Domenica 24 marzo 2019. III Domenica di Quaresima
L’EQUIVOCO DEL MEDIOEVO
UN’INTERVISTA A “IL FATTO QUOTIDIANO”
Sull’abuso di solito polemico e quasi sempre gravemente fuoriluogo del termine “medioevo”, che ormai impesta media e social, gli amici de “Il Fatto quotidiano” hanno chiesto il mio parere. Ovviamente, l’ho esposto in termini che hanno ecceduto la quantità di spazio disponibile. L’intervista è uscita il 24 marzo, ed è davvero ottima. Qualche “taglio” si è reso, tuttavia, necessario. La ripropongo qui nell’originale integralmente trascritto.
Professore, “roba da Medioevo” è diventata un’offesa di moda.
Più che un’offesa è una dichiarazione di analfabetismo. Se chi la proferisce avesse un minimo d’istruzione anche media, saprebbe che il “Medioevo” non esiste: è una convenzione. La stessa parola che lo indica è un’antidefinizione, una non-definizione. Gli umanisti italiani tre-quattrocenteschi, a cominciare dallo stesso Petrarca, avevano riscoperto (per l’ennesima volta, dopo che ciò era già accaduto nel IX, nel X, nel XII secolo) l’antichità romana e un po’ più tardi anche greca con la sua lingua e la sua arte: e ritenevano che il lungo periodo che da essa li separava fosse stato una lunga notte (tra V e XIV secolo) di barbarie, d’ignoranza, di fanatismo, di superstizione. Un periodo indegno perfino di esser definito: quindi Medium Aevum, Media Tempestas. Essi s’illudevano di restaurare l’Antichità. E’ la base concettuale di quello che, a partire dall’Ottocento, si sarebbe definito “Rinascimento”.
Ma poi la leggenda nera continua.
Certo! Nel Cinquecento si viveva come se l’Antichità fosse finita il giorno prima, alla faccia della realtà effettiva che parlava un ben diverso linguaggio. Il Seicento fu un secolo formidabile, ribelle, splendido, fantasioso e scientifico al tempo stesso, in cui nulla del passato si doveva salvare (si sono inventati il Barocco); agli uomini del tempo non bastava neppure la scienza fondata sulla ragione logico-dialettica – elaborata fra Antichità e mondo musulmano e teorizzata fra XII e XIII secolo, fra Abelardo e Tommaso d’Aquino – tanto è vero che hanno inventato una nuova scienza basata sull’esperienza: Galileo e quindi Newton. Anche su ciò siamo ignorantissimi: pensiamo solo a quell’intelletto oceanico che fu Cyrano de Bergerac e che noi abbiamo ridotto a una maschera tragicomica dal lungo naso, grande spadaccino ma sfortunato in amore. Poi è arrivato il Settecento: e per i philosophes, per Voltaire e per i redattori dell’Encyclopédie, il Medioevo era solo la cloaca della civiltà occidentale: il periodo della barbarie, della tirannide, dell’ignoranza, del fanatismo, delle crociate, dell’irrazionalismo, dell’inquisizione e della stregoneria e quando si doveva dir male di qualcosa lo si gettava nel Medioevo.
L’inquisizione, per esempio…
Appunto: l’età d’oro dell’Inquisizione è stato lo splendido Rinascimento, non il buio Medioevo. Le streghe le hanno bruciate soprattutto i protestanti tra XVI e XVIII secolo, tra Svizzera, Germania, Inghilterra e New England; si può dire che il luminoso Rinascimento sia stato tale in quanto illuminato dal fuoco dei roghi; quanto alle crociate, se ne sono fatte di più fra Cinque e Seicento che non fra XI e XV secolo. Scappa un po’ da ridere, a sentir certe critiche: se non ci fosse da piangere.
Nei secoli che noi indichiamo come Medioevo, dunque, in realtà è successo un po’ di tutto.
Potremmo parlarne per mesi. L’espressione “Medioevo” copre nella sua accezione comune una decina di secoli, dal V al XV, in cui è successo tutto e il contrario di tutto. Il mondo carolingio, tra VIII e IX secolo, è stato tutt’altro che trascurabile da un punto di vista culturale. Nel X secolo assistiamo alla “rinascita ottoniana”; verso l’Anno Mille un grande filosofo e matematico provenzale, Gerberto d’Aurillac, che aveva subito l’influsso della cultura arabo-iberica, è diventato papa Silvestro II ed è stato un grande scienziato che si occupava perfino di automi, sul modello bizantino; ed eccoci, quindi, allo splendido sviluppo filosofico ed economico del medioevo pieno, nei secoli XI-XIII: si costruiscono le cattedrali, nascono sul modello musulmano le Università nelle quali si “vende” e si “compra” il sapere, si sviluppano il commercio mediterraneo più intenso (contemporaneamente alle crociate!), la circolazione sulle vie del pellegrinaggio e sulle rotte marittime, si fondano i principi del sistema creditizio sul quale si basano le banche moderne. E’ insomma là che nasce la Modernità occidentale.
L’accusa riguardo all’assenza di una scienza medievale è ingiusta?
