Domenica 26 aprile 2020, San Marcellino
TESTIMONIANZE
ALESSANDRO BEDINI
Non capita spesso di imbattersi in personaggi i quali, non accontentandosi del panem et circenses, si spingono oltre i limiti del politicamente corretto. Oltre quei confini geometricamente perimetrati dal pensiero unico, caratterizzati dal buonismo mieloso dei padroni dei mass media, imbevuti di luoghi comuni che vengono spacciati per autorevoli analisi socio-politiche. Giulietto Chiesa non era fatto di quella pasta, non andava d’accordo con chi si accontentava di ripetere i soliti mantra del neoliberismo, delle guerre umanitarie, delle magnifiche sorti et progressive di un Occidente i cui valori si fondano sul libero mercato (libero per chi?), sulle speculazioni finanziarie, sul sistematico sfruttamento di popolazioni rese povere da un neocolonialismo che Giulietto non si stancava mai di denunziare. Per questo aveva fondato una emittente televisiva controcorrente, come il suo pensiero, Pandora Tv, ascoltando la quale si riusciva molto spesso a spingersi, come Alice, oltre lo specchio del déjà vu, dello scontato, del conforme. Anche quando non si era d’accordo con Giulietto, non si poteva fare a meno di prendere sul serio le sue analisi, la lucidità e la passione con le quali le presentava, costringevano quantomeno a riflettere, a pensare, a confrontarsi, insomma a farsi domande. Comunista sui generis in polemica col suo stesso partito, inviso alla nomenklatura sovietica brezneviana durante il suo incarico a Mosca come corrispondente de L’Unità, accusato di volta in volta di essere al servizio della CIA o di Putin, ha percorso il suo cammino al di fuori dei binari ed è per questo che è stato ed è ancora inviso a molti; “c’è del metodo in questa follia”, avrebbe sentenziato il buon Shakespeare. Allergico alle etichette non si peritava di frequentare “pericolosi” personaggi bollati come rosso-bruni, se non addirittura fascisti; in realtà, l’incontro con pensatori che provenivano da altre esperienze politico-culturali credo che per lui, curioso di tutto ciò che si muoveva nella galassia impropriamente definibile come intellettuale, facesse da stimolo alle riflessioni più originali che presentava nei suoi interventi. Pochi mesi fa aveva accettato con entusiasmo di collaborare a un libro dal titolo Il Muro oltre Berlino, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro, pubblicato da una piccola ma qualitativamente grande casa editrice: La Vela. Un volume che raccoglie nove saggi di nove intellettuali provenienti da ambienti culturali e politici molto diversi. Questo e tanto altro è stato Giulietto Chiesa e il suo ricordo non si esaurisce nell’elencazione delle pubblicazioni, saggi, articoli che ha scritto a centinaia, ma nel riconoscere ciò che ha rappresentato per il pensiero non conformista ma soprattutto per la schiena dritta che ha mantenuto fin sulle soglie dell’aldilà.
FRANCO CARDINI
Quel che mi torna in mente, ora che se n’è appena andato, è un verso di un inno politico cubano in onore di Ho-Chi-Minh:
“Porqué la dignidad del hombre es
más alta que el pan,
más alta que la gloria,
más alta que la propia sobrevivencia”.
Ho conosciuto Giulietto Chiesa in una città ch’era la “sua”, molto di più della natìa e pur amata Acqui; e che, senza essere propriamente la mia, è una delle più care delle mie numerose “seconde città”. L’ho conosciuto a Genova, dove c’incontrammo quasi vent’anni fa presso un caro comune amico, don Andrea Gallo. Venivamo da lontano, Giulietto ed io: e don Gallo veniva da più lontano ancora rispetto ad entrambi. O, quanto meno, è quel che pensavano molti dei nostri rispettivi amici e sodali: Giulietto sapeva alquanto di zolfo secondo i miei, io altrettanto secondo i suoi, entrambi per un motivo o per altro stando al parere di quelli di don Andrea.
Giorgio La Pira diceva che non è importante da dove gli uomini vanno, bensì verso dove vanno. E noi sentimmo immediatamente che quel che ci divideva, o sembrava dividerci, era solo un’evanescente cortina di parole.
