Domenica 26 aprile 2020, San Marcellino
GIULIETTO CHIESA. UN PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO
Giulietto Chiesa, di famiglia originaria di Carrega Ligure nell’Alta Val Borbera, nacque il 4 settembre ad Acqui Terme, la più piemontese delle terre liguri; o, se si preferisce, la più ligure delle terre piemontesi. E aveva le qualità di entrambe quelle terre vicine eppur diverse: la sobrietà e l’asciuttezza dei liguri, la severità e la tenacia dei piemontesi.
Dopo essersi occupato tra 1967 e 1968 di politica e di organizzazione degli studenti universitari dell’Unione Goliardica Italiana e dirigente della Federazione Giovanile Comunista Italiana, fu dal 1979 al 1980 dirigente della federazione di Genova del Partito Comunista italiano e, dal 1975 al 1979, capogruppo del PCI nel Consiglio Provinciale della medesima città che – nonostante i numerosi e lunghi viaggi – avrebbe continuato per sempre ad essere profondamente “sua”. Si distinse per il rigore e la vivacità con la quale criticò il “nuovo corso” del PCI, manifestando posizioni che rifuggivano da tatticismi o da visioni troppo ristrette della politica internazionale e non temevano di apparire impopolari nel suo stesso partito nella misura in cui continuavano, con profonda libertà critica, ad apprezzare le linea a e le scelte dell’Unione Sovietica.
Entrato quindi in dissidio con il PCI ligure entrò in quanto giornalista professionista ne L’Unità e fu inviato da quel giornale a Mosca come corrispondente per le Olimpiadi del 1980. Vi rimase a lungo, mostrando anche in quelle funzioni libertà e indipendenza di giudizio tali che l’agenzia ufficiale sovietica TASS ne chiese la rimozione: e si dovette a Enrico Berlinguer se quelle pressioni non ebbero effetto. Seguì con attenzione e partecipazione le vicende della guerra in Afghanistan, facendo parte di quella pattuglia di giornalisti collaboratori della RAI che, per quello che fu giudicato (a torto) un acceso filosovietismo, si meritarono la denominazione di “Radio Kabul” e l’epiteto dei “kabulisti”. La questione afghana sarebbe da allora rimasta al centro dei suoi interessi e anche dei suoi sentimenti: per Guerini e Associati pubblicò Afghanistan anno zero assieme al giornalista e disegnatore satirico Vauro Senesi (con prefazione di Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency), che avrebbe superato le 115.000 copie vendute.
Gli anni moscoviti furono di duro e serio lavoro: imparò quasi alla perfezione la lingua russa imponendosi come uno dei principali “cremlinologi” italiani stringendo amicizia con ex-dissidenti riabilitati quali Roj Medvedev e Lev Karpinskij nonché con lo stesso Mikhail Gorbaciov. Verso la fine degli anni Ottanta si distinse per sostanziosi contributi al quotidiano La Stampa. Dal 1° settembre 1989 al 1° agosto 1990 lavorò come fellow del “Kennan Institute for Advanced Russian Studies” al “Woodrow Wilson International Center for Scholars” di Washington, ponendo la sua esperienza al servizio del progetto Democratization of Soviet Society: Problems and Possibilities, nell’àmbito del quale presentò nel giugno 1990 un occasional paper sul tema Transition to Democracy in the USSR: Ending the Monopoly of Power and the Evolution of New Political Forces. Si trattava di un lavoro condotto sulle linee della più rigorosa metodologia di ricerca.
