Minima Cardiniana 256/1

Domenica 21 luglio 2019. Santa Prassede – Il sole entra nel “mio” glorioso leone

EDITORIALE

IL “RITORNO DELL’ENEIDE” E L’ENEA-MYTHUS. UN REVIVAL “CLASSICO” O UN NUOVO EQUIVOCO?

In questi ultimi mesi si stanno inseguendo inaspettate polemiche sull’”utilizzo esemplare” dell’Eneidee del suo protagonista Enea quali simboli delle correnti migratorie contemporanee.

Canto le armi e l’eroe, il quale per primo dalle coste di Troia giunse in Italia, profugo per volere del fato (…) egli che fu sballottato ampiamente per terra e per mare dalla potenza degli dei a causa dell’ira memore della crudele Giunone; e sopportò molto anche in guerra, pur di fondare la città, e portare  gli dèi nel Lazio, da cui la stirpe latina, e i padri albani, e le mura dell’alta Roma.

Così Virgilio introduce i lettori a quanto si accinge a narrare; l’aggettivo “profugus” in particolare indica con precisione la condizione di tanti migranti contemporanei, che al pari di Enea fuggono dalla guerra e cercano rifugio altrove. Le peripezie che portano Enea a toccare molte sponde del Mediterraneo, fino ad approdare in Italia, spinsero T.S. Eliot a definire l’Eneide “il classico di tutta l’Europa” in una prolusione tenuta il 16 ottobre a Londra dinanzi alla Società Virgiliana, mentre la città era colpita dalle bombe tedesche e tutta l’Europa bruciava. Di Virgilio, Eliot ammirava la sintesi di tutta la tradizione classica, dove la Grecia incontrava Roma, nonché l’importanza che essa aveva avuto in tutta la letteratura, e più in generale l’arte, europee: era insomma il simbolo dell’unione in un’epoca di tragiche divisioni.

La contesa attuale fra coloro che vorrebbero farne un simbolo della positività delle migrazioni (da un profugo nasce l’impero) contro chi invece afferma che il suo viaggio è in realtà un ritorno (i Troiani si volevano discendenti dell’etrusco Dardano) appare dotata di un afflato ben minore rispetto alla visione espressa da Eliot: per lui l’Eneide era il simbolo di un ideale, per i contemporanei sembra piuttosto un puntello a sostegno di una o di un’altra corrente. Appiattire la storia o la letteratura ad attualizzazioni banalizzanti non è mai un buon servizio ad alcuna causa; l’Eneide va letta nel contesto all’interno del quale Virgilio l’aveva scritta, riprendendo il materiale dell’Iliade e dell’Odissea, ma rileggendolo alla luce della sua contemporaneità. Per questo, i personaggi che la popolano sono così differenti: si può dire, anzi, sempre per restare in tema di attualizzazioni, che l’Eneide sia uno spin-off dei poemi omerici. In questi, Enea compare come personaggio minore, sebbene importante, rispetto ad Achille o a Ulisse/Odisseo. Soprattutto, nell’interpretazione che ne dà Virgilio, Enea è l’incarnazione della pietas mentre Ulisse/Odisseo lo è dell’intelligenza, della riflessione come arma risolutiva; Achille, invece, è il guerriero per eccellenza, pervaso dal furor: Enea si scontra con lui in duello, viene quasi infilzato dalla sua lancia, finché Poseidone non lo mette in salvo. Ed è anche diverso nel suo peregrinare rispetto a Ulisse/Odisseo, poiché questi cerca di rientrare a casa lì dove Enea ne fonda una nuova, sebbene, come detto, prefigurata dal mito. Di fondo, benché in tutte e tre le opere i personaggi siano in parte umani, in parte discendenti di divinità, con il mondo latino, all’epoca di Virgilio, siamo dinanzi a una umanizzazione del mito che ne spiega appunto l’accentuazione della pietas come sentimento di fondo. Tuttavia, a Virgilio non era estranea la riflessione sul problema dell’identità, che ci inquieta anche oggi: la Gallia Cisalpina della quale era originario era stata conquistata da Roma e costituita in provincia poco dopo il conferimento della cittadinanza agli abitanti dell’Italia peninsulare, nel 90 a.C., ossia circa vent’anni prima della nascita del poeta. Nell’Eneide, Virgilio esalta la fondazione di uno straniero, che, tuttavia, piaceva ai romani, poiché consentiva loro di affondare le proprie radici in una civiltà dal passato fulgido, quella dei troiani, imparentandosi ma anche distinguendosi dai greci. Lo studio dell’Eneide e del suo contesto, più che le polemiche un po’ sterili di questi tempi, dovrebbe se non altro mostrare che, con buona pace dei cosiddetti “sovranisti”, le grandi civiltà sono nate dalle commistioni, mai dall’isolamento.

Franco Cardini – Marina Montesano