Misteriosa cosa, la parola. Ve ne sono alcune che liberano, che sono alte come montagne e profonde come abissi; altre né alte né profonde, ma pesanti come pietre; altre libere e leggere, che sanno solo d’armonia e di profumo; altre vane e inutili, che non significano nulla. Appartenevano a questa quarta, spregevole categoria, le parole che dividevano Giulietto da me.
Convenimmo, con don Andrea, che la storia non era più troppo disposta ad accordare tempo illimitato alla società alla quale appartenevamo: a quest’Occidente che da mezzo millennio ha affascinato e soggiogato il resto del mondo proclamando e promettendo pace, libertà, felicità; e distribuendo dolore, schiavitù, oppressione, sfruttamento. Quest’Occidente che donava a piene mani tesori inestimabili come il suo Dio, il suo concetto di potere e di sapere, i suoi costumi, le sue istituzioni: e che in cambio chiedeva solo povere e piccole quisquilie, inutili inezie come tutte le materie prime e tutta la forza lavoro dei popoli conquistati, ai quali si ripeteva la promessa dell’Antico Serpente, eritis sicut dei; e gli dei, appunto, erano i bianchi signori provenienti dall’Europa.
Quel ch’era cominciato ad accadere in Iran e in Afghanistan verso la fine degli anni Settanta e con maggior forza dalla prima Guerra del Golfo, l’emergere del fondamentalismo musulmano che sembrava aprire la lunga lista dei crediti che i popoli cominciavano a esigere, stava aprendo gli occhi a molti di noi: a molti i quali si erano illusi che la Modernità avesse quanto meno poste le basi di una maggior futura equità e giustizia tra i popoli, mentre al contrario la sua “esportazione della democrazia” – un’espressione tanto ipocrita quanto idiota – celava la volontà d’un progressivo futuro ulteriore distanziarsi sociale tra il sempre minor numero di persone e di lobbies detentrici del potere e la crescente, immensa moltitudine dei poveri e degli sfruttati. Concentrazione della ricchezza e del potere in un senato mondiale di semidei, quello dei signori che oggi dominano le annuali assise di Davos. La fase ultima della globalizzazione, l’“uscita dalla storia” maldestramente intravista alla fine del XX secolo da Francis Fukuyama, era quella che già si prospettava come la definitiva, irreversibile conclusione della fase avviata nel XVI secolo dalle vele e dai cannoni d’Europa dominanti gli oceani e dai suoi filosofi che promettevano libertà e giustizia universali.
Era giunta l’ora nella quale gli uomini di buona volontà avrebbero dovuto lottare uniti per conseguire il disincanto del genere umano nei confronti dell’inganno di chi da secoli prometteva futuri paradisi in terra e progettava il generale asservimento alla volontà e agli interessi di pochi. Ma dall’Africa all’America latina alle folle subalterne del mondo musulmano qualcosa si era ormai mosso: e ormai si cominciava lentamente, confusamente a scorgere. Dovevamo vegliare alla sua crescita, curare la sua maturazione. Schiacciare la testa di questo mostro che proferiva seducenti promesse e che si nutriva di tutto l’oro di tutto il sangue e di tutte le sofferenze del mondo.
L’unica guerra che valga la pena di esser combattuta al mondo è quella per la dignità di tutti, che sarà conseguita quanto il genere umano si sarà convinto che l’equa ridistribuzione delle ricchezze del pianeta è la sola strada percorribile per evitare la distruzione. In questa guerra Giulietto resta ancora, qui con noi, presente.
