Minima Cardiniana 233/2

Domenica 10 febbraio 2019 – V Domenica del Tempo Ordinario – Santa Scolastica

…E INTANTO, MISTER TRUMP NE COMBINA ALTRE DELLE SUE…

Ma Trump, diavolo d’un uomo, non demorde: una ne fa e cento ne pensa. L’11 febbraio scorso, il governo degli USA ha annunziato la sua volontà di uscire dal trattato sulle armi nucleari a medio raggio firmato con l’URSS nel 1987: un trattato che ha permesso di mantenere fino a oggi la sicurezza europea. La reazione di Mosca non si è fatta attendere: stiamo assistendo a una pericolosa ripresa dell’escalation.  

E non è tutto. Il 29 gennaio scorso, in uno stupefacente sfoggio di insubordinazione dei responsabili dell’intelligence americano contro il loro comandante in capo, il direttore della National Intelligence Dan Coats, il direttore della CIA Gina Haspel e il direttore dell’FBI Christopher Wray hanno deriso a turno la politica strategica di Trump davanti alla Commissione sull’Intelligence del Senato. L’occasione era quella della presentazione del rapporto sulla Valutazione della Comunità di Intelligence americana sulla minaccia mondiale nel 2019.

Proprio mentre Trump sta preparando un vertice con Kim Jong-un, i tre hanno sostenuto che il leader nordcoreano non rinuncerà mai alle armi nucleari, che il ritiro dalla Siria non farà che permettere all’Isis di risorgere e di minacciare gli Stati Uniti d’America e che la collaborazione con Russia e Cina rappresenterebbe una minaccia aggressiva contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, dimostrata dall'”interferenza” russa nelle elezioni presidenziali americane del 2016 (non importa se questa non sia mai stata provata).

Trump li ha definiti “ingenui” in un tweet e ha risposto che i rapporti con la Corea del Nord sono “i migliori mai esistiti” e che l’Isis è stato sconfitto. Ha aggiunto che i negoziati in Afghanistan “procedono bene… dopo diciotto anni di combattimenti”. Quando un giornalista gli ha chiesto se avesse fiducia nei consigli di Haspel e Coats, ha risposto bruscamente: “No. Penso di avere ragione e il tempo probabilmente lo dimostrerà”.

Gli avversari di Trump sono immediatamente saltati su tutte le furie, guidati dal sen. Charles Schumer, che ha chiesto ai capi dell’intelligence di “organizzare un intervento” su Trump e “insistere per un incontro immediato allo scopo di istruirlo”. Anche diversi repubblicani, come il whip della maggioranza al Senato John Thune, che ha difeso Coats, e il sen. Mitt Romney, che ha espresso “piena fiducia nella nostra comunità di intelligence“, si sono scagliati contro Trump. Il 31 gennaio, il Washington Post ha scritto che i capi dell’intelligence “hanno lasciato una grave minaccia fuori dalla loro lista: quella di un presidente impantanato nelle proprie illusioni che si rifiuta di ascoltare la verità”.

Dopo aver incontrato i tre, Trump ha sminuito i disaccordi, liquidando gran parte della controversia come operazione dei media. Ma ha affermato chiaramente che non si farà influenzare dalle loro “valutazioni”, reiterando le sue vedute sulla Corea del Nord e sui ritiri da Siria e Afghanistan. Egli ha anche avuto parole di apprezzamento per la Cina, affermando che v’è stato un “progresso tremendo” nei colloqui in tema di commercio e che non vede l’ora di incontrare il Presidente cinese Xi Jinping.

Va da sé che coloro che difendono il “vecchio paradigma” della geopolitica britannica, quella delle guerre infinite e dei cambiamenti di regime, non demordono. Il senato ha espresso 68 voti contro 23 a sfavore del ritiro delle truppe dalla Siria. Si tratta di una risoluzione non vincolante, che però indica la determinazione di chi vuole sconfiggere Trump sabotandone le iniziative.

Tutto ciò mostra che Trump ha colto nel segno quando ha detto che i capi dell’intelligence “dovrebbero tornare sui banchi di scuola”. Meglio ancora sarebbe il licenziarli.

Dopo due giorni di colloqui commerciali tra le delegazioni americana e cinese, definiti da entrambe le parti “intensi e produttivi”, il Presidente Trump ha incontrato il Vicepremier Liu He, a capo della delegazione cinese, e si è detto entusiasta delle prospettive di accordo. Anticipando che sui temi di disaccordo si troverà un’intesa nel prossimo giro di colloqui, Trump ha affermato che il potenziale accordo “se ci sarà, sarà di gran lunga il più grande accordo mai fatto”.

Liu ha consegnato una lettera di Xi Jinping che Trump ha letto all’apertura della riunione di governo il 31 gennaio. Il testo: “Apprezzo i buoni rapporti di lavoro e di amicizia personale con Lei. I nostri incontri e le nostre telefonate, in cui possiamo parlare di tutto, sono piacevoli”. Trump si è detto fiducioso di poter finalizzare l’accordo nel prossimo incontro con Xi, che si avrà probabilmente a breve.

I negoziati commerciali si sono svolti sotto la cappa creata da un’azione del Ministero della Giustizia, che appena due giorni prima aveva spiccato ben ventitré capi d’accusa contro il conglomerato cinese Huawei. Le incriminazioni sono state presentate a Seattle e a Brooklin, con accuse che vanno dal furto di tecnologia americana alla violazione di sanzioni contro l’Iran e alla frode bancaria. Come è noto, la responsabile finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, è stata arrestata a Vancouver dalle autorità canadesi il primo dicembre scorso, proprio mentre Trump e Xi si incontravano al G20 di Buenos Aires.

Nel frattempo, al Congresso, membri di entrambi i partiti facevano a gara a scagliarsi contro la Cina, sia nei commenti al rapporto di intelligence (vedi sopra) sia nella discussione di leggi contro le imprese cinesi. Questa settimana verrà presentata una legge per vietare la vendita di chip e altri componenti americani a Huawei, a ZTE e ad altre imprese tecnologiche cinesi; il disegno di legge e sostenuto da due repubblicani e due democratici che hanno definito Huawei “un braccio di raccolta di informazioni del Partito Comunista Cinese” e “un rischio fondamentale per la sicurezza nazionale americana”.

La stampa cinese ha denunciato l’arresto di Meng e l’incriminazione di Huawei come un attacco alla leadership cinese nelle telecomunicazioni e tecnologie connesse, e come un tentativo calcolato di sabotare i negoziati commerciali. Un esperto ha notato che gli attacchi a Huawei sono cominciati, guarda caso, nel Regno Unito, il cui governo nel 2013 al GCHQ, l’ente di sicurezza e spionaggio di Downing Street, di fare un’inchiesta sul Centro di Sicurezza Cibernetica che l’impresa ha in Gran Bretagna. Anche la ZTE, produttrice di sistemi di telecomunicazione, finì nel mirino del GCHQ perché “minaccia alla sicurezza nazionale”. Si tratta dello stesso GCHQ che ha lanciato il “Russiagate” contro Trump, ipotizzando attività russe in relazione alla campagna presidenziale americana.