Domenica 6 gennaio 2018. Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo
PER BEN COMINCIARE L’ANNO NUOVO
“Reges tharsis et insule munera offerent, / reges arabum et saba dona adducent; / et adorabunt eum omnes reges terre, / omnes gentes servient ei” (Ps., 71, 10-11).
“Omnes de saba venient / Aurum et thus deferentes, / et laudem domino annuntiantes. / Surge et illuminare, ierusalem! / Quia gloria domini super te orta est ” (Is., 6, 60,1).
“Vidimus stellam eius in oriente; / et venimus cum muneribus adorare domino” (Mt., 2,2).
UN AUGURIO PER IL 2019
ABBIAMO BISOGNO DI BUONI ESEMPI
Buon giorno e buon Anno Nuovo.
Un Amico ha approfittato degli auguri per fare la famosa scoperta dell’acqua calda. Ha scoperto cioè che c’è qualcosa d’inquietante, di quasi sinistro anche in quella che parrebbe la più lieta fra le occupazioni epistolari, fare gli auguri. Gli auguri, in realtà, anche quando non sono di vero proprio “malaugurio”, restano tuttavia quanto meno apotropaici: quel che in realtà implicitamente ti dicono è che ne hai bisogno perché sei in perpetuo pericolo; ti dicono: “Guarda che sei un mortale, sei a rischio; spero per te che tutto ti vada bene, ma non dimenticare che non si sa mai”. E’ proprio così: ricevere gli auguri dovrebbe sempre un po’ sottilmente preoccuparci, anche se di solito, se non altro per non passar da menagramo, è meglio non scriver a nessuno un chiaro e tondo: “Ma ci pensi che quest’anno potrebb’essere anche l’ultimo che trascorri su questa terra!”. D’altronde, lo dicevo anche nel Minimum Cardinianum scorso a proposito dello splendido Gesù bambino del Ghirlandaio, che giace accanto a un sepolcro antico: perfino nel Natale c’è l’ombra della fine, sia pur accompagnata dalla certezza dell’Eternità. Il Signore ha scelto la nudità indifesa per nascere come per morire. Anche in ciò comportandosi da Vero Maestro: si nasce e si muore nudi e soli, tutti. Auguri cari, quindi, amici carissimi: sorridete alla vita; e, a scanso di pericoli, fate tutti gli scongiuri che potete. Sì, anche quelli là, ai quali state pensando. A ogni modo, non conosco uno scongiuro più bello e potente di quello di chi si affida serenamente a Dio. Inshallah,dicono gli arabi: un’espressione magnifica, che alla lettera si traduce in latino con un Fiat Voluntas Domini.
Invece, il nostro presidente della Repubblica – il quale, lo confesso da umile e fedele servitore dello stato, ha tutto il mio rispetto ma non la mia piena simpatìa – ha scelto un modo bellissimo per fare, con il suo esempio, gli auguri a tutti noi: ha concluso il 2018 distribuendo onorificenze a persone “normalissime” che si sono distinte per gesti umanitari, atti di soccorso a deboli e a poveri, insomma per azioni corrispondenti a quelli che una volta si definivano “i buoni sentimenti”, facendo un’impressione patetica. Roba da Cuore di De Amicis, roba da Boy Scouts : il caro vecchietto del Quirinale che concede croci di cavaliere a gente che ha aiutato un paraplegico ad attraversare la strada oppure ha salvato un bambino caduto in acqua. Buone cose di pessimo gusto, in fondo… soprattutto, roba che soprattutto “non fa notizia”. A meno che non sia proprio questa, la notizia: esser caduti così in basso da doversi ridurre a premiare azioni che una volta avrebbero dovuto essere semplicemente doverose, ordinaria amministrazione. Come, magari, difendere una ragazza che viene picchiata per strada o rimproverare un giovinastro che sporca un muro con uno spray. Gesti patetici – si dirà – ma ormai inutili e quasi ridicoli (se ne vedono tante in giro…): e perfino pericolosi, con tutti gli scoppiati a piede libero, magari provvisti di armi proprie o improprie e pronti a reazioni imprevedibili.
Non sarebbe più saggio, in questi casi, girarsi dall’altra parte, far finta di nulla? E seguire l’aurea massima del “farsi i fatti propri”?