MARINA MONTESANO
Ho conosciuto Giulietto Chiesa intorno al 2004 grazie a Franco Cardini. Mi ero messa in testa di scrivere dell’11 settembre 2001 dopo un viaggio nel giugno 2002 a New York, quando con commozione avevo visto la devastazione di un Ground Zero ancora delimitato, con enormi buche al posto delle due torri e le fotografie dei morti appese insieme a tanti bigliettini alle recinzioni. Mi ero ricordata di esserci stata, su una delle Twin Towers, quella con l’ultimo piano aperto ai visitatori, nel lontano 1994 mentre trascorrevo alcuni mesi negli Stati Uniti per ragioni di studio. Con la visita del 2002 avevo cominciato a raccogliere materiale su quell’incredibile evento al quale avevo assistito davanti alla tv come si guardano quei film catastrofici ai quali faceva pensare, pur sapendo che si trattava di un’enorme tragedia. Altre tragedie, ancora più gravi in termini di morti, si erano innescate subito dopo: l’invasione infinita dell’Afghanistan, la vergogna di Guantanamo, anche quella mai conclusa, fino all’assurda (per le motivazioni addotte e per gli esiti) guerra contro Saddam Hussein e l’Iraq, con tutto quello che ne è seguito. Se crediamo alle periodizzazioni e ai secoli flessibili secondo i loro contenuti di “Hobsbawmiana” memoria, diciamo che quello in corso sembra essersi davvero aperto con l’anno giusto, perché dall’11 settembre 2001 la politica internazionale ci ha dato tanto sorprese, poche delle quali felici. Raccolto il materiale sulle Twin Towers in un periodo nel quale ancora non si parlava, fortunatamente, di “complottismi”, avevo deciso di scriverne così come avrei scritto – e scrivevo, e ho scritto dopo – di storia medievale: prendendo le fonti che narravano l’evento, in quel caso sui giornali scritti immediatamente dopo gli attentati, e vagliandole con spirito critico. Ero giunta non certo alla “verità”, concetto dal quale mi tengo ben lontana, ma all’idea che nella narrazione ufficiale degli eventi molto non tornasse, e ho mostrato come e perché. Scritto questo breve libro cercavo un editore, ma con scarso successo, soprattutto perché volevo tenermi lontana dalla nebulosa editoriale troppo orientata (a destra o a sinistra) e poco accreditata: in quell’occasione avevo dunque conosciuto Giulietto Chiesa, il quale si era offerto di scrivere una prefazione al libro e di aiutarmi con la ricerca dell’editore, che individuammo in Dedalo di Bari. Nel 2004 il libro uscì, nel frattempo si era cominciato a discutere anche in modo critico dell’evento, e Giulietto mi coinvolse in altre iniziative sull’argomento. L’ho incontrato in diverse occasioni, in fondo non tante, l’ultima pochi mesi fa al Pisa Book Festival per la presentazione di un altro libro, Il muro oltre Berlino. Trent’anni dopo, nel quale scrivevamo di cose diversissime: lui di politica, io di musica. Un incontro molto piacevole fra persone che si erano conosciute un po’ casualmente intorno a interessi comuni, ma che per età e formazione ovviamente ne avevano anche di molto diversi, come lo stesso libro sul Muro mostrava. Nondimeno, per apprezzare una persona non c’è bisogno di condividerne tutte le idee, ne bastano alcune, magari fondanti, ed è l’impressione che ho sempre avuto rispetto a Giulietto Chiesa. Certi suoi interventi recenti possono essere sembrati massimalisti o estremisti, talvolta anche a me, però a ben vedere è il mondo di questi ultimi vent’anni, post guerra fredda, post 11 settembre, a essere diventato massimalista ed estremista, a noi tocca solo adeguarci e non sempre è possibile farlo con moderazione. Di Giulietto Chiesa mi piace ricordare la partecipazione umana alla politica e l’impegno per una informazione fuori dal coro della quale c’è davvero grande bisogno; e poi il buonumore, la disponibilità, il sorriso: anche di questi ci sarebbe grande bisogno, e i suoi certamente mancheranno a molti.