Peggio. E’ sanguinosa, impresentabile, ridicola. Quelli tra il X e il XV sono secoli di venerazione verso la scienza. Attraverso la Spagna musulmana ci è arrivato, grazie a traduttori arabi ed ebrei, non solo gran parte del sapere della Grecia, ma anche il sapere indiano e cinese. E non solo la filosofia: se Aristotele ci arriva in parte attraverso i bizantini, la medicina e la geometria no. Il padre della medicina moderna è Avicenna, un persiano di Buchara. L’amore per le macchine non nasce con Leonardo, ma appunto con Gerberto d’Aurillac e quindi con Ruggero Bacone e Raimondo Lullo, che erano francescani.
Lei ha detto anche che le radici della Modernità stanno in quel periodo. Cioè?
Pensi all’economia. I banchieri-mercanti soprattutto toscani e lombardi (ma non solo) capiscono – ed è una scoperta gravida di conseguenze, magari non tutte fauste – che per fare più soldi bisogna invertire il rapporto tra produttore e consumatore. Il consumatore ha il coltello dalla parte del manico: se lui non vuol comprare, puoi produrre fin che vuoi… e i nostri mercanti invertono per la prima volta nella storia dell’umanità quel rapporto, fanno in modo che l’iniziativa passi al produttore, che inventa modi sempre nuovi per indurre i suoi clienti a (come si dice oggi) “allargare il paniere dei consumi”. “Moda”, non a caso, è una parola tardomedievale. Le dame francesi amano le stoffe blu oltremarino, colorate con la polvere di lapislazzulo. E i mercanti italiani ne forniscono loro anche giallo zafferano, rosso porpora, oppure foderate di pelliccia! E gli artisti, pittori e miniatori, s’incaricano di diffondere il gusto che trasforma il superfluo in indispensabile. Il consumo si mobilita e finisce col non bastare mai: è questa la Modernità.
C’entra anche la pubblicità, quindi.
Ma certo: e l’organizzazione del consenso. Pensiamo ai predicatori popolari, o a Cola di Rienzo. E poi le Università: un imperatore germanico, Federico Barbarossa, ha fondato nel secolo XII quella di Bologna che ha riportato in Occidente il diritto romano mantenuto a Bisanzio ma da noi in parte dimenticato. Il “Canone” del medico Avicenna, un manuale di base di fisiologia umana, è stato usato nelle nostre Università fino al Sei-Settecento: cioè fino alla scoperta delle leggi della circolazione sanguigna.
E poi la politica: è l’età dei Comuni.
Il dibattito se il potere debba essere globale o locale – di straordinaria attualità – risale ad allora. Come il dibattito sul “bene comune” e sui diritti comunitari, nonché lo stesso tema della rappresentanza: il “No taxation without representation” degli inglesi nel Seicento nasce nell’Italia medievale.
Quanto a utilizzo nel discorso pubblico, il Medioevo è un po’ come il Fascismo.
Già: per molti è diventata una pigra, comoda e sleale strada per la comoda scorciatoia consistente nel tappare la bocca a qualcuno. Quando in certi dibattiti mi succede (abbastanza spesso) che un interlocutore a corto d’argomenti, invece di contestare i miei, che evidentemente lo mettono in difficoltà, mi dia del fascista, io gli rispondo: “adulatore!”. Perché se io dico che senza legge e senza ordine non esiste libertà e il libertario da salotto mi dà del fascista, si merita solo quella risposta. Di questo passo si dovrà smettere di mangiare verdura perché Hitler era vegetariano. Qui purtroppo cade il discorso sul Fascismo eterno di Umberto Eco, un caro e indimenticabile amico: ma quello è il suo peggior scritto. Eco doveva spiegare a ragazzi americani cos’era l’anima del Fascismo. Ma quelli non l’avevano capita nemmeno quando l’aveva spiegata loro Gaetano Salvemini, che lo fece ottanta-novant’anni or sono. Eco era formidabile nel fiutare quello che la gente voleva sentirsi dire. Sapeva benissimo di parlare a ragazzini che dicevano “you’re fascist” al padre che pretendeva di farli rincasare a mezzanotte. E allora ecco il discorso sul Fascismo ridotto al principio d’autorità, al razzismo, alla violenza…
E’ stato anche queste cose.
Senza dubbio: e probabilmente soprattutto questo. Ma i connotati che vengono addebitati al “Fascismo eterno” si ritrovano diversamente connotati anche nel socialismo, nel comunismo, nel liberalismo, nella pratica coloniale, nella violenza economico-finanziaria delle lobbies multinazionali. Siamo liberi dal fascismo da più di settant’anni: pensiamo a tutte le cose che sono successe da allora: la Corea, il Vietnam, i Balcani, l’Afghanistan, il Vicino Oriente, l’Iraq, la Siria, la Libia, l’Africa che si sta spopolando perché sconvolta e svenduta alle multinazionali sotto gli occhi e con il consenso dell’ONU…
Quindi non è vero che Historia magistra vitae…
Si potrebbe dire che è magistra ma ha pessimi allievi. O che non è magistra, anzi è lei che avrebbe bisogno di andare a scuola. La storia, se ben intesa, è quel che ha detto Luciano Canfora ne La scopa di Don Abbondio: la storia non è la deterministica freccia del tempo che va dal meno bene al meglio ma non è nemmeno l’eterno ritorno di Nietzsche. E’ l’unione di queste due cose: una spirale, che conosce flussi e riflussi, balzi in avanti e ristagni. E, ogni tanto, imprevedibili salti di fase e di qualità.