Domenica 15 marzo 2020, III Domenica di Quaresima
Vangelo della Samaritana
EDITORIALE
Qualcuno mi rimprovera di essere troppo cattivo; qualcun altro di non esserlo abbastanza. Amici miei, lo avete voluto: ecco qua pane per i vostri denti.
Ma il vero pregio di Marina Montesano non è che è cattiva. Lo è anche il mio gatto Thor detto Puccilotti, che non a caso è suo grande amico. È che è dannatamente lucida e consequente. È questo che le invidio. Ed è per questo che le cedo il per sua sfortuna gratuito privilegio di firmare l’Editoriale. A lei la parola.
LO SQUALO AI TEMPI DEL COVID-19
Lo scorso venerdì 13 marzo un titolo del Guardian mi ha fatto sorridere: “Boris Johnson’s hero is the mayor who kept the beaches open in Jaws” (“L’eroe di Boris Johnson è il sindaco che manteneva le spiagge aperte ne Lo Squalo”). Ora, per quanti (spero pochi) non lo ricordassero, nel film Larry Vaughn è il sindaco di Amity che ordina di tenere aperta la spiaggia cittadina piena di turisti nonostante le prove schiaccianti che c’è un enorme squalo nell’acqua deciso a mangiare tutti; il suo ruolo sarebbe diventato tipico nei film catastrofici degli anni ’70 e oltre, nei quali c’è sempre un personaggio dotato di autorità che non capisce la gravità della situazione imminente. Ho trovato divertente il titolo mettendolo, com’è ovvio, in relazione con il discorso di Boris Johnson alla nazione a proposito dell’emergenza covid-19, nel quale il primo ministro ha affermato che è necessario prepararsi alla perdita di familiari perché l’epidemia è destinata a toccare il Regno Unito molto più di quanto non abbia già fatto, ma allo stesso tempo si è rifiutato di prendere misure straordinarie a proposito di spettacoli e assembramenti di vario genere, dei trasporti, delle scuole e delle università. Senonché, leggendo l’articolo, ho appreso che il titolo non era soltanto una battuta, ma si riferisce a un’affermazione fatta realmente da Boris Johnson nel 2006; il sindaco del film può non essere stato fortunato nell’occasione, diceva, perché lo squalo effettivamente c’era e ha mangiato alcuni bagnanti, però l’attitudine è giusta: nei momenti di crisi bisogna tirare avanti senza porsi troppi problemi. Dunque la sua scelta di questi giorni non è casuale o inattesa, ma segue un suo convincimento radicato. La stampa italiana ha ripreso con un certo scherno la decisione di non adottare misure straordinarie, e può essere che lo stesso Johnson debba ripensarci prima o poi, perché ci sono pressioni interne e associazioni di categoria che già autonomamente stanno promuovendo forme di telelavoro. Vedremo. Tuttavia, è interessante soffermare l’attenzione sulla posizione del primo ministro inglese.
In fondo, per quanto ne sappiamo, il covid-19 ha un tasso di contagiosità abbastanza ma non eccessivamente elevato. Quello del morbillo, ad esempio, è un virus estremamente contagioso: l’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che nel 2018 ci sono stati quasi 10 milioni di casi in tutto il mondo, e si stima che abbia fatto 140.000 morti, per la maggior parte bambini sotto i cinque anni, tanti rispetto al minimo storico di 90.000 nel 2016 (che è comunque una cifra notevole). Certo, la mortalità è alta in assoluto, ma la ratio rispetto ai 10 milioni di casi ci dice che il tasso è dell’1,4%; per di più la stragrande maggioranza (oltre il 95%) dei decessi per morbillo si verifica in paesi con basso reddito pro capite e deboli infrastrutture sanitarie, dunque in Occidente stentiamo ad accorgercene. Rispetto alla contagiosità, calcolata sulla media di persone alla quale un portatore può trasmettere la malattia, le statistiche dicono che il covid-19 si tramette in media a 2,5 persone, ma in alcuni casi fino a 4; il morbillo tra le 11 e le 18; virus simili al covid-19 come SARS e MERS hanno una contagiosità minore, ma una mortalità maggiore, e nel complesso hanno fatto meno danni; l’influenza stagionale si attesta su una media di 1,3.
Dopo tutte queste cifre, torniamo a Boris Johnson, le cui posizioni possono essere etichettate come “darwinismo sociale”: dati alla mano, il covid-19 è pericoloso ma non è la peste nera e non porterà alla morte di 1/3 o 2/3 della popolazione come fece l’epidemia di yersinia pestis del 1347-51, e nemmeno alla sua decimazione. Alla luce di tutto questo, il darwinismo sociale di Johnson dice che non vale la pena fermare l’economia per così poco: alcuni moriranno, i più deboli per età, stato di salute, condizione sociale/accesso alle cure, però il paese andrà avanti senza particolari sussulti.