DAVID NIERI
Fino a pochissimi anni fa conoscevo solo “di fama” il Giulietto politico, giornalista e saggista. L’occasione per incontrarlo personalmente si presentò, anche nel mio caso, grazie a Franco Cardini e al “nostro” primo libro realizzato insieme, ovvero Gesù, la falce, il martello. Avevamo deciso di presentarlo alla prima edizione di Libropolis a Pietrasanta, nell’ottobre del 2017: in quell’occasione Franco Cardini mi propose un paio di grossi nomi da contattare che avrebbero fatto al caso nostro, Giulietto Chiesa e Antonio Pennacchi, ovvero il premio Strega 2010 di Canale Mussolini. Accettarono entrambi e per me, editore alle prime armi, fu come toccare il cielo con un dito: avevo tra le mani un libro di Franco Cardini e una presentazione che si preannunciava scoppiettante. Lo fu. Quella domenica la prima edizione di Libropolis si chiuse con la sala stracolma e un confronto costruttivo tra menti illuminate, seppur diverse, coordinate dall’amico Alessandro Bedini.
Ricordo che la mattina della stessa domenica lasciai lo stand del festival per andare a prendere Giulietto, che arrivava in treno da Roma, alla stazione di Viareggio. Lo trovai in sala d’attesa, vestito in modo elegantissimo, un piccolo trolley e, soprattutto, quei baffoni simpaticamente “staliniani” sotto i quali splendeva un sorriso cordiale e simpatico. Nessuna barriera, nessuna cerimonia: il problema è che non avevo previsto che non fosse solo, e io in auto avevo un posto “utile”, quello davanti, perché tutta la parte posteriore era intrisa del pelo del mio carlino Otto. Giulietto, quando seppe, non si scompose: “Ci vado io, che mi faranno mai due peli di carlino, ne ho passate di peggio!”.
Durante il tragitto mi parlò della realtà politica che stava creando, dei suoi obiettivi, della nuova pubblicazione in arrivo. Rimasi colpito e affascinato dalla sua energia vulcanica, unita a una capacità comunicativa diretta, schietta, senza fronzoli e a una curiosità intellettuale che non risentiva affatto dell’età non più giovanissima (all’epoca: 77 anni).
Con Giulietto abbiamo collaborato anche negli anni successivi. Nel 2018 fu autore di una delle prefazioni alla traduzione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba”. Dall’11 settembre a Donald Trump, che ebbi la fortuna e l’onore di tradurre e pubblicare per la mia piccola casa editrice. Risale invece allo scorso anno uno dei suoi contributi per il libro Il Muro oltre Berlino. Trent’anni dopo, realizzato in occasione del trentennale della caduta e presentato al Pisa Book Festival lo scorso novembre. Giulietto, presente all’evento, affascinò la platea con la sua classe di oratore in una sala che non riusciva a contenere tutti gli interessati. Ci lasciammo e ci salutammo con la promessa reciproca di risentirci presto per portare avanti un paio di progetti che aveva in mente.
Quella di Giulietto Chiesa è una perdita enorme per l’informazione indipendente. Personalmente, mi sono avvicinato a Giulietto autore e giornalista dopo l’11 settembre, quando la mia vita fu scossa nelle fondamenta che fin lì avevano sorretto le mie (in)certezze e le mie (poche) convinzioni. Da quel momento cambiarono le mie prospettive, e autori come Franco Cardini, Giulietto Chiesa e Noam Chomsky diventarono punti di riferimento essenziali. Certo, non sempre mi sono trovato d’accordo con le sue posizioni, ma gli ho sempre riconosciuto il merito di saper cercare altrove percorsi di lettura della realtà e dei fatti non in linea con i media mainstream e le verità imposte. Oggi va di moda definire “complottismo” tutto ciò che mette in discussione i dogmi ufficiali della comunicazione – quella che, durante il non facile periodo che stiamo vivendo, non esita a definirsi “professionale” e “affidabile” –, fino a farsi beffe di tutto ciò che si pone come alternativa, creando un cortocircuito in cui le fake news – che certamente non mancano – vengono automaticamente equiparate a qualsiasi notizia che evidenzia le lacune delle posizioni “incontestabili”.
Ho sempre ritenuto gli spunti di Giulietto – tutti, nessuno escluso – meritevoli di attenzione e approfondimento. Con la consapevolezza che nessuno detiene la verità in tasca, ma che è compito delle menti illuminate e trasparenti contribuire a indicare il percorso meno battuto per sviluppare un pensiero indipendente e mondato della sacra ritualità mediatica.
Anche solo per questo motivo, Giulietto mi mancherà tantissimo.