Domenica 16 febbraio 2010, Santa Giuliana
IN MEMORIAM
MARCO INVERNIZZI SU GIOVANNI CANTONI
Ho conosciuto Giovanni Cantoni all’inizio degli anni Sessanta, a Firenze: ci presentò un comune amico, Attilio Mordini. In seguito ci siamo visti più volte e parlati spesso, anche a lungo. L’ho sempre sinceramente ritenuto un amico e credo che questi fossero i suoi sentimenti nei miei confronti. Per lungo tempo ci siamo tenuti in contatto attraverso un altro amico comune: il grande, indimenticabile, insostituibile e mai, mai troppo rimpianto Marco Tangheroni.
Con Marco discutemmo a lungo dell’ipotesi che io potessi aderire al sodalizio ch’egli amava e che Cantoni guidava, Alleanza Cattolica. Decidemmo di comune accordo che ciò sarebbe stato inopportuno: pur sentendo vicini i militanti di quel gruppo, non sottovalutavo i motivi di reciproca esitazione. Forse una differente posizione sul piano ecclesiale; senza dubbio un differente approccio al problema dell’Occidente contemporaneo, per loro apostata e colpevole finché si voglia me pur sempre l’ultimo brandello sia pur adulterato di quel che resta oggi della civiltà cristiana e pertanto da tutelare cercando di migliorarlo dall’interno, secondo me invece irrimediabilmente apostata, anticristiano e prigioniero del più cupo e violento materialismo che la storia abbia mai conosciuto, con l’aggravante di un’apparente libertà religiosa che ne fa un lupo in veste d’agnello; e altresì una diversa posizione rispetto al valore delle religioni non cristiane, in particolare dell’Islam. Ciò non ha mai, da parte mia, provocato un venir meno della disponibilità al confronto sincero e al cordiale colloquio.
Avrei voluto far visita a Giovanni Cantoni, negli ultimi tempi della sua dimora terrena. Ancora una volta, amici comuni mi facevano presente che le circostanze rendevano sconsigliabile e obiettivamente arduo ad effettuarsi un incontro nelle condizioni che si prospettavano. È purtroppo sempre più frequente il fatto che ostacoli di vario genere rendano impossibile l’ultimo saluto a qualche amico sul punto di lasciarci. È una delle esperienze più gravi dell’invecchiare: e lasciano dentro il peso di non riuscir a trovare sufficienti e accettabili giustificazioni.
Non vedo più da molto tempo Marco Invernizzi, ma non ho dimenticato le passate occasioni di collaborazione: spero che non le abbia dimenticate neppure lui. Credo che ciascuno di noi cerchi in buona fede di bonum certamen certare, e le diversità d’impostazione che ritengo di rilevare tra noi non sono certo tali da farmi ritenere che ormai ciascuno di noi militi nello schieramento opposto all’altro. Accolgo quindi con grande piacere l’invito di un altro amico comune, e ospito un suo ricordo di Cantoni. Spero che da parte sua non gli dispiacerà che il suo nome figuri su una testata come i Minima Cardiniana, dove – se la segue – senza dubbio avrà letto molteplici cose che non gli avranno dato fastidio (o, almeno, spero).
MARCO INVERNIZZI
RICORDO DI GIOVANNI CANTONI
Giovanni Cantoni nasce a Piacenza nel 1938. Nella sua città originaria studia e comincia a lavorare e sempre a Piacenza si sposa con Sabina il primo maggio 1965, nel giorno e nel mese dedicato alla Vergine.
Avranno quattro figli e venti nipoti.
Negli anni Sessanta comincia a “pensare” a quella che sarà Alleanza Cattolica, partendo dalla sua conversione, religiosa e culturale, e dalla constatazione della mancanza in Italia di una formazione cattolica che “tenesse insieme” la fede e la vita, quest’ultima anche nella sua dimensione pubblica, cioè politica.
Nasce così lentamente e progressivamente, senza proclami e senza particolare enfasi, come era nel suo stile, quella “piccola realtà” come amava chiamare l’associazione, che non volle essere un movimento popolare ma una associazione di persone, da formare una per una, nella prospettiva del lungo periodo e non della conquista di una visibilità immediata.
Mentre sorgono in diverse città e paesi d’Italia i primi gruppi di “amici”, come venivano chiamati richiamando il leader delle Amicizie, il venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830), esce il primo numero della rivista Cristianità che Cantoni dirige fino a pochi anni fa, curandola nei minimi particolari oltre che nelle linee direttive.
Alleanza Cattolica copre un vuoto nel panorama del mondo cattolico italiano, ispirandosi a quella scuola contro-rivoluzionaria nata durante la Rivoluzione francese e mettendone in luce l’aspetto epocale, scuola che non era più rappresentata in Italia da molti decenni.
