Minima Cardiniana 287/4

Domenica 21 giugno 2020, San Luigi Gonzaga
XII Domenica del Tempo Ordinario, Solstizio d’Estate

POLEMICHE
Dal sito “Informazione corretta”
Il pezzo peggiore è quello di Cardini, che ripulisce l’immagine del regime degli ayatollah iraniani, rovesciando ogni responsabilità sugli Stati Uniti. Mascherato da recensione di un libro, il suo pezzo è in realtà un intervento politico nel solito stile anti-occidentale che da sempre Cardini coltiva.

FRANCO CARDINI
L’AMERICA E L’IRAN CHE NON T’ASPETTI
Paolo Borgognone ci ha abituati da tempo a tomi voluminosi e Storia alternativa dell’Iran islamico. Dalla rivoluzione di Khomeini ai giorni nostri, 1979-2019 (Oaks, pagine 850, euro 30) è davvero ragguardevole. Così come notevolissima è l’erudizione del lavoro, garantita da ben sei pagine di bibliografia essenziale e sono altresì da tener presenti le centinaia di note a piè di pagina, alcune molto dense. Quel che risulta misterioso è come può aver fatto un autore che arriva a citare perfino Freccero (il che, intendiamoci, è più che legittimo) possa poi non citare nemmeno un libro di Alessandro Bausani (magari perché è un bahai… o forse proprio perché è un bahai?) né di Bianca Maria Scarcia Amoretti; e nemmeno, ad esempio, di Alberto Negri. E, proprio in relazione ad assenti e/o a “convitati di pietra’, è da notare in un libro come questo l’assenza di un indice dei nomi e magari delle cose notevoli: anche perché nelle note a piè di pagine sono segnalate molte cose che non figurano in bibliografia (alcune di Negri, per esempio), il che non dà piena ragione al lavoro di ricerca compiuto dall’autore; ed è quindi in sua difesa, e non per indicare una lacuna, che segnaliamo quest’assenza di uno strumento di verifica utile al lettore non superficiale. Il libro, così com’è concepito, si presenta comunque dotato di rara solidità. Borgognone ha forse buon gioco nella sua ricerca “alternativa”: al di là delle ricerche serie, che senza dubbio esistono, il panorama della letteratura corrente su tale tema è sconfortante per faziosità, per conformismo, per superficialità e disinformazione. Nei confronti dell’Iran, da ormai quattro decenni, vale incontrastato uno dei dogmi procedurali più inossidabili del “Pensiero unico”: dite pure qual che volete ma ditene male, nessuno ve ne chiederà conto, nessuno oserà contraddirvi. Bene: è stupefacente come in casi di questo genere una verità affermata con coraggio e sostenuta con buoni argomenti possa avere l’effetto del “re è nudo” della fiaba anderseniana: chi entra in contatto con questo tipo di disincanto si libera, quasi per miracolo, dei vecchi pregiudizi e si rende conto che in fondo lo aveva sempre saputo e/o creduto anche lui. Qual è l’antidoto del “sistema” a effetti di questo genere, che potrebbero divenir mediaticamente parlando devastanti? Semplice: il silenzio. Di certi autori, di certi studiosi, di certi libri, di certi argomenti, semplicemente non si parla. Non si recensiscono, non li si ammette nel club degli intervistati di lusso dagli opinion makers del piccolo schermo, quei tre o quattro inossidabili fra gentiluomini o gentildonne inamovibili ormai da parecchi lustri e resistenti a qualunque cambio di governo. Paolo Borgognone appartiene al nòvero degli “esclusi” di questo tipo: e potete esser certi che nessuno dei suoi libri approderà mai a un grande editore o a una catena televisiva di quelle che contano. Ed è del resto ovvio che sia così, visto che ad esempio (esaminando con ricchezza di dati e anche con una certa severità il “khatamismo” del periodo 1997-2005) afferma serenamente che “i media occidentali e le ONG che si muovono come longa manus dello “stato profondo” americano per favorire un clima di tensione e mobilitazione politico-sociale propedeutico al cambiamento di regime a Teheran includono l’Iran nel mirino della propaganda dominante per questioni riguardanti ciò che in Occidente viene definito, dai corifei del politically correct e della guerra psicologica anti iraniana, “mancato rispetto dei diritti delle minoranze, etniche