Bene: purtroppo è proprio questo il punto. Il modello che ci viene proposto dal Quirinale non è per nulla, obiettivamente, ispirato al solito uggioso “buonismo”. Al contrario: se correttamente inteso, dovrebbe diventare un esempio forte e perfino rivoluzionario.
Riflettiamo. La società individualista e permissiva, che sarebbe ideale in un mondo nel quale tutti facessero il proprio dovere e la solidarietà fosse un valore naturale e spontaneo, si è rivelata come il “sonno della ragione”: ha generato dei mostri. Figuriamoci una situazione – la nostra – in cui tutti predicano in coro libertà, pacifismo e tolleranza, ma nella quale i modelli proposti (dal cinema alle fictions televisive ai media di vario genere) consistono in continui esempi di violenza e di prevaricazione: una situazione che vede sempre più numerosi i liceali che impuniti si atteggiano a bulli e i ragazzini di Scampìa che sognano d’imitare le gesta criminose di padri e fratelli maggiori. In una società in uno stato moralmente precomatoso come la nostra, una rivoluzione salvatrice potrebbe cominciare solo da un rovesciamento dei modelli correnti: cominciare di nuovo a insegnare la solidarietà, la tutela dei più deboli, l’ammirazione per chiunque dimostri che la vera forza consiste nell’aiutare e nel fare del bene anziché nell’esercitare l’arbitrio e la prepotenza. E cominciare di nuovo ad ammirare, a lodare e a premiare chiunque faccia qualcosa di bene e a disprezzare chiunque agisca in modo contrario. Cominciare a farlo da subito, anche attraverso una rivoluzione mediatica che ci abitui a conoscere e ad apprezzare, accanto alla “cronaca nera” quotidiana e magari al suo posto, una “cronaca aurea”. La logica che – al di là dell’ideologia e della demagogia – ispirava nella Russia sovietica la consegna solenne di decorazioni agli “Eroi del Lavoro”. Quella che nell’Occidente del secondo dopoguerra è stata sostituita dagli “eroi del nostro tempo”: nel migliore dei casi gli eroi del profitto, se non addirittura i “furbastri” del cartellino, del quartierino e via delinquendo.
Ma i valori positivi sussistono e nonostante tutto vengono ancora intimamente conosciuti e riconosciuti da tutti: vanno solo fatti oggetto di una nuova visibilità (sfruttando appunto qualcosa che, insieme con il successo, resta ancor oggi oggetto di rispetto e di desiderio); vanno insegnati di nuovo ai giovani e ai giovanissimi, ma debbono altresì essere ricordati e all’occorrenza imposti a chi giovane non è più, ma dimostra di averli disimparati e dimenticati; vanno socialmente e pubblicamente incentivati, imposti alla pubblica ammirazione.
Sono la scuola, la strada, i luoghi pubblici il nuovo fronte nel quale bisogna impegnarsi: sostenendo i coraggiosi e i generosi che danno l’esempio, isolando bullismo e microcriminalità quotidiana. Bisogna cominciare a capire sul serio che l’unico modo per tutelare la propria sicurezza è proprio quello di smettere una buona volta di “farsi i fatti propri”. E farlo tutti; e farlo da subito.
Certo, la dilagante ignoranza non ci aiuta. In un mondo di “analfabeti di ritorno” (molti dei quali laureati), dove si legge sempre meno e sempre di peggio, quelle grandi scuole di virtù tanto personale quanto civica ch’erano non solo gli scritti religiosi quanto la letteratura epica e perfino d’avventura sono ormai venute largamente meno, sostituite da spazzatura horror e “porno” che ormai infesta perfino i videogiochi per ragazzi. La vigilanza dovrebbe cominciare da lì: da una trasvalutazione dei modelli.
In questi giorni sta scoppiando un’interessante polemica sulla traduzione italiana del capolavoro di Tolkien. Ebbene, bisognerebbe cogliere la palla al balzo. Ce l’avremo fatta quando il modello etico de Il Signore degli Anelli avrà battuto alla grande quello di Arancia meccanica: quando sarà di nuovo diffuso e rispettato il principio che fare del bene è bello e che fare del male è solo miserabile. Quando alla rassegnata constatazione “realistica” che homo homini lupus saremo riusciti a sostituire un rivoluzionario homo homini Deus.
FC