatemelo dire. E non lo dico volentieri. Ma l’onestà intellettuale va avanti a tutto.
Un sincero “Bravo!” a Matteo Salvini. Il personaggio, in fondo, mi è sempre stato umanamente simpatico: lo consideravo un bravo ragazzo che si era trovato leader per caso e senza preparazione a capo di un partito e che – secondo gli insegnamenti già impartiti alcuni lustri fa dal fondatore di esso – aveva deciso che “far politica è sempre meglio che lavorare”. Tuttavia molte cose che diceva (e che magari continua a dire: per quanto mi sembra che anche a quel proposito abbia, se non cambiato musica, quanto meno smorzato i toni), ad esempio sui migranti e sul papa – “Che se li porti lui in Vaticano!…” –, non mi piacevano e continuano a non piacermi. Per quanto io sia e continui ad essere un “cane sciolto” (mi piacerebbe tanto allinearmi: ma il mio partito cattolico, socialista ed europeista purtroppo non esiste), consideravo Matteo Salvini come un “avversario”: senza rancore e senza nulla di personale.
Ma ora che egli si sente (e potrebb’essere in effetti) a un passo dalla premiership, a parte la prova di responsabile correttezza che ha fornito mettendosi per così dire “al servizio degli eventi” e rinunziando al ruolo che potrebbe spettargli quanto meno all’interno della coalizione di centrodestra pur di dar presto un governo al paese, nelle ultime ore si è forse definitivamente (e non solo per quest’occasione, ma anche per chissà quanto tempo in futuro) giocato la carriera politica. Lo ha fatto nel nome di quel che gli sembra giusto (e tale sembra anche a me), per il bene del paese e del mondo intero.
Salvini ha denunziato con chiarezza e con forza l’infamia della prosecuzione dell’embargo alla Russia contro gli stessi interessi del nostro paese, giustificato solo dalla subordinazione cieca e vigliacca ai diktat di quella che resta formalmente ancora la prima superpotenza del mondo e al suo impresentabile leader. Egli, quasi solo (con un mezzo appoggio di Giorgia Meloni e un terzo circa di più fumoso sostegno da parte del Cavaliere dalla Maschera Chirurgica dell’Attore di Teatro Kabuki), ha dichiarato senza mezzi termini che l’attacco americo-anglo-francese del 14 aprile scorso ai presunti centri di produzione e/o stoccaggio di armi chimiche siriane è stata un’inqualificabile aggressione a uno stato sovrano membro dell’ONU e un’offesa al diritto internazionale: al contrario di Macron, il quale continua a nascondersi dietro una risoluzione delle Nazioni Unite che proibisce l’uso di quel tipo di armi, ma continua a “trascurare” (?!) che l’aggressione dei governativi siriani a Duma con il relativo uso di gas asfissianti è cosa tutt’altro che certa e che, al contrario, forte è il dubbio che si sia trattato di una provocatoria messinscena seguita da un raid che ha impedito alla commisssione dell’ONU a ciò preposta, la quale era sul punto di cominciare il suo lavoro, di appurare appunto quanto di vero ci fosse in quella faccenda.
A Salvini va un’esplicita lode da parte di tutte le persone libere e oneste, al di là di qualunque steccato politico. Mi duole di non poter dire lo stesso del povero Martina, il quale continua a recitare le sue giaculatorie sulla “fedeltà alle alleanze” (vale a dire sul perpetuarsi della sudditanza della politica italiana ed europea alla politica statunitense e al grottesco ma iniquo fantasma della NATO, che avrebbe dovuto dissolversi con la fine del “pericolo” sovietico” e che, nell’ultimo quarto di secolo, ha accumulato un’infamia dietro l’altra, compromettendoci agli occhi del mondo e trascinandoci nelle sue inqualificabili avventure (Balcani, Iraq, Afghanistan, poi ancora Iraq, quindi Libia, e poi Siria, infine falsa guerra contro il Daesh pretestuosamente e ridicolmente richiamata in causa perfino ieri da Macron per giustificare il raid del 14 aprile diretto proprio a colpire chi, invece, la guerra al Daesh in questi anni l’ha fatta davvero). Mi duole di non poter associare alla lode cui Salvini ha diritto anche l’amico Gentiloni, che continua a snocciolare a mezza voce – forse perché se ne vergogna: e ha ragione a vergognarsene – le sue accuse alla Siria e le sue dichiarazioni di impotentia regendi determinate dal fatto (vero) che lui è il capo di un governo “uscente” che può far solo amministrazione ordinaria (e senza dubbio la complicità in una guerra d’aggressione non lo è). Ma attenti, cari caporal furieri, perché fornire a un “potente alleato” aggressore basi aeree e assistenza logistica non è ordinaria amministrazione; è quel tipo di complicità per il quale dopo il 1945 si è coniato una definizione infamante: collaborazionismo. Il giorno che (quod Deus avertat) qualche missile russo piovesse su Sigonella o su qualche altra delle decine di basi USA e NATO che noialtri ospitiamo dal veneto alla Sardegna alla Toscana, cari furbetti del trattatino d’alleanza, non andate in giro a lamentarvi che voi non sapevate e non c’entravate; e ricordate che, secondo l’aureo detto popolare, “Ladro è chi ruba come chi regge il sacco”.