Intanto, seguendo le cose russe e afghane, stava guadagnandosi una meritata fama di competente nelle complesse questioni asiatiche. Destò interesse e polemiche il suo saggio dedicato al grottesco tentativo fallito della Delta Force di recuperare gli ostaggi statunitensi nell’ambasciata americana a Teheran (Operazione Teheran, De Donato, Bari, 1980), molto seguiti furono i suoi lavori sul passaggio dall’URSS alla nuova Russia: L’Urss che cambia (Editori Riuniti, Roma, 1987) assieme a Roj Aleksandrovič Medvedev, uscì prima negli Stati Uniti (Time of Change, Pantheon Books, 1990), e successivamente in forma di dialogo nel 1990, per Garzanti, col titolo La rivoluzione di Gorbaciov. Una nuova edizione, rimaneggiata e aggiornata assieme a Douglas Northrop, (Transition to Democracy, University Press of New England, 1991) uscì prima negli Stati Uniti e poi in Russia (Perechod k Demokracij, Meždunarodnye Otnošenija, 1991). Seguirono Cronaca del Golpe Rosso, Baldini & Castoldi, Milano, 1991, e Da Mosca. Cronaca di un colpo di Stato annunciato, Laterza, Bari, 1995. Veri e propri best sellers furono Russia Addio (Editori Riuniti, Roma, 1997), tradotto anche in lingua russa (Proščaj Rossija, Editrice Geja) con largo successo di pubblico (oltre 80.000 copie), e successivamente in lingua cinese (Editrice Nuova Cina, Pechino, 1999) e in lingua greca (Kastaniotis, Atene, 2000), nonché Roulette russa (Guerini e associati, Milano, 1999), uscito anche in Russia nel luglio 2000 (Russkaja Ruletka, Prava Cheloveka, 2000).
L’11 settembre 2001 segnò per lui una svolta epocale, obbligandolo a pensare attentamente a quell’evento – sul quale constatò l’impossibilità di allinearsi alla vulgata occidentale – e, alla luce di quanto d’inquietante andava al riguardo emergendo, denunziare poi la nuova fase aggressiva dell’imperialismo statunitense appoggiato all’ideologia “neoconservatrice” e al business delle lobbies internazionali.
Dal 2001 si dette allo studio attento e sistematico, profondamente “controcorrente” e “controvento”, dei temi della globalizzazione economica, politica e militare, accordando attenzione particolare agli effetti della globalizzazione e del “pensiero unico” sui mass media e giungendo a risultati analoghi a quelli conseguiti al riguardo da Noam Chomsky. Era inevitabile che lo studio e la ricerca si traducessero, in lui, in militanza e in denunzia. Nella primavera 2002 la Feltrinelli pubblicò La guerra infinita, anch’esso a lungo fra i saggi più venduti in Italia, con traduzione tedesca: Das Zeitalter des Imperiums, Europaische Verlagsanstalt, Hamburg, 2003. Sempre con Feltrinelli pubblicò nel marzo 2003 il libro Superclan, scritto assieme a Marcello Villari; a Mosca usciva invece Beskonečnaja Vojna (Detektiv-Press, 2003), una raccolta di saggi comprendente parti di Afghanistan anno zero, di La guerra infinita e di Superclan; nel 2004 la casa editrice Nottetempo pubblicò La guerra come menzogna, di cui esiste una versione in lingua francese, per la Timeli di Ginevra. La guerra infinita è stata anche tradotta in inglese e in spagnolo. Nottetempo pubblicò anche Invece di questa sinistra, con il suo programma politico per le elezioni europee. Sempre nel 2004 aveva pubblicato per le edizioni Piemme, assieme a Vauro, I peggiori crimini del comunismo, una denuncia satirica del passato “rosso” di alcune delle persone più vicine a Silvio Berlusconi, a quel tempo Presidente del Consiglio. Di questo libro esiste un’ulteriore versione del 2005. Giunse infine, nel 2005, Cronache Marxiane (Fazi, Roma), implacabile denunzia del nuovo imperialismo e del “superclan” dei padroni del mondo – dalle banche d’affari anglosassoni ai soci di Osama bin Laden, da Berlusconi a George W. Bush – nonché della “macchina dei sogni”, l’onnipervasivo sistema contemporaneo dei media e la loro attività dell’ambiente dei costruttori instancabili di menzogne. Due anni prima aveva denunciato la natura a suo parere strumentale dei pretesti con cui erano state scatenate le guerre in Iraq e Afghanistan, assieme a un novero ristretto di collaboratori come Franco Cardini, Fabio Mini e Marco Tarchi. Sugli stessi temi scrisse Prima della tempesta (Nottetempo, 2006) mentre, assieme a Megachip, promoveva un gruppo di lavoro che indagava sulle vicende degli attentati dell’11 settembre 2001 in un senso fortemente critico nei confronti delle inchieste tecniche e giudiziarie e delle interpretazioni correnti dei mass media. All’interno di questo gruppo di lavoro Chiesa è autore, insieme a Franco Fracassi, di Zero – Inchiesta sull’11 settembre, un film documentario presentato in anteprima nel 2007 nella sezione documentari al festival di Roma, ma messo in vendita per il pubblico solo a maggio del 2008, con significativi tagli e correzioni. Frattanto otteneva anche un seggio all’Europarlamento Europeo.