Giovanni Cantoni ha guidato l’associazione fino al 2016 avendo cura di mantenerla fedele alla sua ispirazione originaria di realtà che opera per diffondere la dottrina sociale della Chiesa nella prospettiva della regalità sociale del Signore Gesù e contemporaneamente ha sempre tenuto a che Alleanza Cattolica rimanesse in assoluta comunione con il Magistero pontificio, fedele a tutti i Pontefici e a ogni singolo Papa, “quel prete speciale vestito di bianco” come amava definirlo, al quale doveva andare l’obbedienza e la devozione di tutta l’associazione.
Giovanni Cantoni ci ha insegnato tante cose soprattutto nel campo della dottrina sociale della Chiesa e in quello della filosofia della storia, ma forse quello che più rimane del suo insegnamento riguarda il metodo, lo “stile” con cui ha sempre cercato di formare gli “amici” dell’associazione. Uno stile fatto di apostolato quotidiano, la “routine” come la chiamava, e di una straordinaria umiltà che si manifestava in tante piccole cose, ma estremamente significative, dal cercare sempre figure autorevoli nelle citazioni, da invitarci sempre a cercare gli “esperti” nelle singole materie trattate negli incontri pubblici, nel mettersi al servizio delle varie realtà con cui entravamo in contatto, appunto “per servirle” e non per “servirsene”.
La sua grande testimonianza possa continuare e raccogliere frutti attraverso la nostra militanza: questo credo sia l’impegno che ci dobbiamo assumere come militanti e soci della realtà alla quale ha dedicato e sacrificato la sua vita.
Piacenza, 18 gennaio 2020
Santa Prisca, martire di Roma
(www.alleanzacattolica.org)
BETTINO CRAXI
Non sono mai stato un craxiano (sono sì socialista: ma in un altro modo), non credo che Bettino Craxi fosse un angioletto, le sue sparate proudhoniane e soprattutto garibaldine non mi hanno mai trovato consenziente e la sua allure mussoliniana m’insospettiva, il team (o meglio la “ganga”: i riferimenti a Giusy non sono affatto causali) che lo circondava non mi è mai piaciuto, mi dava fastidio il suo anticlericalismo qua e là riemergente, trovavo che i suoi gusti in materia di signore e signorine compiacenti e/o scollacciate fossero comprensibili, perfino condivisibili, ma non troppo idonei a uno che chiaramente ambiva a proporsi come un leader di qualità – anche perché lo era.
D’altronde (e lo dico anche alla luce dei venti di guerra che stanno spirando oggi sul Mediterraneo, e che l’attuale governo italiano subisce con una leggerezza, un’incoscienza e una viltà davvero riprovevoli), ebbene sì, basterebbe l’episodio di Sigonella a imporlo alla nostra ammirazione e alla nostra gratitudine. Per un attimo, Craxi ci ha fatto di nuovo sentire fieri di essere italiani: sensazione che quelli della mia età (sono del 1940) non hanno quasi mai provato, né prima né dopo quell’episodio. Per il resto, il suo governo ebbe aspetti e momenti felici e la sua proposta politica, condivisibile o meno che fosse, era interessante. Ora, nell’annum craxianum in corso, il ventennale della sua scomparsa, stanno uscendo valanghe di libri su di lui. Non ho letto tutto: ma, del non poco che ho visto, segnalo volentieri almeno Fabio Martini, Controvento. La vera storia di Bettino Craxi (Rubbettino) e Marcello Sorgi, Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi (Einaudi).
A Firenze, il 22 aprile prossimo, ci sarà un convegno su Bettino Craxi. Alcuni organizzatori mi hanno chiesto di tenervi una relazione che dovrebb’essere un suo breve profilo configurabile come “bilancio storico”. Sono com’è noto un “cane sciolto”, e ritengo che chi ha fatto la scelta d’invitarmi sapesse e sappia che cosa faceva e a che cosa andava incontro. Non garantisco di riuscire a non pestar la coda a nessuno: anzi, farò il possibile per pestarne quante più mi sarà possibile. Grazie comunque a cari amici come Stefania Craxi, Riccardo Nencini e Gianni Bonini (e magari qualche altro che qui non nomino) per avermi offerto l’occasione di rendere omaggio a un politico e a un uomo che, perdinci, era dotato di attributi. Credo che sulla sua tomba, ad Hammamet, varrebbe la pena d’incidere l’epitaffio che papa Gregorio VII dedicò a se stesso: “Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exilio”. Magari non era vero, ma era ben trovato (a proposito, su Gregorio VII leggetevi il formidabile libro di Glauco Maria Cantarella: l’amico Glauco non è riuscito a smuovermi dalla mia granitica e forse ottusa fedeltà all’imperatore Enrico IV, che Dio lo abbai in gloria, ma quel libro, ve lo assicuro, è una cannonata).