E’ necessario sottolineare con forza che questa sua scelta di onestà e di libertà sta costando a Salvini – e ve ne accorgerete… – ogni possibilità non solo di diventare premier adesso (per quanto non possa escludere un gesto di doppiezza da parte di chi potrebbe anche affidargli un primo incarico “esplorativo”, al quale elettoralmente parlando egli ha diritto, per assistere poi al suo fallimento e dichiararlo “democraticamente” fuori gioco), ma anche di esserlo nel futuro, a meno che le cose interne e internazionali non mutino in modo epocale. E’ evidente che i nostri padroni d’Oltreatlantico (e anche di qua) puntavano, prima del 4 marzo, a un governo Renzi-Berlusconi. Le urne li hanno sconfitti: a volte perfino le democrazie taroccate servono a qualcosa. Ora, è evidente che si sta puntando a dissolvere l’alleanza di centrodestra: e tutti ne daranno la colpa all’”imprudenza”, all’’”ingenuità” (se non all’”estremismo filorusso”) di Salvini. Ma anche il Berlusca e la Meloni stanno diventando sospetti di troppa tenerezza nei confronti del Cremlino: ed ecco pronto il PD di Martina (e anche quello di Renzi?), il partito che ospita fra l’altro un sacco di persone che, quanto a tenerezza nei confronti del Cremlino, ci sono stati negli anni scorsi illustri maestri. Ma a volte le lancette dell’orologio politico girano molto in fretta. I tempi cambiano, la memoria della gente è per fortuna molto corta e siamo in tanti a tenere famiglia. Di Maio si è già prodotto in riverenze e salamelecchi nei confronti degli americani: peraltro, sembra una sua specialità. Avanti quindi, con la benedizione dell’onnipotente ambasciata statunitense (lo sanno tutti che la vera Farnesina sta in Via Veneto…), verso un asse M5S-PD: e Renzi, che degli “ex grillini” non vuol sentir parlare, farà bene a reallinearsi. L’alibi potrebb’essere proprio questo, l’appoggio da necessariamente fornire alla nuova aggressione “occidentale” nel Vicino Oriente. Camuffato da ovvia, naturale e necessaria “fedeltà” alle alleanze. Tutti o quasi d’accordo, in un bell’arco dall’estrema destra all’estrema sinistra passando per Di Maio.
AGGREDIRE, CALUNNIARE, INTIMIDIRE.
PRASSI E PENSIERO DELLE “DEMOCRAZIE OCCIDENTALI”
Repetita stufant, sed iuvant. Ricapitoliamo un istante – per i distratti, i disinformati, i minacciati da un incipiente Alzheimer, i ciechi che non voglion vedere, i sordi che non voglion sentire e “quelli in malafede, sempre a caccia delle streghe” – la situazione vicino-orientale.
Come ci ha opportunamente ricordato il bravo Maurizio Blondet, che sarà anche un rompiscatole ma di queste cose se ne intende, nel 2009 gli USA volevano far passare un pipeline proveniente dal Qatar per il territorio siriano. Il presidente Assad, che con gli USA era già ai ferri corti per molti motivi, si oppose. Da allora fu deciso che il ruolo di “nuovo Hitler”, lasciato libero dopo la scomparsa di Saddam Hussein, fosse affidato all’esile altissimo medico figlio ed erede del terribile Hafez ma notoriamente ben più mite e ragionevole di lui: complici le “primavere arabe” (sulle quali è ormai concorde parere che sia meglio stendere un velo pietoso), ed auspice quel gran galantuomo di Sarkozy, si avviò da allora la crociata occidentale contro Assad. Il quale però ha capitale in Damasco, esattamente come ce l’aveva poco più di otto secoli fa il grande Saladino, con il quale le crociate non funzionavano nemmeno se a comandarne una c’era Riccardo Cuor di Leone. Per fermare i “crociati” di oggi non è certo necessario il Saladino: il dottor Assad basta e avanza, specie se a spalleggiarlo ci sono russi e iraniani.
