Minima Cardiniana 236/1

Domenica 3 marzo 2018. VIII domenica del Tempo Ordinario. Santi Marino e Asterio

Dedico questa “puntata” dei Minima Cardiniana all’amico fraterno e valoroso collega Marco Barsacchi: Caro Marco, il nostro Tullio Gregory, l’autore di Anima Mundi, non è più con noi. Ora sappiamo con definitiva certezza che il “nostro” tempo era Ieri.

TULLIO GREGORY IN MEMORIAM

Posso, voglio e debbo prendere a prestito le desolate parole dell’anonimo della Kölner Kaiserkronik all’annunzio della morte del grande Federico Barbarossa: “La nostra penna inaridisce, mute diventano le parole”.

Ieri, sabato 2 marzo 2019, è venuto a mancare il geniale, immenso, indimenticabile Tullio Gregory. Aveva novant’anni, ma lo credevamo tutti immortale: e resterà tale per tutti coloro che lo hanno conosciuto e amato. Storico della filosofia e del pensiero medievale ma non solo (fece epoca il suo Scetticismo e empirismo. Studio su Gassendi), aveva spaziato dal pensiero di Giovanni Scoto Eriugena al significato del sogno fino al confronto con il concetto medievale di natura: memorabile il suo discorso di chiusura della Settimana del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo del 1985. Negli ultimi tempi ci aveva lasciati ammirati e divertiti per le sue dotte scorribande nel mondo del demonico e del demonologico. Ma noi lo ricordiamo soprattutto, con commozione e gratitudine, per il suo splendido capolavoro, Anima Mundi, dedicato nel 1955 – era allora men che trentacinquenne – ai Maestri chartrensi del XII secolo: uno dei più bei libri sul pensiero medievale che siano mai stati scritti.

Studioso d’inflessibile e adamantino rigore, recensore e polemista terribile, Gregory era anche gastronomo, gourmet, enologo e cuoco che immetteva nella scienza della tavola la stessa impietosa serietà che sapeva dimostrare in quanto medievista. Ho visto – dal momento che immeritatamente godevo della sua amicizia e mi capitava talora il privilegio di esser suo compagno di tavola – rinomati maîtres chefs parigini impallidire quando egli varcava la soglia del loro locale e precipitarsi a salutarlo con devozione come nelle aule accademiche facevano i suoi colleghi.

Per una coincidenza, Gregory viene a mancare proprio mentre la RAI sta per mettere in onda un serial dedicato a Il Nome della Rosa del suo (e mio) amico Umberto Eco: un libro che egli aveva amato e criticato alla sua solita maniera, inflessibile e affettuosa al tempo stesso.

Mi piace adesso immaginarlo discutere con Umberto Eco, con Étienne Gilson, con Henri De Lubac, con Jacques Le Goff  e magari con Tommaso d’Aquino e con Guglielmo d’Ockham del “loro” medioevo. La loro è stata una grande stagione, che forse ormai si è chiusa definitivamente ma che non dimenticheremo.

Quanto a noi, mi auguro che in suo nome e in suo onore infrangeremo un suo durissimo divieto. Si era sempre rifiutato di ristampare Anima mundi: per lui un libro edito era un’avventura conclusa, sulla quale non si doveva più tornare. Parere rispettabile, come quello di chi, invece, i suoi libri li riscrive per tutta la vita. Ora però che è d’uopo in qualche modo solennemente salutarlo, credo che quel divieto sia spirato con la sua uscita da questo nostro mondo. Farò quanto è in me per convincere colleghi più autorevoli di me a ristampare quel libro indimenticabile, inimitabile e indispensabile. Spero che dall’Empireo egli burberamente mi perdoni di questa mia impertinenza, come altre volte ha fatto per i numerosi guasti da me arrecati alla medievistica. FC