Domenica 1 dicembre 2019, I Domenica di Avvento
…E PARLIAMO UN PO’ ANCHE D’ISRAELE
Parliamone come ne parla un suo autorevole quotidiano. Così, il 17 novembre scorso, ne parlava Gideon Levy su “Haaretz”. Così l’amico Maurizio Blondet, voce “scomoda” del giornalismo italiano, ne ha reso le parole nella nostra lingua.
Israele è sempre presente, è sempre importante. Il presidente Trump, come annunzia trionfalmente Mike Pompeo, dopo aver accettato il principio unilaterale israeliano – contestato dall’ONU – secondo il quale Gerusalemme sarebbe “capitale una e indivisibile dello stato ebraico” – torna ora, per contestarla, sulle posizioni abbracciate fino dal 1978 dallo stesso Dipartimento di Stato e dichiara che gli insediamenti di coloni israeliani in territorio palestinese non sono illegittimi, a meno che tali non siano definiti dai giudici israeliani. D’altronde, Trump continua a sostenere il suo capo del White House Office of American Innovation (con quale stipendio?), cioè il “generissimo” trentottenne Jared Kushner marito della figlia del Presidente Chiomarancio, la bionda Ivanka. Il patrimonio del signor Kushner, proprietario fra l’altro del “New York Observer”, ammonta a quanto sembra a circa 800 milioni di dollari; amico del principe ereditario saudita Muhammad Ibn Salman, Kushner è stato fra i principali sostenitori di Benjamin Netanyahu, ma il suo piano sulla pace nel Vicino Oriente – fondato in pratica sul costante appoggio ai “falchi” israeliani – marca il passo, nonostante il chiacchieratissimo Bibi sia riuscito fino ad ora ad evitare gli strali dell’Alta Corte di Giustizia del suo pese e a ribadire il suo ruolo politico. Ma le cose vanno maluccio: l’opinione pubblica israeliana è sempre più vigile, le carceri del paese rigurgitano di renitenti al servizio militare che si rifiutano di partecipare alle repressioni nella città di Gerusalemme e in Palestina e il malumore internazionale attorno al “Muro” fra Israele e Palestina (come a quello fra USA e Messico) cresce.
Fin qui la politica, con le sue aberrazioni e le sue contraddizioni. Con tutto ciò, anche se ormai siamo abituati a tutto o quasi, il racconto di “Haaretz” è agghiacciante.
GIDEON LEVY
NESSUNO IN ISRAELE HA SAPUTO CHE HANNO COMMESSO UN MASSACRO E CHE NON GLIENE IMPORTA NIENTE
Il pilota del cacciabombardiere non lo sapeva. I suoi comandanti che gli hanno dato gli ordini, il ministero della Difesa e il comandante in capo neppure, né il comandante dell’aviazione militare. Gli ufficiali dell’intelligence che hanno deciso l’obiettivo e il portavoce dell’esercito, che mente senza fare una piega, non ne sapevano niente. Nessuno dei nostri eroi sapeva. Quelli che sanno sempre tutto improvvisamente non sapevano. Quelli che possono scovare il figlio di un ricercato in un quartiere periferico di Damasco non sapevano che una povera famiglia stava dormendo all’interno del suo miserabile tugurio a Dir al-Balah.
Essi, militari dell’esercito più morale e dei servizi di intelligence più avanzati al mondo, non sapevano che la precaria baracca di lamiera da molto tempo aveva smesso di essere parte dell’“infrastruttura della Jihad Islamica”, e ci sono dubbi che lo sia mai stata. Non sapevano e non si sono neanche preoccupati di verificare – dopotutto, qual è la cosa peggiore che possa capitare?
Venerdì il giornalista Yaniv Kubovich ha svelato la scioccante verità sul sito web di “Haaretz”: il bersaglio non era stato riesaminato da almeno un anno prima dell’attacco, la persona che avrebbe dovuto essere il suo obiettivo non è mai esistita e l’informazione era basata sul sentito dire. La bomba è stata comunque sganciata. Il risultato: otto corpi avvolti in sudari colorati, alcuni terribilmente piccoli, tutti in fila; membri della stessa famiglia estesa, la Asoarkas, cinque dei quali bambini – compresi due bimbi piccoli. Se fossero stati cittadini israeliani lo stato avrebbe mosso cielo e terra per vendicare il sangue del suo famoso bambinetto e il mondo sarebbe rimasto scioccato dalla crudeltà del terrorismo palestinese. Ma Moad Mohamed Asoarka era solo un bambino palestinese di sette anni che viveva ed è morto in una baracca di lamiera, senza presente né futuro, la cui vita valeva poco ed è stata breve come quella di una farfalla: il suo assassino è stato un famoso pilota.