Poi, contro Assad si è ordito ogni tipo di trappola, dall’aggressione francese del 2011 sino al Daesh scatenatogli contro dai solerti alleati arabo-sunniti della Casa Bianca e del Pentagono; ma, grazie al fronte russo-siro-irano-curdo (per quanto con i curdi poi, soprattutto per colpa dell’ambiguo Erdogan, si sia sbagliato tutto), Daesh è stato quasi sconfitto. Eppure, tutte le forme d’aggressione della banda guidata da Washington (e adesso anche da Macron e, a rimorchio, dalla May in ciò erede di Cameron) nei confronti della Siria sono state messe a punto nel nome della “lotta contro Daesh”. Misteri della politica.
Ora eccoci di nuovo al dunque, dopo la dissennata (ma per fortuna poco efficace) aggressione del 14 notte. Però c’è la Provvidenza. Ogni tanto, perfino Mamma RAI ci offre buoni servigi. E’ un vero peccato (anche se non è affatto strano…) che i media non abbiano ripreso con sufficiente attenzione l’intervento nel programma “Omnibus” di ieri mattina 14 aprile del generale Leonardo Tricarico (già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e Presidente dell’Unità di Crisi) sui fatti siriani. A suo ponderato e competente avviso, in questi sette anni di guerra civile in Siria mai le forze armate di Assad hanno fatto uso di gas: si è sempre trattato di messe in scena o di azioni delle forze ribelli che, dopo palesi sconfitte, hanno cercato (talora riuscendovi) di provocare interventi militari da parte degli occidentali. L’azione franco-anglo-americana dell’altra notte è stata – secondo Tricarico – una “sceneggiata” senza significative conseguenze sul piano militare: più che altro un atto rivolto all’opinione pubblica interna, ma che sul piano internazionale appare come una manifestazione di debolezza perché non collocato in una qualche strategia di lungo periodo. Inoltre, i russi hanno facilmente ironizzato sull’impresa dichiarando che nessun missile occidentale è entrato nell’area da essi controllata: sono bastate le difese antimissilistiche siriane (vecchie di trenta anni) per abbattere un terzo dei missili in arrivo.
All’obiezione un po’ preoccupata del conduttore della trasmissione, il quale (anche lui tiene famiglia…) tentava di ridurre quelle parole a una semplice opinione personale, il generale Tricarico ha ribadito che il suo è un rilievo sereno e obiettivo. Ciò è comprovato in primo luogo dalla logica del cui prodest (A Duma i lealisti siriani avevano già vinto quando si sarebbe verificato l’attacco: si è mai visto un esercito vincitore che infierisce con mezzi del genere senza che si renda necessario un attacco risolutivo teso a stroncare una resistenza dura da battere?). In secondo luogo, l’esame obiettivo dei fatti relativi ai precedenti presunti attacchi con gas da parte siriana passati al rigoroso vaglio di una ricerca del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston ha confermato che le accuse formulate nei confronti delle forze di Assad non reggono.
In realtà notizie contrastanti si erano intrecciate, nelle ore che hanno preceduto l’attacco missilistico portato dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dalla Francia contro la Siria, circa il ricorso alle Nazioni Unite per risolvere pacificamente la crisi in corso e per indagare sul presunto utilizzo di armi non convenzionali contro i civili a Duma. Su alcuni giornali e media si è letto dell’opposizione della Russia a un’inchiesta indipendente, in altri si è parlato di un rifiuto americano. Entrambe le notizie sono (almeno parzialmente) corrette. Mosca e Washington hanno fermato i tentativi reciproci in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU di avviare indagini internazionali sugli attacchi con armi chimiche in Siria. La Russia ha posto il veto a un testo statunitense, mentre due risoluzioni di redazione russa non sono riuscite a ottenere il minimo quoziente per passare, corrispondente a nove voti. Il progetto sostenuto da Trump ha ottenuto 12 voti favorevoli, 2 contrari (Bolivia e Russia) e un’astensione (Cina); quello di Putin ha ottenuto 5 voti favorevoli (Bolivia, Cina, Etiopia, Kazakistan e Russia), 4 contrari (Francia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti) e 6 astensioni (Costa d’Avorio, Guinea equatoriale, Quwait, Paesi Bassi, Perù e Svezia). Nel primo caso, la condanna dell’attacco era preliminare all’invio di un team incaricato d’indagare con nuove procedure; altra differenza, secondo la risoluzione russa l’ultima parola sarebbe spettata non agli investigatori, ma al consiglio di sicurezza dell’ONU. Anche una seconda risoluzione russa, che esortava la missione d’inchiesta dell’OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, con base all’Aia) a indagare sull’incidente e offriva protezione militare agli investigatori, non riceveva voti sufficienti per passare.