e sociali” eccetera”: e via così, sistematicamente disincantando antiche menzogne e omissioni alle quali siamo assuefatti. Un libro impietoso, che certo non può dir tutto ma che non lascia nulla in ombra. Il saggio introduttivo suona come una denuncia e una chiave di lettura innovatrice: Teocrazia” islamica iraniana e teocrazia di mercato occidentale, un confronto non scontato. Proprio così, papale papale. Il nucleo non soltanto della rivoluzione inaugurata a Teheran quarant’anni fa, ma di un tema etico e antropologico fondamentale della Modernità: non si può servire due padroni, Dio e Mammona, e l’uno esclude l’altro; e si tratta di due religioni diverse e opposte, non di una “superstizione” devota da una parte e di una forma di serio e concreto realismo democratico dall’altra. Con questo viatico, in diciotto puntuali capitoli si delinea il cammino alquanto faticoso e ricco di mutamenti interni della repubblica islamica iraniana, uno stato esplicitamente “confessionale”, come lo sono Israele e Arabia Saudita: il che non vuol significare che le minoranze etniche e religiose non vengano rispettate a Teheran, come avviene a Gerusalemme e come non avviane a Riad. Durezze, arbitri, forme di corruzione, errori politici ed economici, bugie, violenze, perfino torture e condanne a morte: nulla viene taciuto; non siamo in presenza di un pamphlet apologetico, non è descritto alcun idilliaco “Paradiso khomeinista” in queste pagine. Tutto però è ricondotto alla sostanza di un sistema che non può venir in alcun modo ricondotto alle linee scontate di un “totalitarismo” ma che semmai è una sorta di “sistema sovietico originario” con tratti di libertà perfino sorprendenti (l’abbondanza di clubs politici e di giornali, ad esempio) controllato da un’élite “senatoriale” di teologi le opinioni all’interno della quale sono però molto varie, da simpatie pronunziate per il comunismo “alla cinese” sino a forme di liberal-liberismo e di filo-occidentalismo che restano minoritarie ma che in linea generale vengono quanto meno discusse. Risulta finalmente chiaro, in queste pagine, quel che da molti anni ci stanno dicendo, inascoltati e spesso messi brutalmente a tacere, anche molti imprenditori ed esperti del commercio internazionale: vale a dire che il “regime” di Teheran non si è mai (nemmeno negli anni più duri del “populismo rivoluzionario” di Ahmadinejad) rifiutato di accettare il dialogo sia politico sia economico, commerciale e perfino finanziario con l’Occidente, ma ha sempre urtato contro il dogmatico diktat statunitense che ha imposto un embargo dotato di aspetti che arrivano a negare gli elementari diritti umani perché investono i campi dell’alimentazione e della salute. L’austerità in cui il mondo iraniano vive non è frutto del fanatismo imposto da un “regime”, ma dalla volontà d’imprigionare il Paese in una rete di sanzioni tali da renderlo invivibile e di addossarne le conseguenze al “malgoverno” khomeinista. E lo stesso si dica per il risvolto nucleare della “questione iraniana”: circondato da Paesi ostili che posseggono armi nucleari, dal Pakistan a Israele, l’Iran non ne dispone: eppure tutti parlano di una “minaccia nucleare iraniana”. La realtà è quella di un Paese di settanta milioni di abitanti molto prolifico (l’età media è sotto i 30 anni), con un’istruzione media elevata, un buon sistema di scolarità pubblica, un buon sistema sanitario (nonostante l’embargo e contrariamente a quel che si è cercato di far credere ha retto bene anche al coronavirus), un’accettabile ripartizione della ricchezza con assenza di sacche di povertà altrove (come in Usa) drammatiche, una popolazione aperta, cordiale e civilissima. Un Paese che, anche a causa della svalutazione della moneta reale, si presenta vantaggioso dal punto di vista turistico, e che si può visitare (altro tema da noi tabù) in libertà e sicurezza. Insomma, il quadro d’insieme offerto da questo libro è seriamente innovativo e mette in discussione inveterate “certezze”.
(http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=1&sez=120&id=78506)