È stato un massacro. Nessuno verrà punito per questo. “La lista dei bersagli non era stata aggiornata,” hanno detto fonti ufficiali dell’esercito. (Dopo che l’inchiesta di Yaniv Kubovich è stata pubblicata, il portavoce dell’esercito ha rilasciato un altro comunicato: “Alcuni giorni prima dell’attacco è stato confermato che l’edificio era un bersaglio.” Ma questo massacro è stato peggiore dell’omicidio mirato di Salah Shehada ed è stato accolto con ancor maggiore indifferenza in Israele. Il 22 luglio 2002 un pilota dell’aviazione militare israeliana lanciò una bomba da una tonnellata su un quartiere residenziale che uccise 16 persone, compreso un uomo effettivamente ricercato. Giovedì, prima dell’alba un pilota ha lanciato una bomba più intelligente, una JDAM, su una fragile baracca in cui non si nascondeva nessun ricercato.
È risultato che persino il ricercato citato da un portavoce dell’esercito era frutto della sua immaginazione. Gli unici che c’erano lì erano donne, bambini e uomini innocenti che stavano dormendo nel cuore della notte di Gaza. In entrambi i casi le Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.] hanno usato la stessa menzogna: pensavamo che l’edificio fosse vuoto. “Le IDF stanno ancora cercando di capire cosa stesse facendo la famiglia in quel luogo,” è stata la sfacciata e terribilmente laconica risposta, che ha insinuato che la colpa fosse della famiglia. Infatti, cosa ci facevano lì Wasim, 13 anni, Il giorno dopo l’uccisione di Shehada e di 15 dei suoi vicini, e dopo che le IDF avevano continuato a sostenere che le loro case erano “baracche disabitate”, andai sul luogo del bombardamento, il quartiere di Daraj a Gaza City. Non baracche ma condomini, alti qualche piano, tutti densamente abitati, come ogni casa a Gaza. Mohammed Matar, che aveva lavorato per 30 anni in Israele, giaceva prostrato a terra, un braccio e un occhio bendati, tra le rovine, vicino all’immenso cratere creato dall’esplosione. Sua figlia, sua nuora e quattro dei suoi nipoti erano morti nell’esplosione; tre dei figli erano rimasti feriti.
“Perché ci hanno fatto questo?” mi chiese, scioccato. All’epoca 27 dei piloti più coraggiosi dell’aviazione israeliana firmarono la cosiddetta ‘lettera dei piloti’, rifiutando di partecipare ad operazioni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Questa volta neppure un pilota ha rifiutato di partecipare, ed è dubbio che qualcuno lo farà in futuro.
“Esseri umani. Sono esseri umani. Qui c’è stata una battaglia – infermieri e medici contro la morte,” ha scritto il coraggioso medico norvegese Mads Gilbert, che corre in aiuto degli abitanti della Striscia di Gaza quando viene bombardata, curando i feriti con infinita dedizione. Gilbert ha aggiunto una foto della sala operatoria nell’ospedale Shifa di Gaza City: sangue sul tavolo, sangue sul pavimento, bende intrise di sangue ovunque. Giovedì si è aggiunto il sangue della famiglia Asoarka, che grida a orecchie sorde.
(“Haaretz”, 17 novembre 2019, da www.maurizioblondet.it)
Ne sapevate qualcosa? Non ho trovato alcun riscontro on line. Mi rivolgo in particolare agli amici del sito “Informazione corretta”, che non mi amano granché ma che sono molto attenti a tutto quel che riguarda Israele. Se potessero smentire tutto ciò, dimostrando che Levy ha mentito o che Blondet ha tradotto male, sarebbe un sollievo per tutti. Possono farlo? Sono in grado di rassicurarci? Saremmo tutti loro davvero grati.