In realtà, un’inchiesta della stessa Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche stava per partire comunque. La missione dell’OPCW è appena arrivata il 15 in Siria per indagare sull’attacco del 7 scorso al fine di verificare se l’attacco si sia sul serio verificato e individuare l’agente chimico utilizzato; l’OPCW ha annunziato sul suo sito internet l’intenzione di continuare l’indagine nella repubblica araba siriana per accertare i fatti in merito alle accuse di uso di armi chimiche a Duma. Ma tutto è diventato impossibile dopo l’attacco. Perché non si è attesa la conclusione di quella missione? Va ricordato che gli “Elmetti Bianchi”, sempre presenti nei territori controllati dall’ISIS (come finora a Duma, dove le forze governative si avviano solo in questi giorni a riprendere sistematicamente il controllo) e appoggiati economicamente da Stati Uniti e Regno Unito, sono gli unici a sostenere, oggi come in occasioni passate, la tesi della responsabilità di Bashar al-Assad: ma senza aver finora fornito prove delle loro asserzioni.
Che l’attacco missilistico sia comunque stato poco efficace, al di là delle discussioni sull’effettiva riuscita siriana nell’intercettare gli ordigni, è evidente: e gli stessi governi occidentali che vi hanno partecipato si sono affrettati a dichiarare che l’operazione è conclusa e che essi non mirano a un cambio di governo in Siria. Ma allora a che cosa è servita l’azione? È stata solo dimostrativa, a titolo intimidatorio? Ha servito come test per comprendere fino a che punto si può provocare la Russia? O ha piuttosto mirato a impedire l’inchiesta dell’OPCW a Duma nel giustificato timore che essa avrebbe finito con l’accertare che là non v’è stato alcun attacco a base di gas asfissianti?
E’ d’altronde chiaro che, più si rimanda l’indagine, più sarà difficile accertare la verità. L’azione del 14 scorso ha in ultima analisi mirato forse a “inquinare le prove”, rendendo impossibile lavorare su un terreno che l’attacco aveva sconvolto.
Difficile invece pensare a un’operazione di americani ed europei rivolta al “fronte interno” dei paesi occidentali, dove tutti i protagonisti della decisione che ha condotto al raid (Trump, May, Macron) hanno problemi di tenuta politica: né americani, né francesi, né inglesi sembrano particolarmente propensi a una nuova guerra dopo la figuraccia delle terribili armi di distruzione di massa” che non c’erano in Iraq e mentre Sarkozy viene incriminato per i traffici con la Libia di Gheddafi del quale egli determinò poi la deposizione e l’uccisione.
Per avere una risposta ci vorrà forse del tempo. Intanto, però, la Russia ha chiesto una sessione di emergenza del Comitato di Sicurezza delle Nazioni Unite sugli eventi. La soluzione ch’essa ha proposto, approvata solo da Bolivia e Cina, è stata bloccata subito: e molti commentatori hanno ironizzato sulla diplomazia russa: com’è stata possibile quell’ingenuità, andar a buttarsi in bocca a un Comitato dove sono presenti tre potenze dotate di diritto di veto che le sono avversarie su cinque? Ma ingenui sono stati piuttosto i commentatori: il vero scopo di Putin è stato raggiunto, in quanto egli mirava in realtà a coinvolgere nella questione la Cina, finora fedele all’idea di esercitare un soft power, come si dice, attraverso l’economia, senza però farsi coinvolgere in alcun conflitto. Vero è, però, che alcuni esperti militari cinesi addestrano le truppe regolari siriane e che la ricostruzione del paese, adesso che l’ISIS è stato sconfitto grazie allo sforzo congiunto russo-iraniano-siriano-curdo, già vede i capitali cinesi all’opera.
Pechino si è già opposta in passato agli attacchi aerei condotti dagli Stati Uniti contro obiettivi militari siriani e ha chiesto colloqui: e ieri ha aggiunto che l’operazione occidentale ha complicato gli sforzi per trovare una soluzione alla crisi. “Qualsiasi azione militare unilaterale viola la Carta delle Nazioni Unite e i suoi principi, nonché il diritto internazionale e i suoi principi “, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying in un comunicato di sabato pomeriggio. Pechino ha anche richiesto un’indagine “completa, imparziale e obiettiva sui sospetti attacchi chimici” e preteso “che si debbano trarre conclusioni affidabili”. Prima di ciò, “non si dovrebbe arrivare a nessun tipo di conclusione”, ha aggiunto Hua.
Questa è stata la “vendetta” di Putin: questa la sua “ritorsione”, l’escalation che qualcuno temeva e di cui quelli stessi che hanno lanciato il raid del 14 mattina lo accusavano. Una semplice operazione politica: far sapere a Trump e soci che la Cina è, sia pure con la consueta prudenza, al suo fianco. Forse sarà bene che l’Occidente si astenga da ulteriori colpi di testa; e che Germania e Italia perseverino nel manifestare scarso entusiasmo nei confronti di quelli che sono già stati effettuati. I venti di guerra soffiano, certo. Ma, finora, sono venti dell’ovest.