A questo punto la sua serrata attività e il fatto che non si fosse riusciti a identificare chi lo finanziasse – forse per la semplice ragione che non lo finanziava nessuno – avevano fatto saltare i nervi all’establishment. Si decise che dava fastidio. Il suo lavoro fu oggetto di critiche sistematiche durissime, di autentiche campagne di ben orchestrato linciaggio politico (perseguito col presumibile sostegno di buoni mezzi economici) nel corso delle quali si rilevarono senza dubbio errori e inesattezze in alcuni dei suoi molti lavori ma non si riuscì a scalzare la solidità di fondo della sua impostazione e la profonda correttezza di alcune delle sue analisi. Si dette allora sfogo all’abituale armamentario mediatico che il sistema utilizza quando si tratta di mettere a tacere o di spingere ai margini mediatici qualcuno: Chiesa venne accusato di essere un “complottista”, un “cospirazionista”, un “filoterrorista”. Quando e finché fu possibile, si fece di tutto per chiudergli la bocca e per emarginarlo, addirittura ridicolizzandolo. Nei casi estremi si ricorse al massiccio attacco frontale alla calunnia, alla menzogna, alla censura, all’esclusione dai media.
Si autodifese. Rispose nel gennaio 2010 tramite un appello-manifesto pubblicato sul suo sito www.giuliettochiesa.it, dette il via il via all’associazione politica “Alternativa” e nel 2014 fondò PANDORATV.IT, televisione online, nella cui redazione multimediale svolse il ruolo di coordinatore. Tentò la costruzione di nuove forze partitiche, ma in ciò la scarsità di mezzi dei quali disponeva non lo condusse e un buon esito. In cambio, efficaci e felici sono state le sue campagne di controinformazione a proposito delle cosiddette “Primavere arabe” e delle questioni connesse con la Libia, la Siria e l’ISIS. Senza dubbio spesso abbracciò – e coscientemente – delle “cause perse”, s’impegnò in duelli donchisciotteschi contro mulini a vento molto più forti e perfidi di quelli della Mancha. Ma non cercava né il successo, né il consenso. Fu spesso battuto: ma non fu mai un “perdente”.
Se amassimo il vittimismo, potremmo denunziare il fatto che Chiesa fosse guardato con sospetto – anche dalle sinistre – fino dagli anni Ottanta del secolo scorso, e con autentica ostilità accompagnata da malafede e da vis persecutoria dal Nine Eleventh 2001 in poi. Ma il vittimismo non ci piace e non piaceva a lui.
Diciamo quindi che Chiesa era un uomo politico, uno scrittore, un giornalista di grande talento che, se avesse accettato compromessi e condizioni, avrebbe senza dubbio avuto più riconoscimenti dei molti che pur ebbe e raggiunto posizioni notevoli nel mondo sia della politica sia dei media. Scelse la via dura e accidentata della testimonianza e dell’onestà, seguendo il principio – in generale ben poco remunerativo – dell’Amicus Plato, sed magis amica Veritas. Commise senza dubbio errori e inesattezze, pagando sempre di persona. Ma fu ostacolato, emarginato, “abbuiato” quanto fu possibile non per quel poco che poté sostenere di falso o di sbagliato, bensì per il molto che denunziò e che smascherò dimostrando che la sua battaglia non era soltanto generosa, ma anche giusta e vera. Avrebbe potuto avere molti più successi e onori, se solo fosse sceso a compromessi per ottenerli. Ma una decorazione, gliela diamo adesso, qui, tutti noialtri. La parola con le quali, nel Giulio Cesare di Shakespeare, Marco Antonio prende commiato dal corpo senza vita di Bruto: “Questo fu un uomo”.