Lunedì 21 settembre 2020, San Matteo Apostolo
EDITORIALE
Questo Editoriale dovrebb’essere chilometrico: sarà al contrario telegrafico in quanto è programmatico. Esso si articolerà difatti su tre punti nodali: etica civica, politica interna, politica internazionale. Torneremo nei numeri seguenti su ciascuno di essi.
Etica civica. Abbiamo ormai abbondantemente superato i segnali di guardia. I due eventi delittuosi che ci hanno sconvolti negli ultimi giorni – il massacro d’un povero ragazzo ammazzato a calci e pugni a Colleferro da due energumeni e il sia pur preterintenzionale fratricidio d’un ragazzo campano dalla testa infarcita di spregevoli miti di falso onore – non sono affatto tragedie frutto di patologiche eccezioni: sono la punta dell’iceberg d’una tragedia epocale, il sintomo d’una giovane generazione allo sbando morale e culturale, quindi del fallimento di almeno due precedenti generazioni che non hanno saputo educarla e i rappresentanti delle quali, anzi, si sono spesso vantati di non sapere, di non potere, di non volerlo fare: ecco i frutti del falso, del tragicamente ridicolo mito dell’“autoeducazione” che avrebbe dovuto “naturalmente” scaturire dall’esercizio di una “libertà” non sostenuta da regole, di una serie infinita di “diritti” predicati senza insegnar che il rovescio della medaglia di qualunque diritto si chiama “dovere”. Ora, dinanzi allo spettacolo di quel che specie in Italia sono stati la réntrée scolastica e la gestione del problema del lavoro (e della disoccupazione) in tempo di Covid-19, ci rendiamo conto che una rifondazione civica del paese è improcrastinabile; e che purtroppo, a tale scopo, i mezzi e gli strumenti necessari – primo fra tutti una corretta costruzione delle future élites dirigenti del paese – fanno difetto.
In altri termini, quel che ci servirebbe sarebbe un corretto ritorno alla politica. È proprio quanto oggi ci manca: in un paese devastato dagli egoismi delle dirigenze degli pseudopartiti attuali, dalla loro dipendenza dalla sfera dell’economia e della finanza, in una situazione nazionale caratterizzata della mancanza di sovranità. In altra parte di questa puntata torniamo, con Manlio Dinucci, a discutere sul nostro sistema di alleanze internazionali, ch’è un sistema per noi di dipendenza praticamente servile rispetto a una superpotenza e alle lobbies che la dominano.
In termini ancora più espliciti, dal momento che da noi è venuta tragicamente meno quella che Max Weber chiama “la professione della politica” (distinta da quella “della scienza”), la capacità di programmare il futuro tenendo presente il “bene pubblico”, quel che prevale è il politicantismo.
E nei prossimi mesi, dopo l’esito (rovinoso) delle elezioni del 20-21, come ormai vediamo con chiarezza, riemergerà l’antico “modello italiano”, il modello dell’Italietta codarda e incline al compromesso. Laddove i paesi seri nei momenti cruciali (lo hanno fatto Inghilterra, Francia, Spagna, Stati Uniti, Cina) si spaccano in due e si confrontano sulla base di progetti opposti, in Italia prevale il compromesso, l’inciucio, l’ammucchiata: la formula cavouriano-rattazziana. L’Italia s’illude sempre di superare i suoi problemi evitando il trauma dello scontro e “serrando al centro”: lo hanno successivamente fatto Cavour, Giolitti, Mussolini, De Gasperi, Craxi, Berlusconi, con una continuità vischiosa (“bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale”, come si esprime un personaggio del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa). L’Italia non ha mai avuto un Lutero, un Hobbes, un Bonaparte, un Lenin, ma solo personaggi che hanno cavalcato la tigre del cambiamento scegliendo di mettersi alla testa del più forte. Quindi, un nuovo centrismo ci aspetta: ne saranno protagonisti uomini come Berlusconi e come Renzi, o i loro colonnelli o successori: questo sarà “l’effetto-Draghi” dei prossimi mesi (ma non chiedetemi chi sarà il Draghi di turno).
E anche l’orizzonte internazionale si oscura. La “pace di Abramo” americo-arabo-israeliana che con un colpo di bacchetta magica fa sparire il problema palestinese dall’agenda internazionale è, in realtà, un nuovo atto di guerra contro al compagine sciito-iraniana e le forze internazionali che ci stanno dietro, Russia e Cina; dalla Siria alla Bielorussa, com’è già accaduto ai tempi delle crisi georgiana ed ucraina, si sta consumando una triste e rischiosa sceneggiata internazionale nella quale orwellianamente gli aggressori pretendono di essere aggrediti e minacciati, mentre agli aggrediti si attribuiscono le intenzioni degli aggressori. Da tutto ciò, in un mondo che corre al riarmo nucleare e nel quale la produzione delle armi è il primo e maggiormente redditizio articolo della bilancia commerciale internazionale, non c’è da aspettarsi nulla di buono. L’albero si riconosce ai suoi frutti: e i frutti dell’albero internazionale che oggi è tristemente fiorito si chiamano guerra e fame, cui si sta unendo anche l’epidemia. Strano: sono i cavalieri dell’Apocalisse.