Ovviamente, è una posizione che ci fa orrore, almeno di primo acchito, perché a pensarci bene non è che le sue siano le posizioni di un lunatico estremista: sono lo specchio della realtà dei fatti anche prima della crisi covid-19, e lo saranno ancora quando sarà passata. Quasi tutti i paesi occidentali hanno tagliato la sanità pubblica in questi ultimi anni; solo la Germania si qualifica ancora bene con i suoi 30 posti di terapia intensiva (quelli che servono per gli sfortunati che si ammalano gravemente per il virus, ma anche per le tante affezioni che lo richiedono) su 100.000 abitanti, contro i 12 dell’Italia, che va comunque molto meglio del Regno Unito dove sono soltanto 7. È vero che gli Stati Uniti fanno la figura da giganti con i loro 35 per 100mila, peccato solo che siano quasi tutti nel settore privato, e dunque molti milioni di americani non potranno mai avervi accesso; anzi, parliamo di un paese nel quale la mutua in caso di malattia non viene pagata, e molti lavoratori se si ammalano e stanno a casa perdono interamente lo stipendio. Il darwinismo sociale è già tra noi, Boris Johnson l’ha solo esplicitato e come sempre in questi casi il rigetto è forte perché sappiamo che ha ragione: potremo non applicare la sua politica al covid-19, ma l’abbiamo applicata e la applichiamo continuamente nei nostri stessi paesi occidentali, per non parlare di quelli che definiamo penosamente “in via di sviluppo”.
Pensiamo alla catastrofe maggiore, in termini di patologie virali, di questi ultimi quarant’anni: “la grande malattia dal nome piccolo”, come la definiva Prince in Sign O’ The Times (“a big disease with a little name”), l’AIDS, ha fatto circa 75 milioni di morti dalla sua apparizione a oggi. Le morti sono state ridotte dal picco del 2004 a oggi del 56% grazie alle terapie antivirali, ma sono state ancora 750.000 nel 2018, mentre circa 38 milioni di persone convivono bene o male con il virus dell’HIV e di queste soltanto il 65% ha accesso a cure efficaci. Ma tanto cosa importa? All’inizio era la malattia di gay, prostitute e tossicodipendenti, dunque giudicata poco importante (magari per qualcuno anche opportuna), oggi è una malattia dei poveri, di coloro che non hanno accesso alle terapie salvavita che sono care perché il sistema sanitario e sociale così vuole. In realtà non ci si infetta solo in Africa, anche qui da noi e più di quanto immaginiamo, ma persino fare prevenzione costa, dunque meglio lasciar perdere e far finta che non esista.
Sono abbastanza ottimista sui tempi di conclusione della crisi attuale da covid-19, e completamente pessimista sulla possibilità che insegni qualcosa in termini di politiche sociali e sanitarie. Diciamoci la verità: quanti bagnanti vengono mangiati dallo squalo? Cinque più un cane. Era pensabile chiudere la spiaggia soltanto per questo?
Marina Montesano
Già: non è un caso che Johnson dimostri simpatia per il “darwinismo sociale”, che in un certo senso e fino a un certo punto era la prospettiva dei nazisti. Tantopiù che finora l’esperienza insegna agli occidentali che a soffrire e a morire sono sempre gli altri: come nelle loro sporche guerre democratiche in forza delle quali ormai da decenni a morire ogni giorno o a dover fuggire dalle loro terre sono gli afghani, gli irakeni, i libici, i siriani e via discorrendo, mentre i nostri politici e i nostri media pontificano tranquillamente che la colpa è tutta dei “dittatori” e dei “fondamentalisti”: così come in Africa, se ci sono la fame, la guerra e gli esodi di massa la colpa è tutta dei “guerriglieri terroristi”, i quali notoriamente a fare al guerra senza motivo ci si divertono, mentre lobbies occidentali sfruttatrici e governi corrotti conniventi sono com’è noto innocenti come altrettanti angioletti. L’atteggiamento di Johnson dipende dal fatto ch’egli ha “introiettato” sul suo paese e sui suoi governati il metodo e il giudizio alla luce dei quali il virtuoso Occidente democratico da alcuni secoli guarda ai paesi extraeuropei: e la cosiddetta “decolonizzazione”, anziché porre un correttivo a tale atteggiamento, l’ha cronicizzato e lo ritiene ormai “normale”, “naturale”. Parola mia, se ci fossero lui e alcuni suoi amici tra le vittime dello squalo della spiaggia di Amity, mi dispiacerebbe solo per il cane.